Viaggio tra le emozioni: la paura

Viaggio tra le emozioni la paura

La paura è un’emozione che come esseri umani abbiamo provato tutti. Inoltre, da brava lettrice e scrittrice di gialli, ho pensato potesse essere interessante scoprire alcune cose che riguardano la paura, non solo per viverla e affrontarla nel futuro con maggiore consapevolezza, ma anche per capire un po’ come funziona e perché la proviamo.

La nuova versione del film “Dune”, uscito da poco nelle sale cinematografiche, mi ha riportato alla mente un brano sulla paura che mi aveva molto colpito, quando avevo affrontato la lettura del libro di Frank Herbert, cui la pellicola cinematografica si ispira.
Ero rimasta talmente affascinata da quella sorta di mantra pronunciato dal protagonista in un momento particolarmente angoscioso della sua storia da mandarlo persino a memoria, per portarlo sempre con me, come una sorta di talismano. Ve lo propongo di seguito.

Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale.
Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò
” (Frank P. Herbert, “Dune”).

Herbert secondo me fa centro definendo questa emozione come una “piccola morte” e dai concetti che solleva il suo testo sono passata a fare ricerche, per esaminare più a fondo l’emozione della paura, per capire quanto c’è di vero nelle sue parole, oltre alle mie sensazioni che aderiscono perfettamente a ogni considerazione che della paura fa il protagonista di Dune.

La paura è un’emozione primaria che non appartiene solo al genere umano ma, come possiamo facilmente constatare, anche al genere animale.
È un’emozione di difesa, una reazione a una situazione di pericolo: reale; possibile nel futuro; legata a un ricordo; immaginaria.
Spesso, questa emozione scatena anche reazioni organiche, in quanto il corpo si prepara ad affrontare la situazione di emergenza, adottando comunemente due tipi di atteggiamento: lotta e fuga.

La paura è governata dall’istinto e mira a farci sopravvivere a un possibile pericolo che può mettere a rischio la nostra vita. Avvertiamo fisicamente tale emozione, quando constatiamo un’accelerazione del battito cardiaco e delle funzioni fisiologiche difensive.
Essa produce una serie di spiacevoli sensazioni che tutti abbiamo provato almeno una volta, come: aumento dell’ansia; difficoltà di applicazione intellettiva; fuga; sudorazione; protezione del proprio corpo; calo della temperatura corporea; aumento dell’adrenalina.

La paura può anche causare modifiche del comportamento di tipo permanente, in tal caso si parla di sindromi ansiose. Questo avviene quando tale emozione non si origina più dalla percezione di un reale pericolo, ma dal timore che ci si possa trovare in situazioni, in apparenza normali, ma che invece l’individuo vive con profondo disagio. Quando si verificano tali situazioni, la paura non riveste più il suo ruolo di funzione primaria, volta a garantire la sopravvivenza, ma si tramuta in espressione di uno stato mentale.

È un’emozione che può anche essere appresa ad esempio, nei confronti di oggetti o contesti, in tal caso, negli animali, è definita: paura condizionata.

La paura possiede, in base a chi la prova, anche notevoli differenze di intensità. Il soggetto può spaziare dal timore all’ansietà, raggiungendo anche livelli emozionali molto intensi dal panico sino al terrore.
Il timore è la versione meno intensa della paura ed è causato solitamente da una situazione che promette di farci sperimentare piacere e al contempo dolore.
L’ansia, invece, vede il piacere contrapporsi a parimerito con la minaccia del dolore. Ciò provoca conflitto e tensione in chi la sperimenta, mentre si attende che dei nuovi accadimenti ci mostrino quale piega prenderanno gli eventi.
La paura è poi massima quando entriamo nel panico e contempliamo idee di morte. In questo particolare stato emozionale, il soggetto vive una grande tensione emotiva; è terrorizzato e non è capace di organizzare né il pensiero né l’azione.
Il terrore supera il panico in intensità e in tali situazioni si avverte fortemente l’impulso alla fuga, in questo caso attuata verso l’interno di sé.

Nei bambini la paura è un’emozione più frequente, ed è legata al fatto che il mondo è ancora un luogo in gran parte ignoto e spesso è dovuta all’incapacità dei bambini di distinguere le paure che vengono dall’esterno da quelle generate dalla loro interiorità.

Dopo questo breve excursus sulla paura, concludo dicendo che questa emozione non è forse tra le più apprezzate eppure ci sono moltissimi fruitori di film e libri che giocano sulla paura.
Direi che il numero di persone che affollano le sale dei cinema, per vedere un film horror e il significativo numero di lettori di thriller, dovrebbe far riflettere e spingere a conoscere meglio questa emozione che andrebbe approfondita e studiata con molta attenzione, per poterne valutare tutti gli aspetti e tutte le sfumature.

Finali: quanto sono importanti in una storia?

macchina da scrivere con foglio

Se è vero quello che diceva la mia insegnante di danza sui finali, allora, noi scrittori, e non solo noi, dobbiamo essere molto accorti.

Lei sosteneva che gli spettatori ricordano maggiormente le ultime cose viste, quindi, errori nel finale avrebbero compromesso tutto il lavoro precedente, insomma, l’intero saggio di danza.

Poche sere fa ho rivisto il finale di un film che mi era piaciuto e mi aveva divertito molto e mi sono resa conto che sì, la mia insegnante di danza aveva ragione.
Il film che ha contribuito a convincermi era “Mr. Crocodile Dundee“.

Il finale della divertente e avventurosa storia d’amore in questione ha la giusta dose di tensione.
Lui sta per andarsene, lei lo insegue: ha saputo che intende lasciare New York e non vuole perderlo.
Dopo l’inseguimento, lei lo raggiunge in un’affollatissima metropolitana, lo vede, ma sono separati da tutte le persone stipate in attesa dei treni.
Due provvidenziali estranei (la gentilezza degli estranei è sempre gradita nei film) consentono ai due di parlarsi, grazie a una specie di telefono senza fili, e lui, ovvio, non se ne va più. Immagino conosciate il resto.

Non intendo fermarmi qui nel resoconto di finali altrettanto memorabili.
Chi non ricorda il finale di “Dirty Dancing“?
Lui che dice: “Nessuno può mettere Baby in un angolo” e poi, dopo aver afferrato la sua ragazza e consumate le poche battute di rito, c’è l’accattivante ballo finale.

E “Il laureato“?
Che cosa mi dite della fuga dall’altare, la lotta con i genitori e i parenti inferociti, la corsa, il balzo sul provvidenziale autobus di passaggio e poi la risata liberatoria e lo sguardo scambiato tra i due fuggitivi e i passeggeri del mezzo pubblico sbalorditi?

Non credo di dover continuare per dimostrare che il finale, che si tratti di quello di una serie di numeri di danza o di un film o appunto di un libro (era qui che volevo arrivare), è fondamentale.
La chiusura è un sigillo magico, è ciò che resta per ultimo nel cuore di chi assiste a uno spettacolo o legge un libro e per questo deve essere della lunghezza giusta: non troppo breve, come se si avesse fretta di liquidare la storia, e neppure troppo lungo da far desiderare di anticipare l’ultima riga o l’ultima immagine.

Il finale deve avere la giusta lunghezza, ogni storia ha la sua.
Deve riassumere ciò che si è visto, spiegare ogni cosa se ce n’è bisogno e se poi, c’è anche il giusto crescendo e il tanto atteso climax è anche meglio.
Non importa se lo spettatore o il lettore si prefigura già come andrà a finire la storia: l’importante è come lo si conduce fino alla parola fine.