Osservare: un’azione indispensabile per diventare un bravo scrittore

Osservare azione indispensabile per diventare un bravo scrittore

Leggere ad alcuni (sicuramente a me) fa l’effetto delle ciliegie: una tira l’altra.
Sono arrivata a John Gardner, al suo “Il mestiere dello scrittore”, attraverso molte ciliegie: consigli e suggerimenti giunti da altre proficue letture.

Mi interrogo da anni su argomenti inerenti la scrittura e mi immergo fra le righe dei libri, a ripescare perle preziose: nuovi ferri del mestiere o validi strumenti per affinare quelli che già possiedo.

A lungo ho riflettuto su un argomento che mi sta molto a cuore: l’osservazione, ovviamente rapportata alla scrittura.
Secondo Gardner, “il buon scrittore vede le cose in modo netto, vivido, preciso e selettivo (vale a dire che sceglie ciò che è importante) non necessariamente perché la sua capacità di osservazione sia per natura più acuta di quella delle altre persone (benché con la pratica diventi tale), ma perché si preoccupa di vedere le cose in modo chiaro e di metterle per iscritto in maniera convincente”.

La scena narrativa trae la sua forza e la sua concretezza dalla capacità di chi scrive di associare il gesto alle affermazioni dei personaggi. Se lo scrittore non conosce a fondo che cosa farebbero i suoi personaggi in una data situazione, il risultato potrebbe essere poco convincente e il lettore avvertirebbe la sensazione che i personaggi di quel dato libro siano “stati manipolati, costretti a fare cose che nella realtà non farebbero”.

Per costruire una scena credibile bisogna partire da un’osservazione attenta e approfondita dei personaggi, avere una loro visione mentale precisa; è necessario saper cogliere gli spunti emozionali che servono all’evoluzione successiva dell’azione. Per fare questo è utile fermarsi (sollevare la penna o le dita dai tasti) e “capire esattamente come si presenta un certo oggetto o gesto e trovare le parole giuste per descriverlo”.

Inserire i dettagli giusti è fondamentale: il lettore ben indirizzato da una scrittura precisa, potrà costruire nella sua testa le scene che a mano a mano va leggendo e più lo scrittore sarà stato accurato nell’esame delle azioni dei personaggi e avrà utilizzato termini esatti, più le immagini saranno vivide nella mente dei lettori che aggiungeranno addirittura alla scena connotazioni che l’autore ha lasciato semplicemente sottintese: “scegliendo il dettaglio giusto, lo scrittore, abilmente, ne fa venire in mente altri; il dettaglio significativo suggerisce più di quanto non dica”.

Uno scrittore eccellente “è preciso sia nei dettagli letterali che nelle corrispondenze metaforiche”. La metafora ha un grande potere visivo: “spesso un gesto importante o un insieme di gesti non può essere afferrato con pari efficacia da nessun altro mezzo”.

Per evocare scene efficaci e veritiere, dettagli e metafore, oltre a essere correttamente utilizzati, devono essere tratti dalla vita vissuta. Nella visione dei grandi romanzieri “non c’è nulla di seconda mano”.

Lo scrittore: un lanciatore solitario. “Per gli scrittori non ci sono panchine”

palla da baseball

Mi sono immersa nella lettura de “Il mestiere dello scrittore” con la stessa fiducia e curiosità con cui avevo affrontato “On Writing” di Stephen King.
Leggere i consigli degli scrittori sulla scrittura è un’esperienza interessante da cui si riemerge più consapevoli e muniti di qualche strumento in più per destreggiarsi nel difficile mestiere di scrivere.

Ingenuità, semplificazione e spontaneità sono, secondo Murakami, essenziali per chi decide di affrontare lo scoglio della scrittura, per chi ha deciso di iniziare a comunicare, scrivendo.

Ho trovato interessante l’osservazione disincantata di Haruki Murakami della sua stessa scrittura e della sua evoluzione nel tempo.
Il suo primo romanzo è stato partorito con assoluta ingenuità (nei confronti del panorama letterario del momento, di cui non sapeva nulla e nella totale ignoranza delle regole da seguire per scrivere un romanzo) ed estrema semplificazione (parole semplici ottenute con un lavoro di sottrazione).

Scrivere il suo primo romanzo per Murakami è stato come, metaforicamente parlando, costruire uno scheletro che nel tempo si è dotato di una muscolatura.
In pratica, per lui, l’esercizio di scrivere è stato un vero e proprio processo di stratificazione e ispessimento; i suoi lavori successivi si sono irrobustiti e sono diventati più complessi, seguendo una sorta di evoluzione fisiologica.

La scrittura, secondo l’autore, nasce da pochi elementi, parole semplici e discorsi semplificati, dove la sottrazione è un’operazione fondamentale.
In seguito, questa struttura andrà ispessita e acquisterà forza ed energia, in modo naturale e, crescendo, con costanza e determinazione, acquisterà concretezza e un certo livello di maturità.

Tutto però deve partire da un impulso puramente interiore.
La gioia spontanea e il senso di libertà che ne consegue, insiti nel gesto di scrivere, devono permeare il lavoro dello scrittore.
Murakami, parlando di questo impulso, fa un esempio che mi ha ricordato due parabole evangeliche: quella del seminatore (Matteo 13,1-23, Marco 4,1-20 e Luca 8,4-15) e quella della casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia (Matteo 7,21-29), quando dice che chi scrive senza avere dentro di sé questo impulso non combinerà granché, come le piante che non hanno radici saldamente affondate nella terra.

Lo scrittore è un accumulatore di informazioni.
Leggere, senza dubbio, è il primo dovere di un buon scrittore.
La lettura continua e infaticabile è un compito imprescindibile del processo di scrivere.
Inoltre, un esercizio molto importante, per Murakami e non solo per lui, è osservare con attenzione: cose, eventi, persone e riflettere su quanto si è osservato, senza, però, formulare giudizi.

Questa operazione di raccolta del materiale deve essere seguita da un’efficace organizzazione di quanto si è accumulato.
La memoria ovviamente non riesce a ricordare ogni cosa al millesimo, quindi, bisogna operare una selezione, centellinare quanto si è raccolto dal mondo circostante, isolare e poi, conservare dettagli concreti e peculiari, quelli cioè che hanno maggiormente attirato la nostra attenzione, “tanto meglio se inspiegabili, è ovvio. Poco ragionevoli, privi di filo logico, poco convincenti o misteriosi“.
Murakami sostiene che “gettando dentro la mente le cose alla rinfusa, quello che deve sparire sparisce, quello che deve restare resta. A me piace questa selezione naturale della memoria“.
Rimanendo in argomento, Burrhus F. Skinner (psicologo statunitense) definisce cultura “ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto“, quindi, bisogna fidarsi del potere selettivo della nostra mente di conservare solo ciò che è davvero importante, quello che è indispensabile o utile e magari, abbandonare il fedele taccuino su cui normalmente si annota ogni cosa, per lasciare sedimentare i ricordi e filtrare solo ciò resta.

Dal ripostiglio dove sono rinchiusi alla rinfusa i materiali più disparati, bisogna trarre gli elementi che opportunamente composti diano vita a una sorta di magia
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Murakami sostiene di scrivere come se stesse componendo musica, la magia, che dà senso a una storia e la rende meritevole di essere letta, secondo lui, si crea tenendo conto di alcuni preziosi alleati: il ritmo, elemento fondamentale per costruire e tenere in piedi una storia, un ritmo saldo dall’inizio alla fine; l’armonia creata da una serie di accordi molto diversi fra loro; l’improvvisazione, quella dei musicisti jazz che attraverso la libera espressione mettono in gioco tutte le loro capacità tecniche e il gusto musicale.
Secondo Murakami se ritmo e armonia sono ben gestiti si può improvvisare in maniera spontanea. Improvvisare per creare liberamente il proprio suono.

Secondo Murakami si scrive perché si ha il desiderio di farlo, mossi da un interesse genuino, da una forza che permette di superare ogni difficoltà.
In ogni caso, quando l’autore inizia a scrivere un romanzo, è solo. Nessuno lo può aiutare a organizzare il materiale nella sua testa o a trovare le parole giuste per esprimere quello che intende dire. Quello che si è iniziato da soli, si deve portare avanti e completare da soli.
Non si può fare come i giocatori di baseball, che di questi tempi, dopo aver lanciato sette volte, lasciano il posto a un altro e vanno ad asciugarsi il sudore in panchina. Per gli scrittori non ci sono panchine. Una volta iniziata la lunga sfida, devono continuare a lanciare la palla, forse anche quindici, diciotto volte, fino al termine della partita“.