Giuseppe Ungaretti: la poesia pura che “porta in sé un segreto”

L’8 febbraio del 1888 nasceva Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1° giugno 1970), poeta, scrittore, traduttore, giornalista e accademico italiano.
Le sue poesie hanno lasciato un segno profondo nella letteratura italiana del XX secolo.

Ungaretti e in generale la poesia ermetica, che il famoso poeta ha anticipato, hanno sempre fatto risuonare in me delle profonde emozioni.
Il primo incontro con le poesie di Ungaretti è stato di ordine scolastico ed è stato un colpo di fulmine. C’è stato anche un secondo incontro, altrettanto forte, musicale stavolta: quando con il coro abbiamo affrontato una versione musicale della sua poesia “La madre”.

I versi di Ungaretti hanno il potere di toccare l’anima e la loro bellezza risiede in ciò che riescono a suggerire e nella loro capacità di far vibrare corde segrete nell’animo di chi legge.

In questo, a prima vista, scarno mondo poetico si avverte, sotto la superficie, un mondo di sentimenti e di emozioni espressi con poche essenziali parole, che però riescono a far percepire il tutto, anche e soprattutto, il non detto, perché ciò che sembra mancare è presente dentro di noi e si manifesta attraverso risonanze profonde. Le parole di Ungaretti sono una sorta di richiamo che ci consente, leggendo le sue poesie, di recuperare un mondo sommerso.

Giuseppe Ungaretti è stato una tra le voci più rilevanti nel panorama letterario italiano del XX secolo. Mosse i primi passi, seguendo il simbolismo francese e in un primo tempo, produsse componimenti poetici stringati, limitati a poche parole e animati da analogie originali. Successivamente, le sue poesie acquisirono una maggiore complessità, mentre i concetti si facevano più ardui.

La sua poetica subì un’importante evoluzione indotta in particolare dal dolore per la morte del figlio. Le poesie di questo periodo assumono una veste meditativa e sono concentrate su un’intensa riflessione sul destino umano.
Negli ultimi anni di vita, nei versi di Ungaretti spiccano la saggezza raggiunta dal poeta ormai giunto a un’età avanzata e un senso di tristezza e distacco.

Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto, da genitori italiani.
Il padre morì due anni dopo la nascita del poeta e fu la madre, gestendo un forno di proprietà, a garantire i migliori studi al figlio che poté frequentare le più prestigiose scuole.
Proprio durante il periodo scolastico, il poeta iniziò ad avvicinarsi alla poesia, giovandosi degli stimoli che provenivano sia dalle antiche tradizioni sia dalle novità, garantite dalla multietnicità del suo luogo di nascita.
Fu particolarmente vicino alla letteratura francese ma anche a quella italiana: lesse le opere di Rimbaud, Mallarmé, Baudelaire, ma anche di Leopardi e persino di Nietzsche.

Dopo una breve esperienza lavorativa nel settore commerciale, il poeta si trasferì a Parigi per frequentare l’università. In questi anni conoscerà diverse importanti personalità del panorama artistico, quali: Guillaume Apollinaire, Georges Braque, Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani; iniziò anche a collaborare alla rivista “Lacerba”, pubblicando alcuni suoi componimenti poetici e liriche.

Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e quando l’Italia entrò nel conflitto, il poeta decise di arruolarsi.
Durante gli anni di guerra, Ungaretti teneva con sé un taccuino, su cui appuntava le sue poesie che furono stampate nel 1916, con il titolo: “Il porto sepolto”.
Proprio di questi anni sono le sue poesie più famose: “Mattina” scritta il 26 gennaio del 1917 e “Soldati” nel mese di luglio del 1918.

Negli anni che seguirono la prima guerra mondiale e precedettero la seconda, il poeta rimase a Parigi e fu, dapprima, corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, poi fu impiegato dell’ufficio stampa all’ambasciata italiana.

Nel 1920, conobbe Jeanne Dupoix e la sposò; l’anno successivo si trasferì a Marino (Roma), dove collaborò all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri, mentre si dedicava a una fitta attività letteraria su riviste e quotidiani francesi. Nello stesso periodo, viaggiò molto e ottenne parecchi riconoscimenti ufficiali.

Dal 1931, Ungaretti divenne inviato speciale de “La Gazzetta del Popolo” e per tale incarico fu in Egitto, in Corsica, nei Paesi Bassi e in Italia meridionale.
Nel 1933, il poeta è all’apice della sua celebrità; dal 1936 al 1942 lo troviamo con la famiglia in Brasile, dove si era trasferito per ricoprire la cattedra di letteratura italiana, all’Università di San Paolo del Brasile.

Tornato in Italia, Ungaretti fu nominato Accademico d’Italia. Caduto il fascismo, nel luglio del 1944, il poeta fu sospeso dall’insegnamento e fu reintegrato solo nel febbraio del 1947; mantenne il ruolo di docente universitario fino al 1958 e fuori ruolo fino al 1965.

Dal 1942, Mondadori incominciò a pubblicare l’opera omnia del poeta, con il titolo “Vita di un uomo”. Inoltre, Ungaretti stesso, a partire dal secondo dopoguerra, mandò in stampa nuove raccolte poetiche e ricevette diversi premi.
Nel 1958, il poeta perse sua moglie Jeanne che morì dopo una lunga malattia.
Il 1° gennaio del 1970, Ungaretti scrisse la sua ultima poesia, “L’Impietrito e il Velluto” e nello stesso anno fece un viaggio a New York, dove ritirò il premio internazionale dall’Università dell’Oklahoma.
Morì all’età di 82 anni, nella notte tra il 1° e il 2 giugno 1970, a Milano, di broncopolmonite; fu seppellito nel Cimitero del Verano, a Roma, accanto alla moglie Jeanne.

Per quanto riguarda la poetica di Ungaretti, una delle sue raccolte di poesie: “L’allegria” rappresenta un momento fondamentale per la storia della letteratura italiana. Le poesie, scritte in gran parte tra il 1914 e il 1919, manifestano i sentimenti del poeta nei confronti di ciò che ha vissuto durante la prima guerra mondiale: c’è il dolore, ma sono presenti anche valori quali umanità e fratellanza e il desiderio di riscoprire un’armonia con il cosmo, come appare chiaramente nella poesia “Mattina”. Nelle opere successive si delineerà sempre più, non solo una particolare cura della parola, ma anche l’idea che la poesia sia l’unico mezzo per l’uomo o uno dei pochi per salvarsi dall’ “universale naufragio”. Inoltre, emerge anche uno “slancio vitale”, rafforzato dalla precarietà della vita e dalla visione della morte legate all’esperienza della guerra.

Non tutti furono concordi nell’affermare la grandezza della poesia di Ungaretti, infatti, oltre agli estimatori, ci furono anche molti critici, una condizione normale per qualsiasi precursore e riformatore.
Ad apprezzare in particolare i suoi versi furono i poeti dell’ermetismo che videro in lui un maestro e un iniziatore della poesia “pura”.