Appuntamento con la musica classica: 3 Sonate per piano e violino

Appuntamento con la musica classica 3 Sonate per piano e violino

Il 22 settembre all’Auditorium “Marini” di Falconara Marittima si terrà un concerto di musica classica.
Sonate di Mozart, Beethoven e Saint-Saëns per violino e pianoforte saranno eseguite da due interpreti d’eccezione: Davide Alogna e Martina Giordani.

Il 22 settembre Davide Alogna al violino e Martina Giordani al pianoforte ci intratterranno con delle sonate brillanti e tecnicamente molto impegnative.
Grazie a loro, passeremo dalla leggerezza arguta e raffinata delle note di Mozart, all’energia delle costruzioni razionali e appassionate di Beethoven, fino ad approdare alla levigatezza e alle fantastiche elaborazioni tematiche di Saint-Saëns.

Il programma della serata prevede l’esecuzione di tre brani:

In attesa del concerto esploriamo le composizioni che verranno eseguite, spaziando dalla loro realizzazione a qualche cenno sulla loro struttura.

Sonata n. 18 in Sol maggiore K 301

Il primo brano a essere eseguito è la “Sonata n. 18 in Sol maggiore K 301” di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791), composta nel marzo del 1778, a Mannheim (Germania) e denominata “Palatina”, come le altre quattro dell’Opus 1, dedicate a Elisabetta Maria Aloisia Augusta (1721 – 1794), moglie dell’elettore del Palatinato, Carlo Teodoro di Wittelsbach (1724 – 1799).

Nell’agosto del 1777, Mozart era partito con sua madre da Salisburgo, alla ricerca di nuove opportunità di lavoro. Dapprima fu ad Augusta, poi a Mannheim, a Parigi e infine a Monaco di Baviera.
A Mannheim, il musicista fu ispirato dal clima fecondo della città e compose cinque sonate per violino. La sua musica trasse notevoli vantaggi da questo soggiorno, ma purtroppo, non riuscì nel suo intento di trovare un impiego in città, così il 14 marzo 1778 partì alla volta di Parigi.

La Sonata n. 18 K 301 vide la luce poco prima della partenza per la capitale francese, dove fu poi stampata. Essa è suddivisa in due soli movimenti (Allegro con Spirito e Allegro). Tale scelta si rifà a una tradizione antecedente che considerava questo tipo di composizioni dei duetti stringati e sobri fra pianoforte e violino (in certi casi sostituito dal flauto).

Nelle composizioni mozartiane per pianoforte e violino degli anni 1763-64 il pianista (o cembalista) aveva un ruolo preminente, mentre al violino era assegnato un ruolo secondario. Queste “sonate con accompagnamento d’un violino” erano molto diffuse in tutta Europa e rispondevano alle richieste sempre più considerevoli dei dilettanti. A coltivarle, in particolare, erano musicisti come: Johann Schobert (c. 1720, 1735 or 1740 – 1767), Johann Christian Bach (1735 – 1782) e Muzio Clementi (1752 – 1832).

La Sonata K 301 è diversa dalle sue antecedenti, essa appartiene a una nuova fase della parabola compositiva di Mozart sia per il ruolo paritario che il musicista conferisce a entrambi gli strumenti sia per l’abile contrappunto che disciplina le sovrapposizioni delle loro voci.

Il primo Allegro della Sonata K 301 ha un impianto classico tripartito. Ai due tempi principali (tonica e dominante) sono affiancati degli spunti secondari. Lo sviluppo tematico è vivacizzato da cromatismi e inversioni.
In questo primo movimento è il violino a detenere il ruolo principale, mentre il pianoforte si farà sentire solo più avanti, svolgendo il tema principale e dando vita a un dialogo vivace con varie iniziative melodiche.
La varietà in questo movimento proviene dall’abbondanza dell’inventiva di Mozart nel creare temi e dalla sua capacità di suddividere equamente l’interesse melodico tra i due esecutori che si alternano nel proporre il tema o nel ruolo di accompagnatori.

Il secondo movimento, un Allegro in 3/8, ha la forma di rondò variato, dal sapore francese, caratterizzato da una grande naturalezza di idee che sgorgano spontanee, richiamando lo stile di Franz Joseph Haydn (1732 – 1809).
Mozart ha impiegato motivi vivaci e popolari che fanno da cornice alla parte centrale che, per creare una varietà, si muove in una tonalità minore.

La scelta del violino, quale comprimario in una sonata, per Mozart fu quasi una scelta obbligata, infatti, il musicista, oltre al pianoforte e all’organo, suonava anche il violino. Inoltre, il suo incarico di Konzertmeister a Salisburgo comprendeva, oltre alla direzione d’orchestra, anche il ruolo di primo violino.

Per quanto riguarda invece lo stile delle sonate, sappiamo che, nell’autunno del 1777, a Monaco, Mozart conobbe i duetti per clavicembalo e violino di Joseph Schuster (1748 – 1812) e al padre scrisse: “Non sono cattivi se mi fermerò, ne scriverò io stesso nel medesimo stile, dato che essi sono molto popolari quaggiù“.
Ed è proprio quello che fece, creando qualcosa di diverso.

Sonata per pianoforte e violino in La maggiore n. 9, op. 47

Il secondo brano in programma è la “Sonata per pianoforte e violino in La maggiore n. 9, op. 47” di Ludwig van Beethoven (1770 – 1827), più conosciuta come “Sonata a Kreutzer”.
Fu composta tra il 1802 e il 1803 e pubblicata nel 1805, con una dedica al violinista e compositore francese Rodolphe Kreutzer (1766 – 1831).

Questa Sonata ha una durata di circa 40 minuti; è la più lunga e difficile fra le composizioni realizzate da Beethoven per violino e fu scritta piuttosto in fretta.
Lo stile utilizzato dal compositore è concertante, ai due strumenti è dato identico peso e l’obiettivo del musicista era quello di introdurre elementi di conflitto dinamico, in quello che era il genere più prettamente da salotto.
Le novità presenti in quest’opera sono tali da infrangere le regole delle sonate per pianoforte e violino. Questo brano, dallo stile brillante e quasi da concerto, rappresenta l’inizio di un nuovo percorso per Beethoven.

La sonata è suddivisa in tre movimenti:

  • Adagio sostenuto – Presto – Adagio – Tempo I
  • Andante con variazioni I-IV
  • Finale. Presto

Inizialmente, questa Sonata aveva una dedica diversa. Beethoven voleva farne omaggio al suo amico, nonché virtuoso di violino, George Augustus Polgreen Bridgetower (1779 – 1860), che eseguì insieme al compositore, per la prima volta in assoluto la Sonata, il 24 Maggio 1803, a Vienna, nella sala da concerti dell’Augarten (un caffè del Prater).

Beethoven compose la Sonata op. 47 tra il 1802 e il 1803 e come prima cosa scrisse il finale, mentre i primi due tempi furono realizzati nel 1803.
Il carattere “brillante” o “molto concertante” di questa composizione sembra dipendere proprio da Bridgetower. Il violinista aveva un padre nero (un lacchè del principe Esterhàzy) e madre tedesca; aveva studiato composizione con Haydn e poi era andato in Inghilterra, dove era diventato violinista del principe di Galles.

Nel 1802, Bridgetower si esibì a Dresda e poi giunse a Vienna. Era un esecutore che si faceva notare. Le sue esibizioni erano ardite e stravaganti, e sicuramente, Beethoven rimase colpito dal suo modo di suonare.
A titolo di curiosità, sappiamo che il violinista non ebbe il tempo di studiare le variazioni dell’op. 47, perché il compositore le finì solo alla vigilia del concerto, quindi, Bridgetower dovette arrangiarsi a leggere la parte del violino sul manoscritto e, durante la prova, improvvisò due cadenze virtuosistiche che spinsero Beethoven ad abbracciarlo.

Bridgetower, quindi, si era meritato sotto tutti i punti di vista la dedica della Sonata. Ma quando Beethoven la pubblicò, il dedicatario divenne Kreutzer che il compositore conobbe nel 1798, all’ambasciata francese di Vienna, e che ammirava per “la sua semplicità e naturalezza”.
Diversi anni più tardi, Bridgetower sostenne che questo mutamento di intenti da parte di Beethoven fosse dovuta a una controversia amorosa sorta tra loro: entrambi si erano innamorati di una donna che però aveva scelto Bridgetower. Questa dichiarazione fu riportata dal direttore del “Musical World”, J. W. Thirlwall, nel suo giornale, il 4 dicembre 1888, ma il violinista era morto nel 1860, per cui la singolare rivelazione, non confermata da altre fonti, potrebbe essere solo un’abile trovata giornalistica.
Quello che è certo è che Rodolphe Kreutzer non suonò mai la Sonata op. 47, perché la riteneva “outrageusemente inintelligible” (scandalosamente incomprensibile), e altrettanto fecero altri violinisti, per lo meno in pubblico – delle esecuzioni private si sa ben poco.

Anche uno dei più autorevoli periodici del XIX secolo, l’ “Allgemeine musikalische Zeitung” (Giornale musicale generale) sostenne che, il compositore avesse “spinto la ricerca dell’originalità fino al grottesco” e definiva Beethoven addirittura come “l’adepto di un terrorismo artistico”.

La Sonata ottenne una meritata popolarità dalla seconda metà del secolo, dopo che fu eseguita da Joseph Joachim (1831 – 1907; violinista, direttore d’orchestra, compositore e insegnante ungherese) e Clara Schumann (1819 – 1896; pianista e compositrice tedesca).
L’ultimo passo verso la notorietà per la composizione di Beethoven fu compiuto grazie alla letteratura. Nel 1889, Lev Nikolàevič Tolstòj (1828 – 1910) pubblicò il romanzo breve, “Sonata a Kreutzer”; lo scrittore russo pare apprezzasse solo il primo tempo della composizione, perché fa affermare al suo protagonista che, il secondo tempo è “bello ma comune e non nuovo, con ignobili variazioni”, mentre il terzo è “assolutamente debole”.

Beethoven creò la Sonata op. 47 in un periodo in cui si stava dedicando in modo particolare alla sperimentazione, soprattutto delle forme; non uscì dagli schemi della tradizione, ma ne dilatò le dimensioni architettoniche. Basti pensare al primo tempo che è composto da ben 601 battute (776 con il ritornello dell’esposizione), un numero davvero elevato per quei tempi e per i suoi contemporanei.
Oltre alle nuove dimensioni, nella sonata Beethoven utilizza per la prima volta un’introduzione in movimento lento che aveva già adottato nelle Sonate per pianoforte e per pianoforte e violoncello, ma non ancora nelle Sonate per pianoforte e violino.

Inoltre, questa Sonata detiene un posto particolare rispetto alle altre Sonate non solo per le proporzioni, ma anche per il rapporto esistente fra i due strumenti e per le ambizioni espressive.
Già nelle prime Sonate violinistiche, Beethoven, seguendo Mozart, aveva conferito al violino un ruolo alla pari con il pianoforte, ed entrambi gli strumenti sono concepiti come entità contrapposte, con un’evidente individualità. Il contenuto espressivo, però, era ancora “disimpegnato” e volto all’intrattenimento. Diversa è la situazione della Sonata op. 47, dove il compositore mette in atto nuove ambizioni.

Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28

Il terzo brano della serata è una composizione del 1863 di Camille Saint-Saëns (1835 – 1921), “Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28”. La sua prima esecuzione avvenne a Parigi, al Théâtre des Champs-Élysées il 4 aprile 1867.
Inizialmente, il compositore la concepì come un movimento conclusivo, da introdurre in un’opera più ampia e solo successivamente diventò un brano autonomo.
Saint-Saëns fu un protagonista del secondo romanticismo francese, eppure guardò sempre con diffidenza all’estetica romantica, mentre la sua ammirazione andava alle regole classiche di costruzione e difatti, le sue opere in generale sono dotate di chiarezza e ordine, pur essendo profondamente innovative nel panorama della musica francese.

L’opera 28, però, è un’eccezione, in quanto si rifà al filone più brillante ed estroverso dell’età romantica.
Primo esecutore e dedicatario del brano fu il violinista Pablo de Sarasate (1844 – 1908) che all’epoca era agli inizi della sua carriera. Fu il talento di Saraste a ispirare a Saint-Saëns la sua composizione che infatti, presenta chiare allusioni stilistiche spagnoleggianti, in particolar modo nel rondò.

Il brano fu stampato nel 1875, nella sua versione originale per violino concertante e orchestra da Durand (Marie-August Durand, 1830 – 1909; editore e critico musicale, e organista), mentre già nel 1870, Georges Bizet (1838 – 1875) si era occupato di tradurlo per violino e pianoforte; questa versione nel tempo divenne molto popolare. Anche Claude Debussy (1862 – 1918) fu conquistato dal brano di Saint-Saëns, tanto da studiarne una trascrizione per due pianoforti, tra il 1889 e il 1890.

L’opera 28 si compone di due movimenti: Andante malinconico, l’Introduzione; Allegro ma non troppo, il Rondò.
L’Introduzione ha un umore riflessivo; il violino espone una melodia malinconica e cantabile e il movimento si chiude con una breve cadenza brillante.
Il Rondò propone il tema principale caratterizzato da un motivo in tempo di habanera, scattante e brillante, vivacizzato da abbellimenti e spostamenti di accento.
Il ricorso al folklore spagnolo diventò di moda e fu assunto come uno degli elementi base del violinismo della seconda metà del secolo. Questo motivo brillante si alterna a episodi diversificati che spaziano dal lirismo a raffinati espedienti tecnici. Entrambi gli strumenti assumono a turno il ruolo di guida melodica o di accompagnamento. La conclusione è affidata a una brillante e trascinante coda.

Valentina Ciardelli e il contrabbasso, questo sconosciuto

Valentina Ciardelli e il contrabbasso, questo sconosciuto

Nella magnifica cornice della terrazza del museo archeologico di Ancona, ieri sera, 26 luglio, un pubblico attento e nutrito ha assistito a un bellissimo concerto per contrabbasso solo.

Volevo ascoltare questo concerto non appena ho visto la locandina che lo pubblicizzava.
Già l’immagine scelta per promuoverlo mi aveva colpito e al contempo, ero estremamente curiosa di assistere a un’esecuzione che abbinava uno strumento come il contrabbasso (che io ho trovato sempre intrigante) e un’esecutrice femminile.

Ero anche incuriosita dall’idea di ascoltare un concerto dall’inizio alla fine eseguito su uno strumento così particolare che, solitamente, non occupa un posto di primo piano, nonostante io abbia sempre ritenuto il contrabbasso uno strumento estremamente affascinante, sia nella musica classica sia nel jazz.

A volte, un po’ relegato in ruoli di secondo piano, immeritatamente, perché, la “voce” del contrabbasso è così particolare, e la sua stessa presenza fisica, a parer mio, ne fanno un personaggio di primo piano, un protagonista.

Per quanto riguarda la solista che si è esibita ieri sera ad Ancona, non sono di certo rimasta delusa. Valentina Ciardelli ha conquistato tutti con la sua bravura e la sua simpatia.
Certamente, decidere di affrontare un pubblico da sola con uno strumento come il contrabbasso è un atto coraggioso, perché non siamo abituati a isolare la sonorità di questo strumento da quella degli altri elementi di un’orchestra o magari di un gruppo jazz, tranne che per brevi momenti di assolo, inclusi però in una composizione più ampia, dove il contrabbasso è solo uno dei tanti personaggi di un brano musicale.

Coraggioso e anche difficile il ruolo che si è ritagliata Valentina Ciardelli che ha fatto centro anche sulla scelta dei brani: un percorso variegato, dove ha brillato non solo la sua capacità interpretativa, ma anche la sua abilità di trascrittrice.

Espressiva in ogni passaggio, non solo musicalmente: le espressioni del suo volto e i gesti mostravano un grande coinvolgimento che è arrivato dritto anche al pubblico presente.

Personalmente, ho apprezzato moltissimo il brano di Emil Tabakov “Motivy”, ma anche il resto del programma non era da meno.

Sono perfettamente d’accordo poi, con le parole della Ciardelli che ad apertura concerto ha affermato che la cultura va preservata, perché è una parte importante della nostra vita, un segno distintivo dell’essere umano e per questo, deve essere coltivata e ancor più divulgata senza sosta, se non vogliamo perdere una parte fondamentale della nostra umanità.