Frasi lunghe frasi brevi: un falso dilemma per lo scrittore

Frasi lunghe frasi brevi un falso dilemma per lo scrittore

Alle prese con la lettura dell’ennesimo giallo, cerco di capire come rendere il senso di ansietà che si crea in certe scene d’azione, dove chi legge si lancia sulle parole in volata, senza saltarne una (per carità) ma cercando di arrivare il più in fretta possibile ad afferrare quanto sta per accadere.

Insomma, mi chiedevo: come si fa a scrivere un testo trepidante che già nella forma esprima il contenuto?

In realtà, è semplice, se uno conosce a fondo i ferri del mestiere di scrittore.

Per ottenere frasi di questo tipo, è necessario essere: brevi, rapidi, incisivi, sfruttando ogni strumento teorico e pratico che siamo riusciti a immagazzinare.

Ad esempio: una punteggiatura incalzante, con molti punti; l’uso di parole che colpiscono; frasi nominali (senza verbo) e magari solo una frase iniziale con un verbo forte, possono essere un ottimo strumento per ottenere quel ritmo sollecito che vogliamo imprimere alla nostra scrittura e che poi sarà evidente ai nostri lettori.

Di tutt’altra pasta sono le frasi lunghe, a volte tortuose, che servono a farci riflettere, a condurci per mano al concetto finale, a regalarci un’immagine indelebile che ci resterà nella memoria a lungo, a volte per sempre.

Quindi, lunghe o brevi le frasi sono tutte importanti: servono a creare una data atmosfera, a conferire un certo ritmo alla narrazione, a rispondere a un dato genere. E molto spesso, la scelta tra l’una o l’altra forma costituisce il marchio di fabbrica di un autore.

Dettagli. Ma voi sapete che cos’è un dettaglio e perché è importante?

spaghetti pomodoro basilico dettaglio

Che cosa vi viene in mente se vi dico la parola dettagli?

La prima cosa che è venuta in mente a me è una pietanza cui sono state aggiunte delle spezie o una particolare decorazione, ad esempio, una piccola foglia di menta posta a scopo estetico su un piatto ricercato.

Quante volte mangiando qualcosa avete avvertito nel sapore una nota singolare?
Un dettaglio, appunto! Nel caso specifico, magari del peperoncino o una particolare spezia che rende il sapore di quel piatto unico.

Quindi, ricapitoliamo: che cos’è un dettaglio?

Ora, la risposta può essere: un elemento che rende particolare qualcosa; un elemento che rende unico un oggetto, un edificio, un piatto di un grande chef.
Un altro esempio interessante di cosa sono dei dettagli potete scoprirlo osservando la vostra città.

Avete mai osservato gli edifici accanto cui passate ogni giorno?

Non intendo un’occhiata e via – che al massimo coglie il colore e il materiale di cui è fatto un palazzo oppure una sagoma al limitare del campo visivo.
No, io parlo proprio di un’osservazione acuta, approfondita, magari attraverso l’ottica di una macchina fotografica, che vi consenta di vedere quello che sfugge all’occhio.

Vi assicuro che scoprirete un’infinità di cose che neppure sospettavate e tornerete a casa stupiti di quanto possa essere affascinante la vostra città; sorprendente e speciale, proprio come quel sapore che avete sentito in bocca, assaggiando quella particolare pietanza, di cui, magari, siete riusciti a individuare e classificare quel dettaglio che fa la differenza.

I dettagli sono importanti, non vanno mai trascurati, anzi, vanno corteggiati e studiati a fondo; anche quando si scrive, perché i dettagli sono il “sale della terra” e la “luce del mondo” (Vangelo, Mt 5,13-16); non dimenticatelo.

Finali: quanto sono importanti in una storia?

macchina da scrivere con foglio

Se è vero quello che diceva la mia insegnante di danza sui finali, allora, noi scrittori, e non solo noi, dobbiamo essere molto accorti.

Lei sosteneva che gli spettatori ricordano maggiormente le ultime cose viste, quindi, errori nel finale avrebbero compromesso tutto il lavoro precedente, insomma, l’intero saggio di danza.

Poche sere fa ho rivisto il finale di un film che mi era piaciuto e mi aveva divertito molto e mi sono resa conto che sì, la mia insegnante di danza aveva ragione.
Il film che ha contribuito a convincermi era “Mr. Crocodile Dundee“.

Il finale della divertente e avventurosa storia d’amore in questione ha la giusta dose di tensione.
Lui sta per andarsene, lei lo insegue: ha saputo che intende lasciare New York e non vuole perderlo.
Dopo l’inseguimento, lei lo raggiunge in un’affollatissima metropolitana, lo vede, ma sono separati da tutte le persone stipate in attesa dei treni.
Due provvidenziali estranei (la gentilezza degli estranei è sempre gradita nei film) consentono ai due di parlarsi, grazie a una specie di telefono senza fili, e lui, ovvio, non se ne va più. Immagino conosciate il resto.

Non intendo fermarmi qui nel resoconto di finali altrettanto memorabili.
Chi non ricorda il finale di “Dirty Dancing“?
Lui che dice: “Nessuno può mettere Baby in un angolo” e poi, dopo aver afferrato la sua ragazza e consumate le poche battute di rito, c’è l’accattivante ballo finale.

E “Il laureato“?
Che cosa mi dite della fuga dall’altare, la lotta con i genitori e i parenti inferociti, la corsa, il balzo sul provvidenziale autobus di passaggio e poi la risata liberatoria e lo sguardo scambiato tra i due fuggitivi e i passeggeri del mezzo pubblico sbalorditi?

Non credo di dover continuare per dimostrare che il finale, che si tratti di quello di una serie di numeri di danza o di un film o appunto di un libro (era qui che volevo arrivare), è fondamentale.
La chiusura è un sigillo magico, è ciò che resta per ultimo nel cuore di chi assiste a uno spettacolo o legge un libro e per questo deve essere della lunghezza giusta: non troppo breve, come se si avesse fretta di liquidare la storia, e neppure troppo lungo da far desiderare di anticipare l’ultima riga o l’ultima immagine.

Il finale deve avere la giusta lunghezza, ogni storia ha la sua.
Deve riassumere ciò che si è visto, spiegare ogni cosa se ce n’è bisogno e se poi, c’è anche il giusto crescendo e il tanto atteso climax è anche meglio.
Non importa se lo spettatore o il lettore si prefigura già come andrà a finire la storia: l’importante è come lo si conduce fino alla parola fine.

Parola del giorno: leggerezza

colibri leggerezza

Oggi, camminando tra i miei pensieri sono inciampata sulla “leggerezza”.

Che pesa relativamente poco, che fa sentir poco il suo peso
Così definisce il termine “leggero” il vocabolario Treccani

Calvino, nelle Lezioni americane, tenta di definire la leggerezza che ritiene una caratteristica ben presente nelle sue opere.
Lo scrittore sostiene di aver sottratto peso alle figure umane, ai corpi celesti e alle città, ma soprattutto, ritiene di aver tolto peso alla struttura del racconto e del linguaggio.

Seguendo i suoi suggerimenti si arriva a Montale, a Piccolo testamento, dove la leggerezza assume labili sembianze:
traccia madreperlacea di lumaca/o smeriglio di vetro calpestato

Questi sono solo alcuni esempi letterari legati a questa parola: molti si sono interrogati sul suo significato e hanno cercato di dare risposte o definizioni, magari attraverso complessi trattati filosofici.

Lascio a voi il compito di rintracciare altre impronte della leggerezza nella letteratura, nella filosofia, e perché no, anche in qualche singolare trattato scientifico.

Se facessi diversamente, appesantirei questo post che vuole essere un semplice suggerimento.

Per quanto mi riguarda, io credo che in qualsiasi modo la si rappresenti, la leggerezza sia una conquista, la capacità di sentire le cose che ci circondano senza farsi soffocare da esse, dalla pesantezza delle giornate, dalle fatiche quotidiane e dal dolore.

Ritengo che leggerezza sia la capacità e la certezza di avvertire un barlume di gioia nascosto o lontano; il desiderio che prende corpo senza pesare sull’anima.