Trovare la parola giusta è un’arte: mai accontentarsi di un sinonimo

Trovare la parola giusta è un'arte mai accontentarsi di un sinonimo

Sono rimasta colpita da un’affermazione sulle parole: “Da un punto di vista espressivo non esistono sinonimi in una lingua, ossia, non esistono due parole che si possono considerare identiche o equivalenti“.

Capite che questa affermazione – espressa da Giuseppe Pontiggia nel suo “Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere” – scatena in uno scrittore molti pensieri e fa riflettere sulle responsabilità che investono chiunque abbia fatto della scrittura un mestiere.

La mia formazione musicale, inoltre, mi impone di scegliere le parole anche in base alla loro capacità di generare una sensazione di piacevolezza all’orecchio, ma ovviamente, mi pongo anche il problema del loro significato.

Quanto conosciamo davvero il senso di un termine?
Alcune parole sembrano significare la medesima cosa, ma in realtà ci sono mille sfumature o addirittura un oceano a distanziarle.

Alcuni termini hanno assunto con il tempo delle connotazioni particolari, negative o positive, in base all’uso che ne è stato fatto negli anni, e non solo: ci sono parole che hanno una sottile caratterizzazione e solo chi ha di una data lingua una conoscenza davvero approfondita può conoscerla e apprezzarla.

Io, ad esempio, ho notato che studiando altre lingue si finisce per conoscere meglio la propria; si notano delle singolarità cui non si era prestata attenzione fino a quel momento.

Le parole sono per me fonte di stupore continuo, alcune, se si sonda la loro etimologia, danno vita a scoperte sorprendenti.
Sono convinta, fin qui, che non deluda mai comprendere le parole sempre meglio e usarle in modo sempre più corretto e appropriato.

Questo atteggiamento non solo aiuta a ottenere una scrittura più coinvolgente e adeguata, ma ci consente soprattutto di comunicare in modo più efficace e di farci capire dagli altri: essere accurati con le parole ci rende, sicuramente, delle persone migliori.

25 aprile: parole in libertà

25 aprile parole in libertà

Chi dice che le parole non contano?
Le parole contano, eccome.

Le parole hanno potere, specie se arrivano alle orecchie giuste, se vengono comprese in tutta la loro multiforme complessità.

Le parole hanno un’anima, hanno un colore, bruciano e fanno male; a volte, sono un balsamo per il cuore.
Usiamole con parsimonia e preferiamo il silenzio a parole vuote o delle quali non siamo sicuri.

Impariamo a cercare le parole giuste: non accontentiamoci di falsi simulacri che non esprimono nulla, di parole dette da altri e con poca convinzione.

Sondiamo il nostro vocabolario e scoviamo quelle che si adattano ai nostri sentimenti e alle nostre emozioni come un guanto che calzi alla perfezione.
Ma soprattutto, amiamo le parole che ci permettono di entrare in comunicazione con gli altri, che ci fanno sentire più forti, più giusti, più umani.

Scegliamo con cura le nostre parole e creeremo un mondo migliore, più vero, più libero, dove ci sarà spazio per le parole di tutti.

Uso scrupoloso delle parole per aiutare il lettore a visualizzare una scena

uso delle parole

Fondamentale per una lettura coinvolgente è riuscire a scrivere in modo che il lettore possa visualizzare la scena che state descrivendo.

I termini da usare vanno scelti con grande oculatezza, in particolare i verbi che sono il propellente dell’azione.
Se utilizzate le parole giuste, con poche frasi ben delineate e una serie di verbi trascinanti, potrete costruire una scena che possiederà grande chiarezza e consentirà ai vostri lettori di entrare nella storia e farne in qualche modo parte.

Ad esempio, una frase semplice, tratta da “Le molliche del commissario” di Carlo F. De Filippis:
Il commissario spense la sigaretta, infilò la giacca e si alzò“.
Questa frase contiene nella sua brevità una scena perfettamente costruita e facilmente immaginabile dal lettore.
Si riesce a vedere il commissario che compie le tre azioni descritte; i verbi danno ritmo alla frase che è composta da tre segmenti che segnalano i tre gesti dell’uomo.

Nei gialli, in particolare, dove spesso le descrizioni sono usate ai minimi termini, è importante tracciare con rapidità una scena o i tratti caratteristici di un personaggio; è importante non far “soffrire” l’azione né farla stagnare, per questo, spesso, nei romanzi gialli compaiono frasi scarne ed efficaci e verbi incalzanti.

Il potere delle parole di: suscitare emozioni, evocare ricordi e creare legami

Le parole hanno un enorme potere evocativo ne abbiamo la prova ogni giorno, ma spesso non ci facciamo caso.

Prendiamo me, sto facendo ricerche per un articolo sulla seta e appena mi sono concentrata sulla parola “seta” ho subito creato una serie di collegamenti tra questo specifico termine e una serie di ricordi legati a questa parola: ho pensato a Marco Polo e poi, a “Le città invisibili” di Calvino.

Ovviamente, se pensate voi alla parola “seta” creerete altri collegamenti nella vostra testa, in base ai vostri personali ricordi, magari legati alla scuola (vedi Marco Polo) e alle vostre esperienze personali.
La seta, in tal caso, potrebbe riportarvi alla memoria un foulard particolarmente prezioso e una giornata speciale che avete passato indossandolo oppure chissà quali altri tristi o felici ricordi.

Le parole creano mondi, ma sono in grado di creare anche collegamenti, suggestioni, immagini. Mai sottovalutare il potere di una parola e spesso è difficile individuare fin dove possa arrivare la sua capacità evocativa, e le sue possibilità di suscitare emozioni negative o positive in chi la vede scritta o la sente pronunciare.

Quando si scrive è importante non sottovalutare questa capacità delle parole di creare collegamenti anche con elementi molto lontani tra loro. Certo, non possiamo sapere tra le tante persone che metteranno gli occhi su delle righe di testo da noi scritte, quali emozioni o possibili collegamenti potranno creare, ma in certi casi, certe associazioni sono un tesoro comune cui attingere, perché si sono creati nel tempo dei legami fortissimi tra alcune parole e degli eventi precisi o delle sensazioni tangibili.

Se ad esempio, leggete la parola “cioccolato“, a meno che non apparteniate a quella minoranza che non ama questo particolare alimento, è probabile che vi venga la nota acquolina in bocca.
Se invece dico “dentista“, quasi sicuramente, il ricordo non sarà altrettanto piacevole e forse, vi immaginerete, con una punta di terrore, su una poltrona con qualcuno che traffica nella vostra bocca.

Le parole, in ogni caso, non hanno solo un potere evocativo, dicono molto anche su di noi, quando scegliamo un dato termine piuttosto che un altro, per esprimere un’emozione o per raccontare un aneddoto.

Il nostro legame con le parole è complesso e plurimo e si muove dall’esterno verso l’interno o viceversa.
Quando sentiamo o leggiamo una parola, siamo noi a provare una sensazione o ci troviamo a evocare un ricordo; quando invece ci esprimiamo con certi termini, comunichiamo agli altri chi siamo: la nostra cultura, la nostra sensibilità, le nostre esperienze.

Le parole, in pratica, veicolano e portano con sé molti significati, oltre a quelli reperibili su un dizionario; per questo bisogna fare attenzione all’uso che facciamo delle parole sia quando si usano per mestiere sia quando ci rivolgiamo agli altri, in ogni situazione della vita quotidiana, perché le parole possono curare o avvelenare un’anima.

Il fascino dei nonsense tra follia e acrobazia linguistica

Chi non ama i nonsense?


nonsense Jabberwocky



Basta pensare a una poesia di Lewis Carroll nel romanzo “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” per essere trascinati nella follia del nonsense, nella magia delle sue assonanze, nell’acrobatico mondo delle sue rime e assaporare, in un istante, una creatività senza confini.

Il ritmo è quello delle filastrocche dei bambini e mentre leggiamo mi pare di vederli giocare alla campana, saltando nei riquadri tracciati a terra con il gessetto e con voce cantilenante recitare la poesia.

‘Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.


Beware the Jabberwock, my son!
The jaws that bite, the claws that catch!
Beware the Jubjub bird, and shun
The frumious Bandersnatch!


He took his vorpal sword in hand:
Long time the manxome foe he sought
So rested he by the Tumtum tree,
And stood awhile in thought.

And as in uffish thought he stood,
The Jabberwock, with eyes of flame,
Came whiffling through the tulgey wood,
And burbled as it came!

One, two! One, two! And through and through
The vorpal blade went snicker-snack!
He left it dead, and with its head
He went galumphing back.

And hast thou slain the Jabberwock?
Come to my arms, my beamish boy!
O frabjous day! Callooh! Callay!
He chortled in his joy.

‘Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.

(Lewis Carroll)

Non è neppure il caso di tentare una traduzione: troppo complicato e poi, non sta nella comprensione dei versi la bellezza di questa poesia; possiamo tranquillamente godercela assaporando le rime, i picchi dei suoni duri e la piacevole rotondità di quelli morbidi; sentire come le parole tengono impegnata la nostra lingua che si muove nel palato e tra i denti per pronunciarle anche se le recitiamo a mente, senza declamarle ad alta voce.

Avvertiamo anche che c’è una certa animazione, questo personaggio: il
Jabberwock deve essere una creatura davvero temibile, ma siamo certi che non lo incontreremo mai o almeno lo faremo, ma solo nel mondo della fantasia.

in copertina: Il Jabberwock, illustrazione di John Tenniel per Through the Looking Glass, 1871.

Punteggiatura, ritmo e musica: guide infallibili per un buon testo

note musica parole

Sto leggendo l’ennesimo libro sulla punteggiatura, mai stanca di approdare a nuovi lidi ritmici che riguardino frasi e e parole; e più leggo e più mi rendo conto che scrivere ha davvero molto a che fare con la musica.

Incantata, affascinata dai leggiadri segni di interpunzione, ogni giorno metto a punto la musica contenuta nella mia scrittura, seguendo il mio orecchio.

La musica è un punto di riferimento forte. Leggo e rileggo quando scrivo le frasi e le ascolto, mentre leggo ad alta voce con grande attenzione, le provo, sondo la loro musicalità, finché non suonano perfette, fin quando il loro accordo è simile a una melodia orecchiabile e godibile.

A volte, amo le asperità, le punte aguzze di certi termini che si assiepano sulla carta e spiccano, creando strane atmosfere, per poi sciogliersi in parole più morbide e sinuose.

Cerco la polifonia nella pagina, la inseguo come un miraggio, tra verbi, soggetti e complementi.

Punti e virgola decisi, due punti sussiegosi e virgole sconnesse sono le mie pause musicali, gli abbellimenti tra le parole.

Ogni frase è una sfida, un duello tra cervello, cuore e immaginazione. L’arco melodico di una battuta ha bisogno di parole connesse tra loro, di suoni che s’accordano o vanno in contrasto, ma che comunque siano accolti dall’orecchio, da lui approvati, adorati o assolutamente inaspettati.

Mestiere di scrivere: il ritmo, una questione importante

metronomo ritmo

Nella maratona inesausta delle mie letture, oltre a scegliere il genere, mi lascio guidare dal ritmo dell’autore che mi aiuta anche nel mestiere di scrivere.

Ogni storia ha il suo ritmo.
Credo sia utile per ognuno di noi scegliere quello che ci è più congeniale.
Di solito, quando le mie letture hanno il ritmo giusto riesco a scrivere diverse pagine nello stesso giorno; le parole escono senza fatica, rallentate solo dalla capacità delle mie mani di stare dietro ai miei pensieri.

Questo accade perché la musica ha sempre avuto una parte da protagonista nella mia vita. Anche quando apparentemente credevo di averla accantonata, la musica è sempre tornata alla ribalta nella mia vita, nei più svariati modi.
Sono convinta che la musica influenzi profondamente il mio modo di scrivere: anche quando non viene citata esplicitamente, è comunque presente, in altre forme, ad esempio, nel ritmo delle parole o nella scelta dei termini.

Leggo e rileggo spesso quello che ho già scritto, prima di procedere con la scrittura, e scelgo le parole anche per il loro suono, oltre che per il loro senso all’interno di una frase e rileggo sempre ad alta voce, per valutare se all’orecchio suona tutto nel modo giusto.

I miei libri sono diventati il mio strumento personale e io premo tasti, pizzico corde o intono note, ogni volta che scrivo.

Androne: le parole quotidiane logorate dall’uso eccessivo

dizionario aperto con occhiali

Le parole di uso quotidiano finiscono per vedere stemperati alcuni significati del termine originario, con il passare del tempo. A volte, specie se sono usate molto spesso, lo perdono del tutto.

Oggi mi sono imbattuta nella parola androne, non che non sapessi cosa significa e immagino lo sappiate anche voi…
ma quanti di voi, come me del resto, si sono chiesti, di là dal suo consueto significato di: “ambiente di passaggio dal portone d’ingresso della casa alle scale e al cortile“, da dove tragga origine questa parola?

Vi chiederete come sono arrivata di filato nell’androne e mi sia posta domande sull’etimologia di questa parola.
È presto detto: sto lavorando a un progetto con dei bambini: Il Paese di Tritacrome e durante la lettura del testo mi hanno chiesto di spiegare loro alcune parole.

Ho notato che alcuni termini di uso comune non sono per niente facili da spiegare: l’uso prolungato rende certe definizioni quasi insondabili, non spiegabili con altre parole. Il loro senso è trito e ritrito. Un po’ come le coppie di coniugi sposate da tempi immemorabili che si danno per scontate.

Provate anche voi a spiegare una parola di uso comune a chi non sa proprio che cosa significhi quel dato termine. Vedrete che vi capiterà di “impappinarvi” su qualcosa, di scoprire che certi termini sono così, punto e basta, non si riesce a trovare un altro senso da affiancargli. Si sa cosa vogliono dire, ma non si possono esprimere in altro modo.

Per farla breve, a causa di questo “impappinamento” da usura, ho pensato di affidarmi a un dizionario, per fare un lavoro accurato e per trovare le giuste parole per chiarirne un’altra. Ho ri-scoperto il Dizionario, questo Libro delle parole (Wörterbuch, come dicono saggiamente e senza tante circonvoluzioni i tedeschi) che ci consente di trovare tesori nascosti nella nostra lingua.

Perdonatemi, mi sono inoltrata nelle stanze e non vi ho neppure introdotto nell’androne.
Bene, oggi ho scoperto che cosa significava nell’antichità questa parola e mi sono accorta del riferimento a: ἀνήρ ἀνδρός “uomo”.

Ora, se anche voi ignorate il significato recondito di questa parola fate come me: aprite un dizionario o meglio, cliccate qui.

Parole come metafore di vita: Das Stehaufmännchen

Giocattolo bambini misirizzi

Amo le parole in genere e se non ne conosco il significato corro a consultare un dizionario, operazione davvero semplice, oggi come oggi, disponendo di internet: con pochi click il problema è rapidamente risolto.
Amo anche lo studio di altre lingue e mi affascinano le similitudini e le differenze tra le parole, la loro origine e anche le storie e i significati che ruotano attorno a loro.

Al momento sto affrontando lo studio del tedesco e questo mi garantisce un appuntamento fisso il mattino presto con la Deutsche Welle, una rivista online che spazia tra argomenti di vario genere: notizie di politica, arte, musica, storia, ecc.

Scandagliando il sito della rivista online, alla ricerca di articoli comprensibili al mio livello di studio, mi imbatto spesso in argomenti curiosi e interessanti.
Una rubrica che non delude mai di questa rivista è: “Wort der Woche” (La parola della settimana) che tratta curiose parole composte (una magia prettamente tedesca) o parole che sono legate a detti e modi di dire curiosi.

Questa settimana ho scoperto questa parola: Das Stehaufmännchen (giocattolo dalla base tondeggiante, fortemente appesantita) che definisce quegli oggetti per bambini, pupazzi con sembianze umane un po’ bizzarre o animalesche che hanno la caratteristica di non cadere mai, bilanciati come sono per tornare sempre al “punto di partenza” e cioè in equilibrio sulla loro sfera su cui sono stabilmente poggiati.

Questo articolo mi ha colpito perché il curioso oggetto in questione, almeno secondo la lingua tedesca, è usato come metafora per definire le persone che nonostante grandi difficoltà incontrate nella vita o gravi crisi da superare riescono comunque a rialzarsi e a riprendere la propria vita.

Mi è sembrata una bella metafora di vita per cui auguro a tutti di: „Hinfallen, Aufstehen, Krone richten, weitergehen“. (Cadere, alzarsi, raddrizzare la corona e andare avanti).

L’importanza di studiare una lingua straniera

libro tedescoStamattina stavo rileggendo ad alta voce la mia ultima pretenziosa prosa in tedesco.

Argomento: una gita, non al famoso faro di memoria woolfiana, bensì a un piccolo comune nel pesarese. Compito che la mia insegnante di tedesco, ragazza molto paziente e piena di talento, mi ha assegnato per questa settimana.

La mia pronuncia è ancora bisognosa di rettifiche, ma migliora, sostenuta dalla passione, dalla forza di volontà e dal desiderio insopprimibile di conoscere; altrettanto fa la mia grammatica che si inerpica testarda tra coniugazioni di verbi, declinazioni di aggettivi, casi, generi e tante altre linguistiche difficoltà.

La curiosità, quella buona: di non fermarsi alle apparenze, di approfondire, conoscere è sempre stata una mia compagna fedele, un oggetto indispensabile nella valigia che mi porto dietro.

Studiare una lingua straniera per me è un investimento prezioso per il futuro, per comprendere realtà diverse dalla mia; è un modo per immergermi in un mondo nuovo.

Le parole e il loro uso sono spesso un strumento molto potente per comprendere punti di vista diversi dal nostro.

Certe espressioni sono particolari di una certa cultura, di un percorso storico specifico e tali singolarità si manifestano anche nella costruzione delle frasi, nelle posizioni definite del soggetto, del verbo, degli aggettivi.

La lingua è una materia fluida, si forma per abitudini ben consolidate e finisce per rispecchiare noi e la nostra vita in modo puntuale.
Accompagna con le sue regole il nostro modo di pensare, di vedere le cose.
Si collega all’ambiente dove è nata e dove continua a svilupparsi.

Non dimentichiamo poi che la lingua ha colto e coglie suggerimenti e suggestioni da altre lingue e ci dice, attraverso le frasi che pronunciamo ogni giorno, che pur diversi, siamo uniti più di quanto pensiamo.