Poesia e musica: Anna Achmatova e “Il Ritorno dell’Angelo”

Anna Achmatova il Ritorno dell'Angelo

Il 21 agosto assisteremo allo spettacolo “Il Ritorno dell’Angelo” uno spettacolo tra teatro, poesia e musica, dedicato all’amore; ispirato dalle musiche del maestro Marco Sollini e dalle poesie di Anna Achmatova.

Il 5 marzo 2006 a San Pietroburgo è stato inaugurato un monumento dedicato ad Anna Andreevna Achmatova (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966). Si tratta di un pezzo di parete con l’effigie della poetessa russa. L’iscrizione, che è incisa in un’immagine speculare, contiene delle parole prese dai versi delle sue poesie “L’ombra mia sulle pareti tue“.

La data di inaugurazione del monumento non è stata scelta a caso: coincide con il 40° anniversario della morte della poetessa, ed è stato collocato nel giardino accanto alla casa della fontana. In questa casa Anna visse per 30 anni ed ora qui, si trova il museo letterario-commemorativo a lei dedicato.
La poetessa definiva il giardino della sua casa magico e diceva che qui arrivavano le ombre della storia pietroburghese.

Nella casa della fontana, palazzo nobiliare appartenuto all’aristocratica e influente famiglia Šeremetev a Leningrado, la Achmatova occupava un piccolo appartamento.
L’edificio tardobarocco aveva un ampio cortile interno e una cancellata di ferro imponente. Dopo la Rivoluzione, era stato suddiviso in minuscole abitazioni e già mostrava i segni di un lento degrado.

L’alloggio di Anna era alla fine di una ripida scala buia; l’arredamento era essenziale: un tavolino, poche sedie, una cassapanca, il divano; alla parete, l’unico disegno del pittore Amedeo Modigliani salvato dall’assedio.

Anna Achmatova è ritenuta tra le maggiori poetesse del secolo in lingua russa. Fu anche una tra le più critiche penne contro lo stalinismo e la sua famiglia pagò duramente la sua opposizione: il suo primo marito fu fucilato, mentre il secondo marito e il figlio furono condannati alla detenzione nei gulag. Lei stessa fu osteggiata in più occasioni e costantemente controllata in ogni sua attività. Solo in tarda età, poco prima della sua morte, ricevette riabilitazione letteraria dalle autorità sovietiche.

A questa famosa poetessa è dedicato un singolare progetto: “Il Ritorno dell’Angelo”, una prova lampante che la musica è in grado di raccontare storie, dato che in essa spesso vivono, latenti, parole e dramma.
Ponendosi in ascolto, dalla musica è possibile estrarre e combinare immagini e visioni, che possono condurre a espressioni differenti, più ampie, grazie all’ausilio del corpo e della voce.

L’idea musicale da cui parte questo progetto, che si muove tra teatro poetico e musica, sono i “24 Piano Works” di Marco Sollini.
I brani, che saranno suonati da Martina Giordani al pianoforte, sono pieni di rimandi e suggestioni, e il progetto è unico nel suo genere.
Sul palcoscenico insieme alla pianista saranno presenti anche due attori: Valentina Pacetti e Francesco Tranquilli.
Tutti e tre gli artisti, il 21 di agosto, presso il castello di Falconara Alta, ci guideranno in un viaggio che parla essenzialmente d’amore. La storia d’amore tra l’Angelo e Vladimir.
Anna è l’angelo, tale appellativo proviene da un suggerimento di Amedeo Modigliani (Livorno, 12 luglio 1884 – Parigi, 24 gennaio 1920), con cui la poetessa russa ebbe una breve ma intensa relazione; il pittore italiano la chiamava “il mio angelo dalla faccia triste”.
Vladimir, invece, simboleggia tre degli uomini che la poetessa russa ha amato e che hanno segnato profondamente la sua vita sentimentale.
Citazioni e versi recitati alla fine di ogni brano musicale sono tratti dalle poesie e dalle lettere di Anna Achmatova.

Per capire come si è arrivati a questa singolare rappresentazione e per approfondire alcuni aspetti dello spettacolo, ho posto alcune domande a due dei protagonisti dello spettacolo.

Allo scrittore, attore e regista Francesco Tranquilli ho rivolto le seguenti domande.

Quale è stata la scintilla che ha dato il via a questo interessante progetto e perché sono stati scelti proprio i “24 Piano Works” di Marco Sollini?
Nell’estate 2021 mi è venuto in mente di scrivere un testo teatrale in poesia su musiche pre-esistenti. Di creare qualcosa che invertisse il percorso “tradizionale”, che parte dal testo e poi sceglie o compone una musica per arricchirlo o accompagnarlo. Io volevo trovare musiche che fossero nate indipendenti, e “usarle” perché mi ispirassero delle parole, dei versi, una storia, così da realizzare uno spettacolo di prosa poetica con musica dove la voce recitante fosse, per così dire, uno strumento aggiunto, ispirato dal testo musicale e non “appoggiato” sopra.
Allora mi sono ricordato dell’album di Sollini del 2018, “The Angel Goes Home”, i cui brani sono stati tutti pubblicati e ristampati nel 2021 (tranne quello del titolo) come “24 Piano Works”. All’epoca Marco si era consultato con me sul titolo da scegliere, che prendeva spunto dal quadro di un pittore greco raffigurante un Angelo ortodosso, riprodotto sulla cover del cd originale. Riascoltando quei brani, tutti molto diversi fra loro, molto evocativi, ispirandomi ai loro ritmi, alle armonie, all’andamento melodico – e anche ai titoli – le parole hanno cominciato ad arrivare, e in un paio di mesi la “storia” dei due poeti era pronta: mancavano però i personaggi e l’intreccio, per fare del “Ritorno dell’Angelo” una narrazione teatrale e non un semplice recital.

Che cosa ha fatto scattare l’associazione tra la musica di Sollini e le poesie di Anna Achmatova?
Tutto è andato a meglio a fuoco quando Marco mi ha comunicato che avremmo avuto in scena una pianista, scelta da lui personalmente, che ha debuttato con noi nell’agosto 2022 per una sola sera. Ora potevo definire meglio i rapporti fra i personaggi: la Poetessa, la Musicista, il Poeta combattuto fra l’una e l’altra, diviso fra un’affinità elettiva con la prima e un’attrazione innegabile per la seconda, che provoca rapidamente una crisi nella relazione dei due protagonisti “recitanti”.
Restava l’Angelo del titolo. Siccome i pezzi per pianoforte di Sollini hanno tutti un retrogusto evidente – e voluto – del pianismo dei primi del Novecento, Rachmaninov non escluso, l’idea di un’ambientazione che alludesse alla Russia di quell’epoca si faceva strada. Allora il nome di Anna Achmatova, l’ “angelo” di Modigliani e l’ “Angelo Nero” del celebre ritratto di Tyrsa, mi è tornato in mente dai tempi dei miei studi universitari. Ho letto diverse sue biografie e ho visto che il “mio” angelo non poteva essere che lei. È seguita una lunga ricerca per trovare, all’interno della sua opera poetica e delle sue lettere, dei versi o delle frasi che potessero collegare i vari quadri di cui si compone il nostro spettacolo, rendendo anche più fluido il racconto di questa storia d’amore travagliata, come quelle di cui è stata protagonista la vera Anna. I versi che io e la bravissima Valentina Pacetti come Anna, recitiamo sulla musica, invece, sono stati composti da me, cercando di rispettare al massimo le partiture originali di Sollini.

Invece, alla pianista e didatta Martina Giordani ho posto i seguenti quesiti.

Che cosa ti ha spinto a partecipare a questo progetto?
Sono stata contattata da Francesco Tranquilli parecchi mesi prima della messa in scena de “Il ritorno dell’angelo”. Mi ha incuriosito questo tipo di spettacolo, in cui parola e musica sono strettamente collegate. Conosco inoltre le musiche del Maestro Sollini e dopo aver letto la trama, ho deciso di prendere parte al progetto. Abbiamo già portato sul palco lo spettacolo a fine maggio, in tre date diverse, nella zona dell’ascolano. Sono lieta che ora l’Angelo approdi anche a Falconara, mio paese d’origine.

Quali sono le sensazioni che hai provato come pianista, associando la musica di Sollini alle poesie di Anna Achmatova?
Le sensazioni sono molteplici. Più di tutte, la cosa che apprezzo in questo spettacolo è il mio ruolo: non sono una mera esecutrice, ma sono parte integrante dello svolgimento della storia; sono un personaggio in scena e, piccola anticipazione, sarò la guastafeste di turno! Per l’occasione infatti mi sono dovuta improvvisare attrice, oltre che pianista. In definitiva, un’esperienza nuova in cui suonare assume un significato ben preciso; ritengo che i brani di Sollini evochino al meglio le atmosfere della storia, ed esaltino i tratti caratteristici della poetessa.

Credi che musica e poesia possano trovare un terreno stabile entro il quale comunicare costantemente e in maniera profonda, senza dover rinunciare ciascuna alle sue particolari prerogative?
Sicuramente il teatro può essere un terreno stabile in tal senso. Ogni arte mantiene la sua “natura” senza perdere dignità; anzi, combinate nella giusta maniera, credo che possano una esaltare l’altra.

Non mi resta che invitarvi allo spettacolo, per vivere in prima persona questa bellissima esperienza e per applaudire calorosamente gli artisti.

Punto di vista: anticamera della creatività

mani attorno agli occhi
Più leggo cose interessanti e mi imbatto in personaggi curiosi, più mi rendo conto che il punto di vista è fondamentale per creare una storia che funzioni.

Il punto di vista permette di dare omogeneità a una storia, consente di creare un microcosmo di persone e situazioni che si muovono come gli ingranaggi di un orologio: ognuno apportando il suo contributo unico e irripetibile affinché il meccanismo in toto possa svolgere il compito per cui è stato creato.

Personaggi relazionati tra loro si compensano dando vita a un equilibrio e spesso mettendo in moto la storia stessa.

Il lettore, immedesimandosi in uno di questi personaggi o nel narratore stesso, non fa che entrare in questo meccanismo che per funzionare necessita di un fruitore che valuterà gli eventi con gli occhi di chi ha scelto come suo interprete.

Il punto di vista è anche il punto di partenza.
Chi racconta la storia? C’è un narratore o è uno dei personaggi che si fa carico di metterci al corrente di quanto è accaduto?

La creatività può essere stimolata e introdotta da un punto di vista singolare.

Il punto di vista aiuta chi scrive, grazie a esso si può dare una certa struttura alla storia e ai personaggi e si imposta il tono di voce da assumere.
Il lettore verrà guidato e influenzato a seconda di chi racconta: una storia sarà molto diversa se a narrarla è un gatto o un oggetto inanimato oppure un uomo folle, cieco o sordo.

Il punto di vista scompone una storia come un prisma un raggio di luce: colori diversi a seconda di chi interpreta cosa.

Lezioni di creatività #4 Tutto inizia da un’idea!

Idea

Parlare di fumetti per ragionare di tecnica: l’importanza della documentazione.

Mettiamo che abbiate avuto un’idea. E che l’idea sia proprio forte, che ogni volta che tornate a soffermarvi su di lei si arricchisca di particolari nuovi, piuttosto appetibili… È il momento di cominciare a raccogliere materiale. Se i vostri personaggi si muovono sotto la città, guardatevi intorno con molta cura, se vi capita di usare la metropolitana.

Fate ricerche in Internet utilizzando come chiavi di ricerca frasi del tipo tunnel sotto la città o mappe fognarie, ma anche un generico cunicoli, bunker, sopravvivere al 2012. Non ricaverete soltanto informazioni di massima ma, soprattutto, la possibilità di nuovi spunti per la storia che ancora non sapete di possedere.

Questa non sarà una documentazione vera e propria (operazione che farete cercando informazioni molto più mirate) ma il primo nutrimento visivo dello spunto narrativo che dovete sviluppare. Segnatevi sempre le fonti particolarmente ricche, che vi hanno ben impressionato, nonostante, magari, non c’entrino nulla con l’argomento che avete intenzione di trattare: domani sarete felici d’averlo fatto.

PERSONAGGI, NEMICI E SPALLE.

Può darsi che vi sembri strano che io cominci a parlarvi di come si costruisce un personaggio, piuttosto che di come si assembla una storia. In realtà, non lo è. Lo sceneggiatore di fumetti ha solo due sbocchi: o i personaggi (quindi le storie) esistono già o ne crea lui ex-novo. Se l’idea è proporsi come autore/ sceneggiatore (non sempre si ricoprono entrambi i ruoli: nel caso di Diabolik, difficilmente il soggettista è anche sceneggiatore) di un fumetto seriale (l’esempio più diffuso lo abbiamo con i prodotti Sergio Bonelli Editore) la prima operazione da effettuare è studiare il personaggio.

Voglio sperare che a nessuno venga in mente di ripetere certe ignobili figure fatte anni addietro da sedicenti aspiranti sceneggiatori di fumetti che, alla domanda “Quali fumetti leggi?” ebbero il coraggio di rispondere che non ne leggevano perché non avevano tempo. Peggio ancora, qualcuno asseriva candidamente di “voler fare fumetti in attesa di qualcosa di più serio”. Vi risparmio tutta una serie di commenti che mi nascerebbero dal profondo del cuore.

Mettete in conto che, se volete lavorare con un prodotto seriale già esistente, dovrete vedervela con un editor o facente funzioni. Spesso è il responsabile della serie, qualche volta il suo braccio destro, ed è sempre e comunque una rogna (se non proprio una ca-rogna).

Difficilmente è un raccomandato incompetente, superficiale e fatuo, ma questo non migliora la vostra situazione (quella della casa editrice sì): vi scontrerete con un pezzo di granito, spesso altrettanto comunicativo, molto più predisposto a usare il bastone invece della carota. Spazziamo via qualunque ambiguità: LUI HA RAGIONE. Non perché siate in torto voi, ma perché l’editore ha deciso di lasciare a lui facoltà di scelta su autori e storie e su questo investe discrete somme ogni mese.

Nessuno mette in discussione che le idee di un esordiente possano davvero essere buone, deflagranti e innovative, ma difficilmente saranno prese in considerazione: quando ci si avvicina a un personaggio è consigliabile rimanere nei solchi della tradizione, inserendo al massimo un colpo di scena per storia.

Riceverete un sacco di rifiuti.

Anzi, a voler essere onesti i professionisti del settore affermano di aver ricevuto più rifiuti che risposte affermative. Ricordatevelo, quando sarete furiosi (o terribilmente infelici, a seconda di quella che è la predisposizione personale) perché vi avranno cestinato la storia perfetta. Prima riuscirete a dotarvi di una robusta crosta psicologica, meglio sarà; e questo non vi autorizza assolutamente a peccare in senso opposto, cioè a credere di essere sopra chiunque altro e che qualunque rifiuto sia dettato da invidia o manifesta incapacità.

Uno sceneggiatore famoso (rubacchiando un pensiero di Angelo Branduardi rivolto al mondo delle produzioni musicali) ha raccolto in una frase il difficile equilibrio interiore che ci dobbiamo sforzare di raggiungere quando ci esponiamo al giudizio professionale degli altri: “… per affermarsi nel mondo del fumetto è necessario possedere il 20% di talento. Il restante ottanta è questione di carattere, e non sono affatto convinto che ribaltando le proporzioni possiamo ottenere lo stesso risultato”.

In realtà, credo che il ragionamento sia applicabile a qualunque professione creativa; proprio perché si tratta di professioni. Nessuno obbliga uno scrittore a misurarsi col giudizio altrui, ma se si decide di uscire dalla dimensione diaristica o dalle protettive quattro mura della propria stanzetta la faccenda cambia.

Bisogna acquisire GLI STRUMENTI e, specie se ci avviciniamo a un prodotto già esistente come il fumetto seriale, dobbiamo smettere di essere fans e ragionare come autori.

Questo non significa che dovrete smettere di divertirvi.

Solo, se riuscirete a fare le cose per bene e avrete una carriola di fortuna, qualcuno vi pagherà per farlo. Adesso studiamo la costruzione di un personaggio.

Lezioni di creatività #3 Nutrire il giardino creativo

serra

E no, non tutto il concime puzza.

Il vostro giardino della creatività ha bisogno di buoni semi, un buon terreno e un altrettanto buon concime, perciò attenti a quello che leggete, guardate, ascoltate. Film, fumetti e libri di buon livello sono frutto di altrettanto buon materiale consumato, ed è molto più facile scendere che salire.

Quindi, se dovete sognare, sognate in grande:

imbevetevi di storie enormi, anche se all’apparenza possono sembrare piccole, perché magari imperniate sulla quotidianità e il mondo interiore di ognuno. Se avete la sensazione di venire trasportati lontano, bene.

È un ottimo punto di partenza, perché in quel particolare stato di suggestione il vostro cervello registrerà a livello profondo emozioni e immagini (letterarie o meno) che le hanno generate: ve le ritroverete in punta di penna, o sulla tastiera, ancora prima di aver realizzato di possederle.

Cercate di dirigere la vostra voglia di narrare verso quelle stesse cose che vi piace leggere o vedere, perché ci sarà da fare un sacco di fatica per dare forma a tutto quanto e avrete bisogno di tutto l’entusiasmo del mondo. Non ci sono propellenti adeguati quando cerchiamo di far correre il nostro motore delle storie sul circuito di che-noia-sta-roba…

Siate curiosi, imparate ad ascoltare prima di porre domande.

Chi ha troppa fretta spesso è innamorato solo della propria voce. S. King dice che le storie sono come lo scheletro di un dinosauro, e che l’archeologo potrà scoprire di che specie si tratta solo dopo averlo fatto affiorare dal terreno. Io non ne sono mai stata capace, perché ho bisogno di un impianto narrativo già delineato quando parto a scrivere una storia, ma mi sono accorta che ascoltando sul serio qualche piccolo dinosauro sono riuscita a intravederlo anch’io. Le persone non parlano solo con la voce, ma anche con l’atteggiamento del corpo, con quello che indossano e i luoghi che frequentano.

Non sottovalutate i manuali tecnici:

con questo non voglio dire che dovete essere esperti di tutto, ma che tutto può rivelarsi straordinariamente utile. Ricordo che non molto tempo fa ho dovuto trascorrere un paio d’ore in un simil-sgabuzzino, spacciato per sala d’attesa, all’interno di un’officina che installa impianti a gas e, poiché non ero parte in causa ma solo un’accompagnatrice, dopo pochi minuti mi sono resa conto che non avevo nulla da leggere. Mi ha salvata un polveroso manuale gettato in un angolo: risaliva agli anni ottanta e spiegava tutto, ma proprio tutto, sugli apparecchi utilizzati dai radioamatori, i cosiddetti baracchini.

In condizioni normali non avrei mai letto una cosa del genere (e non conosco molte altre persone che l’avrebbero fatto) eppure mi ha messo in moto qualcosa, un germe d’idea tra la fantascienza steam-punk e il post-apocalittico…

Parliamo di plagio? Parliamone.

Il plagio è quello sgradevole inconveniente in cui si cade quando si copia. Allora, anche se ormai è un dato di fatto che le botte di originalità siano sempre più rare, copiare non paga. Ispirarsi sì. Rubare un’atmosfera che ci ha affascinato è più che legittimo, specie se siamo così fighi da ammettere che volevamo proprio ottenere quell’effetto. In realtà, tutti copiano, perché tutte le situazioni, escamotage, prologhi ed epiloghi sono già stati utilizzati. Chiaro, se fate scrittura sperimentale destrutturata questo ragionamento non vale, ma qui perlopiù stiamo parlando di narrativa di genere. Quello che importa è che le soluzioni (quindi gli sviluppi) della storia siano cercati onestamente, rifiutando l’abusato o l’inganno verso il lettore. Ma di questo parleremo più avanti.

Continua…

Lezioni di creatività #2 L’importanza di tenersi strette le idee

tavolo scrittore

Accettate questa suggestione letteraria (le vostre saranno anche meglio, ma per il momento il ballo lo conduco io ): un gruppo di cavalieri in arme corre attraverso la vallata. Sono fantasmi.

Mentre si forma questa immagine, potreste già vedere armature lucenti e teschi ghignanti sotto gli elmi piumati e la figura di un antico sacerdote che crea un cerchio protettivo attorno uno sparuto gruppo di superstiti…

Va benissimo, sia chiaro, ma quella che dovete mantenere per fissarla nel vostro taccuino personale è l’idea iniziale, perché è lei ad avere forza. Il contorno cambierà mille volte prima di adattarsi del tutto alla vostra storia e se partite subito mettendo sulla carta duemila particolari rischiate di coprire la fonte della storia stessa.

Arriverà il momento in cui le storie sembrano formarsi già per esteso, ma voi sarete in grado d’isolare il nocciolo creativo, perché non è affatto detto che una stesura completa sia una buona stesura.

Meglio che le idee decantino, dopo essere state fissate con forza nella nostra mente; tanto, una parte del nostro cervello tenderà a lavorare autonomamente sugli imput offerti, se gli facciamo arrivare l’equivalente di un messaggio sottolineato.

Il problema dei giorni che viviamo (uno dei tanti e non certo il più grave, ma non siamo qui per salvare il mondo… Al massimo, per inventarne dei nuovi) è proprio questo, poiché veniamo bombardati continuamente da stimoli visivi e sonori che tendono a diventare sempre più forti: la nostra mente è diventata pigra, mostrando deficit di attenzione in termine di quantità e qualità, e se vogliamo recuperare la necessaria concentrazione abbiamo bisogno di qualche trucco.

Io uso il bloc-notes del cellulare, visto che ha una memoria enorme e si presenta come la pagina di un vecchio quadernetto, ma non esito a portarmi sempre dietro anche una moleskina…

È importante che gli appunti, anche se finite per scriverli su fogli volanti, vengano trasferiti (ed eventualmente integrati o ampliati) tutti nello stesso taccuino, elettronico o meno. Tocco un tasto dolente: se si tratta di supporto cartaceo, ogni tanto fotocopiate tutto. Se invece utilizzate un palmare o un cell. fate un back-up, per favore. Parlo per esperienza personale, perché tenevo nello zaino che uso come borsa quotidiana un piccolo quadernino pieno zeppo di tracce e anche di storie intere. Al buio del cinema ho estratto qualcosa e, presa com’ero dal film, non mi sono accorta che il quaderno in questione era caduto sul pavimento.

Morale della favola, ho faticato a trattenermi dal picchiare la testa al muro: sono passati cinque anni ma penso ancora a quante di quelle idee perdute avrei potuto utilizzare.

Continua…

Lezioni di creatività #1 L’idea, il piacere di scrivere e il metodo

brodo e forchetta

Perché qualche volta è meglio prenderla alla lontana: impariamo a scrivere le nostre storie scoprendo la struttura narrativa del fumetto.

Il come ve lo spiego io, il perché dovete saperlo voi.

L’IDEA, OVVERO COME NUTRIRE LA PROPRIA CREATIVITÀ.

L’interesse per la sceneggiatura è figlio diretto della voglia – bisogno – di scrivere storie. Inutile dire che volete farlo perché vi piace raccontare: quello che cambia radicalmente è il modo, che qui chiameremo metodo. Ciò che non cambia affatto, invece, è il bisogno di curare il giardino più prezioso che possedete, quello della vostra immaginazione. Di certo possedete già i vostri sistemi, ma bisogna stabilire quanto siate consapevoli del materiale con cui venite a contatto.

Insomma, se vi ritrovate a cercare di sorbire il brodo con una forchetta, possiamo dedurne che l’intenzione è corretta ma lo strumento è sbagliato.

Ecco, la mia intenzione è fornirvi gli strumenti per poter passare dall’intento al risultato pieno, ma l’unica cosa che non posso offrirvi (e, poiché sono un essere acido e malevolo, nemmeno voglio) sono le idee. Quelle dovete imparare a riconoscerle ogniqualvolta si presentano. E non uso il termine riconoscere a caso, perché è proprio così che funziona: gli spunti narrativi sono ovunque e noi dobbiamo solo imparare a coglierli, con una sorta di antenna interiore che a forza di essere educata comincerà a vibrare in maniera autonoma.

Fondamentale è rendersi conto che le idee sono patrimonio inestimabile, per chi scrive; quindi la cosa più sciocca che si può fare è mostrarsi pigri.

Rassegnatevi subito: quando vi viene in mente qualcosa (e, siatene certi, due volte su tre accadrà in un momento poco appropriato) non potete pensare “la scrivo domani” o “adesso dormo, tanto faccio in tempo anche dopo”. Dopo quasi sempre l’idea si sarà dissolta in maniera misteriosa, proprio come era arrivata. Sono consapevole che non sempre si possa correre a prendere appunti, specie se siamo in ufficio o in fabbrica, ma dobbiamo farlo appena possiamo e non un secondo dopo.

Nel lasso di tempo che intercorre da quando veniamo colpiti da un’epifania letteraria alla possibilità di scrivere tre righe di promemoria, dobbiamo crearci una sorta di post-it mentale.

Quest’esercizio vi aiuterà a richiamare alla mente con molta lucidità quello che volete fissare su carta, anche se sotto forma di appunto. Visualizzate la vostra mano che scrive su un foglietto (o, meglio ancora, una grande lavagna) tre-quattro parole legate alla vostra idea: attenzione, all’idea di partenza, non allo sviluppo che potrebbe avere in seguito…

Continua…

Come è perché è abbiamo scelto questo header per il sito Librarsi

Per quanto riguarda l’Header, la scelta definitiva è stata quella di utilizzare una serie di illustrazioni.

Abbiamo preferito la soluzione del disegno a quella della classica fotografia, per dare un tocco più personale al nostro sito e anche per mostrare alcune delle nostre capacità, in fondo, il sito è nato proprio con questo scopo.