Angela De Pace Musicista: dal canto all’insegnamento e di nuovo al canto

musica e strumenti

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro. In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di attingere dal quel generoso magazzino per creare personaggi e costruire storie.

Ho deciso, quindi, di inaugurare una nuova rubrica in cui si evidenziano i pensieri e le riflessioni di chi opera nel campo della cultura in generale, e della scrittura in particolare, iniziando dallo stretto ambito di amici e conoscenti, senza preclusioni nei confronti di altri personaggi con i quali verrò in qualche modo in contatto. Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro, dal momento che le peculiarità individuali possono meglio risaltare in uno scambio fecondo di idee ed esperienze, come accaduto con Angela De Pace, musicista che conosco da molti anni e che incontro in un’aula dell’ Associazione “Artemusica” in Falconara M.ma (An), mentre sta eseguendo al pianoforte“Fly Me To The Moon”. Nella rievocazione della voce melodiosa di Ella Fitzgerald, penso che non può esserci modo migliore per iniziare un’intervista il cui tema centrale è la musica, il filo conduttore delle sue esperienze di vita. Diplomata al Conservatorio, dopo aver fatto concerti, audizioni e master di canto lirico, Angela si dedica da diversi anni all’insegnamento presso l’Associazione “Artemusica” di cui è anche Presidente.

Qual è secondo te il ruolo della musica nella cultura, oggi?
È una domanda complessa: io lavoro sia con i bambini sia con i ragazzi e mi trovo in difficoltà a rispondere a questa domanda. Per me, la musica è un elemento fondamentale nella vita dei ragazzi e adolescenti: abitua a stare con la gente, accresce la fiducia nelle proprie possibilità, rasserena gli animi. Qualunque progetto di studio o di scelta lavorativa faccia, un ragazzo trova nella musica occasione per esprimersi senza limitazioni, anche di tipo psico-fisico, come avviene con i ragazzi portatori di handicap che frequentano la nostra scuola.

Qual è stato il percorso per costituire l’Associazione?
Quando è nata, io non ne facevo ancora parte. È stata un’idea di giovani diplomati e laureati al Conservatorio “Rossini” di Pesaro e al Conservatorio di Pescara, per fare musica ed insegnare musica a Falconara, trovando nell’Amministrazione comunale del tempo un sostegno logistico ed economico. I corsi si tenevano all’epoca nei locali del vecchio Municipio, per essere trasferiti, poi, nei locali di un edificio appositamente costruito, tramite gara di appalto. Nel 1992, constatando la positiva risposta dei cittadini ai servizi offerti dalla scuola, fu deciso di costituire l’Associazione “Artemusica” che ha potuto sottoscrivere Convenzioni con il Conservatorio di Pesaro, per preparare professionalmente i ragazzi che frequentano i corsi dell’Istituto musicale “Federico Marini”, nuova denominazione assunta dalla Scuola. Nel 2016, poi, abbiamo aderito a Marche Music College, una rete formativa diffusa che offre ai propri allievi l’opportunità di accedere, ovunque risiedano, alle attività didattiche e ai corsi di formazione attivati. Per ultimo, si sono svolte audizioni per formare un’orchestra, con aspiranti venuti da tutto il mondo.

Quali sono le più recenti attività dell’Associazione “Artemusica”?
Tra gli ultimi lavori intrapresi, mi piace ricordare i “master jazz”, con ospiti di fama mondiale, che hanno avuto un’entusiastica risposta, soprattutto da parte dei giovani.
Inoltre, il nostro Coro di voci bianche ha partecipato anche quest’anno all’ultima stagione lirica al Teatro delle Muse di Ancona, nell’opera “Tosca”. Fra poco inizieranno i preparativi per l’indizione del concorso “Premio Federico Marini” che quest’anno è stato posticipato a novembre per motivi organizzativi e al quale possono partecipare candidati di varie fasce di età: bambini dai 5 anni, ragazzi e adulti fino a 30 anni.

Raccontaci qualcosa della tua esperienza con i bambini e il coro delle voci bianche.
È sempre interessante lavorare con i bambini e quest’anno, per la prima volta, ho introdotto nelle mie lezioni l’esperienza dell’ascolto. Prima di iniziare la vera e propria lezione di coro, faccio ascoltare per circa mezz’ora della musica, da quella del ’400 fino ai giorni nostri, inserisco un brano che non conoscono, stanno in silenzio e ascoltano, poi fanno domande e mi rivelano le loro preferenze. Ottenere la piena attenzione degli allievi è un risultato di tutto riguardo, oltre alla soddisfazione di vederli ascoltare coscientemente la musica.

Progetti futuri?
Ne abbiamo tantissimi. Quello più importante, almeno per me, è di realizzare un coro professionale di voci bianche., ma anche riuscire a far diventare la scuola un vero e proprio punto di riferimento per futuri jazzisti di talento e per giovani musicisti, costituisce un ambito traguardo. Per dare maggior peso e prestigio alla struttura, abbiamo recentemente cambiato lo Statuto denominandola Istituto musicale “Federico Marini” – Associazione musicale “Artemusica”.

Il sogno personale di Angela?
Dar vita ad un coro formato sia da voci bianche sia da ragazzi, in grado di cantare di tutto, dal repertorio sinfonico a quello sacro e a quello moderno, i cui componenti, prima che cantanti, siano dei musicisti. A tal fine, sto scrivendo un trattato di canto, il cui titolo “…è alta…”, tratta dall’interazione pronunciata dagli allievi nel momento in cui si fermano improvvisamente durante l’esercizio di un vocalizzo per le difficoltà di una che deve essere cantata “alta”. A forza di sentire questa frase, ho pensato che possa diventare il “simbolo” delle difficoltà che incontrano i cantanti alle prese con tessiture difficili e dell’impegno che devono profondere per migliorare e diventare dei professionisti.

Invece, Angela cantante?
(sorridendo) Angela, più che cantante si sente musicista, senza voler togliere nulla ai cantanti. Ai miei allievi dico sempre che il canto è uno strumento musicale pieno di mistero, che per essere messo a punto richiede tanto sacrificio. Studiare canto è davvero faticosissimo. La voce è lo strumento invisibile che sta dentro di noi, per questo è difficile lavorarci e lo è ancor di più quando non è il tuo. Le difficoltà dei musicisti nell’esprimersi, sono le stesse, ma enfatizzate perché nella voce c‘è la componente emotiva che vi traspare in maniera ancora più individuale.

Angela sorride di nuovo, quando suggerisco che il cantante è anche un po’ psicologo, e aggiunge: Me lo dicono in molti!

Credo sia come scavare per portare la voce all’esterno, ribatto, e Lei conferma: Scavare è un’operazione anche nella tecnica vocale. Ribadisco continuamente con i miei allievi: scaviamo, scaviamo, scaviamo, e a forza di scavare, oltre ai problemi tecnici, vocali, emergono anche quelli caratteriali. Il canto diventa, a volte, anche un modo per curare le difficoltà e le problematiche di ordine psicologico.

Per chi volesse conoscere le attività e gli eventi organizzati dall’Associazione “Artemusica”: www.facebook.com/groups

Saverio Santoni: quando la musica è una scelta di vita

organo chiesa

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro.
In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di aver attinto per creare i loro personaggi e costruire delle storie dal generoso magazzino della vita.
Perciò, ho deciso di inaugurare una serie di interviste, una nuova rubrica in questo calderone di notizie, pensieri e riflessioni che ruotano attorno alla scrittura e alla cultura in genere.
Al momento, ho deciso di investigare nel giro stretto dei miei amici e conoscenti, e mi riservo di includere in futuro altre persone interessanti con cui entrerò in contatto in qualche modo.
Il mio è un progetto ambizioso e non so se riuscirò nel mio intento; vorrei poter mostrare lo scopo più profondo di chi scrive: l’unicità di ogni essere umano e di ogni storia.
Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro.
Io ho voluto, a modo mio, dar voce a queste persone comuni, ma per me speciali, che affrontano come tutti noi, difficoltà e scelte impegnative ogni giorno.

Saverio Santoni è un organista e compositore di notevoli capacità.
Lo conosco da diversi anni e apprezzo, oltre alla sua bravura, la modestia che lo contraddistingue.
Anche lui fa parte di quel “sottobosco” di persone comuni, ma non troppo. Persone speciali che non sono famose solo perché non hanno ancora raggiunto la notorietà che meriterebbero.

Qual è stato “l’evento scatenante” che ti ha portato a dire a te stesso: voglio fare il musicista?
Premetto che sono sempre stato abituato alla musica avendo il pianoforte in casa (di mia madre), su cui da piccolo improvvisavo melodie per lunghe ore… Poi un giorno mi sono trovato in un’aula della Scuola Pergolesi di Jesi, la mia città, e ho visto una tastiera: quello strumento, simile al pianoforte ma decisamente più tecnologico (il display, i tasti dei comandi numerici, i controlli dell’equalizzazione…) mi aveva affascinato così tanto da decidere di prendere lezioni di musica.

Perché tra tanti strumenti musicali hai scelto proprio l’organo a canne?
La decisione venne gradualmente, mentre studiavo ancora tastiera, sentendo dei dischi e curiosando su qualche enciclopedia: inizialmente chiesi al mio parroco di farmi vedere l’organo che avevamo in chiesa, poi mi offrii per suonare alle messe della domenica, e infine decisi di iscrivermi al Conservatorio.
Credo di essermi avvicinato all’organo per il fatto che, come la tastiera elettronica, è una “macchina con tanti comandi”: padroneggiare questo strumento che ha tante tastiere, la pedaliera, registri con canne di ogni forma, lunghe da 20 metri (o più) a pochi millimetri, ti permette di creare sonorità stupefacenti, dalle più forti alle più misteriose e delicate.

C’è una corrente musicale, un periodo specifico, o qualche autore che prediligi?
Ci sono dei generi, a cui sono più abituato, che mi prendono più dal lato “emotivo” (la musica sinfonica, in particolare quella tra ‘800 e ‘900, l’opera, la musica da film). Altri invece mi incuriosiscono, come la musica contemporanea, la musica leggera di oggi… e più passa il tempo più mi stimolano ad ascoltare altri brani dello stesso stile.
Credo che la musica che ti arriva veramente sia quella che ti spinge a produrre, in qualche modo, della “tua” musica (che si tratti di cantarla sotto la doccia, suonarla, o comporla!). In ogni caso l’esperienza da musicista ti insegna, col tempo, a valorizzare qualunque musica cui tu vada incontro.

Quali sono a grandi linee le difficoltà che incontra un musicista sia tecniche, legate alla professione, sia pratiche, quando finito il percorso di studi entra nel complesso mondo della promozione e affermazione del proprio lavoro?
Secondo me sono due le difficoltà in particolare: una è riuscire a “farsi notare”, proponendoti a un numero crescente di persone (sacrificando del tempo per lo studio… ma anche per allacciare contatti, se necessario), l’altra è quella di saper adattare le tue capacità alle richieste che giungono… In ogni caso devi avere un’idea chiara di quali sono le tue potenzialità e quegli aspetti che, nella tua personalità musicale, ti distinguono dagli altri.

Che cosa ami di più della tua professione di musicista e compositore?
Il fatto che fare musica ti emoziona ogni volta, ma allo stesso tempo ti mette alla prova: se nella tua attività il divertimento e la curiosità si rinnovano, vuol dire che la strada è giusta.

Che cosa cambieresti del tuo percorso fin qui e cosa lasceresti invariato?
Col senno di poi avrei iniziato prima lo studio della composizione… ma in realtà lo stesso spirito di gioco che avevo una volta, nel comporre, ce l’ho ancora oggi!

Saverio suonerà a Falconara (AN) il 14 maggio 2017.
Per chi desiderasse intervenire: www.facebook.com/events

Tra musica, gusto e letteratura: l’insalata di Rossini

insalata verde
Musica, letteratura e gusto: linguaggi diversi per una ricetta tutta culturale

Prendete dell’olio di Provenza, mostarda inglese, aceto di Francia, un po’ di limone, pepe, sale, battete e mescolate il tutto; poi aggiungete qualche tartufo tagliato a fette sottili. I tartufi danno a questo condimento una sorta di aureola, fatta apposta per mandare in estasi un ghiottone”.

La scelta di una ricetta di Gioachino Rossini: un’insalata, ideata a Roma, durante le prime rappresentazioni del Barbiere di Siviglia, è stata un’innocua provocazione per introdurre una breve riflessione sulle similitudini fra linguaggi all’apparenza molto diversi.

Rossini non era solo un genio della musica, ma era anche un amante della buona cucina (testimoni sono le sue famose cene nella Villa di Passy, gli innumerevoli accenni al cibo nelle sue lettere e i riferimenti gastronomici e culinari nelle sue composizioni musicali). Inoltre, le sue opere sono talmente ricche di spunti, di vitalità, di possibilità sonore e di infinite suggestioni che mi sembrano adatte a reggere il paragone con un discorso sulle affinità fra musica, letteratura e gusto.

Ognuno di questi diversi linguaggi segue una sua grammatica, delle regole che ne delineano la struttura, ne irreggimentano lo sviluppo e in tal modo ne consentono la crescita. Tutti e tre sono linguaggi complessi e hanno un bagaglio storico e territoriale che ne ha condizionato le direzioni, mentre le convenzioni, le mode e perché no anche qualche elemento casuale, forse più d’uno, ne hanno tratteggiato sapientemente i confini.

Ciascuno risponde ad uno o più sensi umani: orecchio, occhio, olfatto; tutte sono accomunate dall’unico regista che ne orienta le scelte: il cervello.

Lo spazio e il tempo sono essenziali per la nascita e per l’espressione di ognuno di questi linguaggi.
Tutti sono nati per comunicare e condividere e ognuno di essi ha contribuito e contribuisce, nel suo peculiare modo, a tracciare e definire i valori di una società, per questo andrebbero preservati e curati con grande attenzione.