Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #11 Copisti e Scriptorium

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 11 Copisti e Scriptorium

Dal IX-X secolo, l’arte della scrittura ha un luogo dove esprimersi: lo scriptorium.

In gran parte, questo sancta sanctorum dei copisti, era collocato, nei monasteri e nelle abbazie, vicino alla biblioteca.
In questo luogo, i manoscritti si copiavano, si decoravano e si rilegavano.

Lo scriptorium poteva essere una sala speciale (l’unica a essere riscaldata) o una serie di celle individuali.
Solitamente, i copisti avevano a disposizione un sedile con braccioli e spalliera molto alta e un leggio con un doppio piano inclinato.

Per scrivere utilizzavano una penna d’oca, tagliata a seconda delle esigenze della grafia.
In media, un copista realizzava quattro fogli di pergamena di 35-50 cm di altezza e 25-30 cm di larghezza al giorno.

I copisti lavoravano sotto dettatura e spesso, su un identico manoscritto operavano più persone, a conferma di ciò, le grafie diverse rilevate nei documenti ritrovati.
Al lavoro di copiatura partecipavano a volte anche le monache: nel Medioevo erano aumentate le comunità miste.
Fare il copista era piuttosto faticoso: il lavoro era interrotto solo dalle preghiere quotidiane.

Il lavoro di copiatura prevedeva una suddivisione dei compiti che consentiva di rendere più scorrevole e funzionale il lavoro e che permetteva, al contempo, ai principianti di imparare il mestiere. Ad esempio, tracciare le righe sulle quali i copisti avrebbero poi scritto, era compito dei novizi che iniziavano così il loro apprendistato.
Nelle fasi successive, i principianti si dedicavano ai lavori comuni, più spediti e più semplici da eseguire. Questo tipo di testi era molto richiesto e costituiva la maggiore fonte di guadagno per le comunità monastiche.

I lavori più complessi e di maggior rilievo erano rimessi nelle mani dei copisti migliori. Queste speciali commesse venivano da dignitari della nobiltà o del clero.

Le decorazioni erano eseguite da miniaturisti e alluminatori. Questi artisti realizzavano capilettera in lamine d’oro e si sbizzarrivano, per i libri più preziosi, anche con disegni floreali, personaggi e paesaggi pieni di colori brillanti.

Il lavoro seguiva una prassi consolidata:

  • il motivo era schizzato con un punteruolo
  • i dettagli si ripassavano con la penna d’oca e l’inchiostro
  • i contorni colorati si realizzavano a penna
  • il disegno era completato con un pennello molto sottile

I monasteri che non disponevano di artisti sufficientemente abili a eseguire un dato lavoro, si rivolgevano a laici noti per le loro capacità; altrettanto facevano in caso servissero rilegatori che dovevano realizzare la copertina di cuoio e il fermaglio, spesso molto elaborati.

in copertina: Ritratto di Jean Miélot, segretario, copista e traduttore del duca Filippo III di Borgogna

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #10 Arriva la pergamena

Per tutto il Medioevo la scrittura fu un’attività di appannaggio esclusivo dei monaci.
L’arte della calligrafia era praticata nelle scuole (scriptoria) annesse alle cattedrali o ai monasteri.

I monaci copisti medievali non creano né inventano: si limitano a scrivere, ma la loro scrittura elaborata diventa un’arte dal grande fascino.
Ogni lettera è tracciata interamente a mano e gli scritti sono ornati con stupende miniature.

Gli antichi scrivani utilizzavano come supporto rotoli di papiro (volumina), purtroppo, questo materiale aveva parecchi difetti: era costoso, fragile, utilizzabile solo da un lato, poco maneggevole, difficile da consultare.

Il supporto condizionava la scrittura e quando si passò dal papiro alla pergamena si assistette a una vera rivoluzione nell’arte di scrivere e di leggere.

Il termine “pergamena” si traduce dal greco come “pelle di Pergamo” e si pensa sia stata inventata in Asia Minore, appunto, a Pergamo.

La pergamena è frutto di una necessità pratica: secondo la tradizione riferita da Plinio il Vecchio, attorno al II secolo a.C., fu introdotta per sostituire il papiro.

Pergamo possedeva una biblioteca che rivaleggiava con quella di Alessandria; a causa della concorrenza culturale tra il sovrano egiziano (Tolomeo V Epifane) e il re di Pergamo (Eumene II), gli Egiziani decisero di non rifornire più di papiri i loro rivali, così, gli scribi asiatici furono costretti a organizzarsi e a trovare un altro materiale che facesse da supporto alla loro scrittura: la scelta cadde sul cuoio.

La pelle usata per produrre pergamene non era una novità: era già stata usata in passato; le pelli provenivano da molti animali diversi: montone, vitello, capra, struzzo, gazzella, antilope.
La pergamena aveva anche un’innegabile vantaggio rispetto al papiro: era utilizzabile da entrambi i lati.

Una pergamena particolarmente pregiata è il velino che si ottiene trattando la pelle di vitelli giovanissimi o abortiti. Il termine “velino” deriva dal francese veel che vuol dire vitello. Il suo maggior pregio è quello di non assorbire l’inchiostro o i colori e di conservare molto bene le tinte originali.