Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #14 malizie degli scrivani

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon malizie degli scrivani

Gli scrivani non erano dei semplici esecutori senza fantasia, tutt’altro. Il loro mestiere richiedeva una notevole creatività sia quando si trattava di copiare un testo sia quando si dovevano emendare gli errori.

Gli scrivani dovevano avere un’abilità camaleontica in fatto di scrittura. Essere in grado di destreggiarsi da uno stile a un altro, mantenendo una bella grafia a qualsiasi testo stessero lavorando.

Nonostante possedessero notevoli capacità, gli scrivani, anche i più dotati, potevano incorrere in errori. Per questo, le botteghe si premunivano, rivolgendosi a correttori che individuavano gli errori, li segnavano a margine e li corredavano delle correzioni necessarie.

Gli scrivani emendavano gli errori a seconda della gravità:

  • un errore semplice poteva essere risolto con una semplice grattatura della pergamena e poi con una riscrittura sopra la parte cancellata;
  • una parola mancante era inclusa a margine e un dito, opportunamente disegnato, indicava il punto del testo in cui andava posizionata;
  • righe intere o paragrafi mancanti richiedevano una certa malizia per essere integrati. Il testo omesso poteva essere collocato in fondo alla pagina e poi ci si affidava all’illustratore che poteva ad esempio, inserire un personaggio che simulava di risalire fino al punto richiesto.

Con il passare del tempo la formazione degli scrivani era sempre più minuziosa e rigida; alcuni di loro, grazie alla grande maestria che possedevano, riuscivano a produrre dei veri e propri capolavori.

Purtroppo, artigiani e artisti – e ahimè, ben poco è cambiato ai nostri tempi – non erano tenuti in alcuna considerazione sociale e guadagnavano così poco che quelli più abili si affidavano alla Chiesa: una volta entrati nel clero, potevano dedicarsi alla loro arte, liberi da qualsiasi preoccupazione materiale.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #13 boom di richieste

Lo sdoganamento della produzione dei libri dall’ambito ecclesiastico e le nuove tendenze dettate dai committenti borghesi portano a un boom di richieste e a un proliferare di nuovi argomenti per i libri.

Le botteghe degli scrivani che avevano iniziato a organizzarsi dalla fine del XII secolo, si trovano ad affrontare un numero di richieste sempre maggiore e la scelta degli argomenti si apre a molte new entry.

Trattati di: educazione, medicina, cucina e astronomia sono solo alcune delle commissioni cui gli scrivani devono far fronte.
Inoltre, iniziano a comparire i romanzi e molto gettonati sono i racconti d’amor cortese.
Per capirci, un best seller dell’epoca è La chanson de Roland.

I clienti potevano girare tra le tante botteghe e scegliere tra varie vesti grafiche e diversi stili di illustrazioni, per vedere realizzato il libro che desideravano.

I fruitori dei libri tra il XII e il XIII secolo subiscono un ulteriore ampliamento: si affiancano ai mercanti anche gli studenti.
Ovviamente, solo gli universitari più abbienti possono permettersi il lavoro di un professionista, tutti gli altri devono affittare i testi dove studiare.
In ogni caso, questa apertura a nuovi committenti, dovuta alla nascita di università laiche, è un’altra valida possibilità per i copisti di guadagnarsi la giornata.

La mole di lavoro sensibilmente aumentata comporta notevoli modifiche anche nell’organizzazione del lavoro stesso: gli artigiani si specializzano ulteriormente e si riuniscono in confraternite che conservano gelosamente i propri segreti e si battono per vedere tutelati i propri diritti.

Anche la formazione è rigorosa, proprio come avveniva in ambito religioso, gli apprendisti erano controllati e all’inizio, erano impiegati in mansioni semplici.

Per un addestramento completo occorrevano almeno sette anni e per ottenere la qualifica di scrivano bisognava produrre nell’ultimo anno di apprendistato un “capolavoro” che doveva essere valutato dal maestro artigiano e dai colleghi di lavoro.

Una volta diventati scrivani si poteva lavorare in modo indipendente, ma era necessario allontanarsi dalla bottega del maestro: niente concorrenza sleale.

Nel codice deontologico degli aspiranti scrivani c’erano anche alcuni eccessi da fuggire: il troppo vino e il troppo cibo, assidui rapporti con le donne e lavori pesanti.
Queste accortezze avrebbero aiutato i copisti a mantenere una mano sicura.

In copertina: Le otto fasi de La chanson de Roland in un unico quadro, illustrate da Simon Marmion

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #11 Copisti e Scriptorium

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 11 Copisti e Scriptorium

Dal IX-X secolo, l’arte della scrittura ha un luogo dove esprimersi: lo scriptorium.

In gran parte, questo sancta sanctorum dei copisti, era collocato, nei monasteri e nelle abbazie, vicino alla biblioteca.
In questo luogo, i manoscritti si copiavano, si decoravano e si rilegavano.

Lo scriptorium poteva essere una sala speciale (l’unica a essere riscaldata) o una serie di celle individuali.
Solitamente, i copisti avevano a disposizione un sedile con braccioli e spalliera molto alta e un leggio con un doppio piano inclinato.

Per scrivere utilizzavano una penna d’oca, tagliata a seconda delle esigenze della grafia.
In media, un copista realizzava quattro fogli di pergamena di 35-50 cm di altezza e 25-30 cm di larghezza al giorno.

I copisti lavoravano sotto dettatura e spesso, su un identico manoscritto operavano più persone, a conferma di ciò, le grafie diverse rilevate nei documenti ritrovati.
Al lavoro di copiatura partecipavano a volte anche le monache: nel Medioevo erano aumentate le comunità miste.
Fare il copista era piuttosto faticoso: il lavoro era interrotto solo dalle preghiere quotidiane.

Il lavoro di copiatura prevedeva una suddivisione dei compiti che consentiva di rendere più scorrevole e funzionale il lavoro e che permetteva, al contempo, ai principianti di imparare il mestiere. Ad esempio, tracciare le righe sulle quali i copisti avrebbero poi scritto, era compito dei novizi che iniziavano così il loro apprendistato.
Nelle fasi successive, i principianti si dedicavano ai lavori comuni, più spediti e più semplici da eseguire. Questo tipo di testi era molto richiesto e costituiva la maggiore fonte di guadagno per le comunità monastiche.

I lavori più complessi e di maggior rilievo erano rimessi nelle mani dei copisti migliori. Queste speciali commesse venivano da dignitari della nobiltà o del clero.

Le decorazioni erano eseguite da miniaturisti e alluminatori. Questi artisti realizzavano capilettera in lamine d’oro e si sbizzarrivano, per i libri più preziosi, anche con disegni floreali, personaggi e paesaggi pieni di colori brillanti.

Il lavoro seguiva una prassi consolidata:

  • il motivo era schizzato con un punteruolo
  • i dettagli si ripassavano con la penna d’oca e l’inchiostro
  • i contorni colorati si realizzavano a penna
  • il disegno era completato con un pennello molto sottile

I monasteri che non disponevano di artisti sufficientemente abili a eseguire un dato lavoro, si rivolgevano a laici noti per le loro capacità; altrettanto facevano in caso servissero rilegatori che dovevano realizzare la copertina di cuoio e il fermaglio, spesso molto elaborati.

in copertina: Ritratto di Jean Miélot, segretario, copista e traduttore del duca Filippo III di Borgogna