Storia della scrittura #24: si ritorna alla penna, ma d’acciaio!

Storia della scrittura 24 si ritorna alla penna ma d’acciaio

Mentre la stampa continua a crescere ed evolversi, la scrittura a mano ha ancora delle zone franche che le appartengono, dove si avverte l’esigenza di innovazioni: ben presto si passerà dalla penna d’oca a quella in acciaio.

Abbiamo visto che, con l’avvento della stampa litografica, avvenuta grazie alla scoperta di Aloys Senefelder (1771 – 1834) delle particolari proprietà delle pietre calcaree di Solenhofen, si avrà sin da subito un’influenza diretta sulla stampa dei libri e dei giornali, ma nonostante ciò, sopravvivono ancora ambiti della scrittura che restano esclusivi della penna.

Tra queste “zone d’ombra” ci sono gli atti notarili e giuridici che necessitavano della scrittura manuale, per una questione di autenticazione, grazie alla firma apposta, ad esempio: nei testamenti, nei contratti oppure negli atti di vendita.

In questa sorta di territorio esclusivo operano gli scrivani pubblici. In questa fase, però, si verifica una sorta di rovesciamento riguardo al prestigio di questo antico mestiere. Se un tempo, la professione dello scrivano era stimata e considerata ammirevole, ora subisce un degrado costante, perché coloro che redigono a mano dei documenti sono considerati alla stregua dei loro datori di lavoro: gli usurai.

La stampa aveva conosciuto notevoli progressi, perché c’era necessità di distribuire libri e giornali a più persone e anche di abbassare i costi, ovviamente, se c’è chi scrive ancora con la penna, sono indispensabili anche in questo ambito dei miglioramenti e delle innovazioni, per facilitare il lavoro e aumentare l’accessibilità anche a tali servizi.

Nel 1750, infatti, si ha notizia dell’invenzione di una penna di metallo, della quale sono in diversi a contendersi la paternità: un magistrato di Aix-la-Chapelle, Johann Jantssen; un “onorevole cittadino”, Peregrine Williamson, secondo il “Boston Mechanic”; un inventore dell’Hexagone (locuzione che designa la parte continentale della Francia metropolitana, ricordando che la sua forma geografica è un esagono quasi regolare: tre lati di terra e tre di mare), secondo un opuscolo francese del 1750; un maestro di scuola di Koenisberg (nome storico della città prussiana che attualmente corrisponde a Kaliningrad, in Russia), secondo una pubblicazione tedesca del 1808.

È molto probabile che tale invenzione fosse creazione contemporanea di inventori diversi in luoghi differenti, in quanto se ne avvertiva la necessità un po’ ovunque.
La questione da risolvere, al di là dell’invenzione di uno strumento più efficiente, era riuscire a riprodurre le caratteristiche della penna d’oca. Agli inizi, l’oro sembrava essere l’unica soluzione possibile per ottenere la stessa flessibilità.

Le penne d’acciaio realizzate a mano erano dure e laceravano la carta, in soccorso arrivarono specifici procedimenti meccanici che consentirono la produzione a livello industriale di penne di qualità.
I prezzi scesero rapidamente e la penna d’acciaio diventò l’antesignana dei prodotti “usa e getta” della civiltà moderna.

Storia della scrittura #21: la stampa mette le ali

Storia della scrittura 20: la stampa mette le ali

I progressi tecnologici consentono il più delle volte di migliorare le cose e spesso rendono accessibili a un pubblico più vasto beni, in precedenza, destinati solo ai privilegiati.
Anche la storia della scrittura vede cambiare il suo corso grazie a una serie di invenzioni.

Da Gutenberg fino al 1783, per stampare i libri si utilizzava il torchio a mano che consentiva una tiratura al massimo di trecento fogli al giorno. Ma proprio nel 1783, Didot aggiunge alla sua macchina da stampa un bancone in ferro e una piastra di rame, ciò gli consentirà di stampare grandi formati; inoltre, nello stesso periodo si appronta la realizzazione di carta in bobine.

Nel 1812, al torchio sono apportati dei miglioramenti: se prima si imprimeva piatto contro piatto, ora al piatto si contrappone un cilindro.
Questo nuovo tipo di macchina a stampa è realizzata in Inghilterra da Friedrich Gottlob Koenig (17 aprile 1774 – 17 gennaio 1833), un inventore tedesco.
La sua macchina da stampa andava a vapore e lavorava ad alta velocità; il suo rivoluzionario sistema fu realizzato in collaborazione con l’orologiaio Andreas Friedrich Bauer (18 agosto 1783 – 27 Dicembre 1860). Questo nuovo tipo di macchina da stampa poteva produrre fino a 1.100 fogli all’ora ed era in grado di stampare su ambo i lati della carta allo stesso tempo.

Nel 1819, si fa un ulteriore passo in avanti: l’inchiostratura dei rulli diventa automatica.
Siamo ormai sulla strada della più grande conquista tipografica dell’Ottocento: la rotativa, un sistema di stampa che prevede l’uso di due elementi cilindrici.
Però, bisogna attendere fino al 1846, per vedere realizzata la prima macchina tipografica moderna che fu realizzata a Filadelfia. I suoi numeri sono davvero impressionanti: 95.000 copie l’ora, eppure è trascorso meno di un secolo dalle trecento copie tirate a mano…

Storia della scrittura #19: il libro si riduce di formato e diventa tascabile

Storia della scrittura 19 il libro si riduce di formato e diventa tascabile

La Controriforma mette dei paletti alla diffusione della cultura, per fortuna, stampatori, editori e tipografi trovano un’isola felice dove continuare a svolgere il loro lavoro: l’Olanda. Inoltre, prende campo la riduzione di formato del libro che diventa a tutti gli effetti un tascabile, consentendo una più rapida diffusione della cultura.

Alla fine del ’500, l’Olanda protestante accolse stampatori e tipografi, e rappresentò un rifugio per il libro, di fronte all’avanzata delle tendenze repressive della Controriforma e dell’Inquisizione.
Intanto dal 1550, gli eruditi passano dal latino – utilizzato fino a quel momento per stampare i classici greci e latini – alle lingue nazionali.

Gli stampatori erano consapevoli di cosa significasse andare contro gli inquisitori. Avevano ancora ben presente il martirio di Étienne Dolet (1509 – 1546) umanista, poeta ed editore che, accusato di ateismo, perché aveva osato pubblicare Rabelais, Marot e soprattutto, l’ “Enchiridion militis christiani” di Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469 – 1536), fu impiccato e bruciato sul rogo, il 3 agosto del 1546, a Parigi.
L’Olanda diventa quindi la patria della letteratura che era proibita in altri luoghi.

In questo periodo prende campo il libro tascabile che consente una maggiore diffusione.
L’idea partì da Venezia, con Aldo Manuzio (tra il 1449 e il 1452 – 1515) che già nel 1501 diede il via a una collana di libri (in formato ridotto, conosciuto come in-8° piccolo), nella quale, per la prima volta, fu usato lo stile corsivo che, essendo più compatto, consentì una riduzione del formato.

Manuzio stampò libri in ottavo (un singolo foglio di stampa è piegato in otto, corrisponde a sedici pagine), invece che nei soliti formati in folio (un singolo foglio piegato in due, quattro pagine) e in quarto (un singolo foglio piegato in quattro, otto pagine).
Manuzio lo battezzò: enchiridion forma, dall’ “Encheiridion” (che sta in una mano) o Manuale di Epitteto (scritto di filosofia ed etica stoica, compilato dallo scrittore greco-romano, Arriano, discepolo del filosofo greco, Epitteto), uno dei primi libri a essere stampati con questo nuovo formato; leggeri, maneggevoli e facilmente trasportabili.

Questa soluzione rivoluzionaria fu subito adottata dagli Elzevier (celebre famiglia di tipografi, editori e librai), molto attivi in Olanda tra il 1583 e il 1713. Al loro nome è associata una serie di classici latini in piccolo formato, che aiutarono non poco la diffusione della cultura.

Storia della scrittura #18: tipografi e tipografia rinascimentale

Storia della scrittura: la tipografia rinascimentale

Nel Rinascimento, alcune famiglie di tipografi hanno reso grande quest’arte, lasciando ai posteri un vero tesoro.

In Francia, durante il regno di Francesco I (1494-1547), re amante delle lettere, nasce una dinastia di creatori di caratteri: gli Estienne, una famiglia di tipografi, librai eruditi che hanno svolto la loro attività per ben 160 anni. Furono attivi a Parigi e a Ginevra e divennero famosi, soprattutto per delle edizioni di classici greci e latini di elevata qualità e per i loro lessici monumentali.

Dalla fine del XVI secolo, gli Estienne fanno di Ginevra una capitale dell’editoria europea. Questa famiglia portò avanti una professione che era in grado di superare le divisioni tra: traduzione di opere antiche, erudizione, creazione di caratteri e composizione di nuove opere.

In Olanda invece, Christophe Plantin (1520–1589) che fu nominato “arcitipografo” dal re di Spagna, Filippo II, era un tipografo fiammingo, di origine francese, il quale fece buon uso, nella sua bottega, delle sedici macchine tipografiche che aveva a disposizione e produsse in trentaquattro anni più di millecinquecento opere.

A Leida, ci sono gli Elzévir, un’altra famiglia di editori che operarono nei Paesi Bassi, dal 1580 al 1712.
La loro fortunata attività editoriale era fondata soprattutto sulle edizioni dei classici.
Le edizioni degli Elzévir erano stampate in caratteri stretti su una carta di Angoulême (comune francese, capoluogo del dipartimento della Charente, situato nella regione Nuova Aquitania) molto fine.

Questi sono gli ultimi grandi stampatori del Rinascimento, coloro che hanno preceduto la stampa industriale.

Storia della scrittura #17: spuntano nuovi caratteri tipografici

Storia della scrittura spuntano nuovi caratteri tipografici

La stampa consentì una vera proliferazione di libri in tutto il mondo e contribuì ad allargare l’uso e la conoscenza delle lingue scritte. Novità e tradizione andavano a braccetto: gli stampatori crearono nuovi caratteri, ma imitando le scritture a mano.

Il primo libro stampato con caratteri mobili metallici vide la luce in Cina nel 1390. Da qui, la prodigiosa invenzione della macchina a stampa passò in Europa, dove dal 1462, conobbe una rapida diffusione: da Lione a Norimberga, da Venezia ad Anversa, da Parigi a Praga.

Nel Cinquecento, iniziano a formarsi dinastie di stampatori; nel termine “stampatore” erano racchiuse diverse professionalità: fonditore, incisore e tipografo.

I caratteri ispirati alla scrittura a mano, iniziano a comparire in Italia durante il Rinascimento.
A Venezia, Aldo Manuzio (tra 1449 e 1452 – 1515, editore, grammatico e umanista) inventa la “lettera antiqua” nel tentativo di riprodurre in versione tipografica un’elegante calligrafia; questi caratteri saranno imitati da molti altri stampatori.
Per riprodurre la scrittura a mano, invece, Manuzio assunse come modello la calligrafia di Petrarca e ideò il suo “italico” – un corsivo inclinato.

Un altro interessante studio dei caratteri, costruiti seguendo delle regole precise, lo dobbiamo a Luca Pacioli (1445 ca. – 1517, religioso, matematico ed economista) che incise il “De divina proportione”, un manuale contenente le lettere dell’alfabeto, regolate sulle proporzioni del corpo umano e collocate all’interno di una cornice geometrica.

Intanto, in Francia, si affermano esperienze analoghe: Geoffroy Tory (1480 ca. – 1533, editore-libraio, calligrafo e disegnatore, “imprimeur du Roi” dal 1530) crea lo stile “champfleury” e diventa il decoratore di Simone de Colines (1480 – 1546, uno dei primi stampatori del Rinascimento; attivo a Parigi tra il 1520 ed il 1546) che per comporre utilizza un carattere derivato dalla “lettera antiqua” e successivamente, disegnerà e poi inciderà un carattere greco.

Nel 1540-41, i lavori di De Colines serviranno alla realizzazione del “greco del re”, che Claude Garamond (1480 – 1561, tipografo francese) inciderà, seguendo i modelli del calligrafo cretese Angelo Vergezio. I punzoni per la stampa furono commissionati da Francesco I di Francia (1494 – 1547, figlio di Carlo di Valois-Angoulême e di Luisa di Savoia, fu re di Francia dal 1515 fino alla morte).
Nel 1946, i punzoni insieme alle relative matrici furono classificati come monumenti storici e, attualmente, sono conservati presso l’Imprimerie Nationale (stamperia nazionale; stabilimento tipografico della Repubblica francese, con sede a Parigi).

Garamond realizzò anche dei caratteri romani, ispirati a quelli di Geoffroy Tory che sono considerati, secondo la formula del “champfleury” (trattato di estetica del 1529, importante per la storia della lingua francese e della riforma scrittoria rinascimentale di Geoffroy Tory), un alfabeto che possiede: “l’arte e la scienza della giusta e vera proporzione delle lettere”.

In copertina: Ritratto di Luca Pacioli (1495), attribuito a Jacopo de’ Barbari, museo nazionale di Capodimonte

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #16 nasce la tipografia

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon 16 nasce la tipografia

La scrittura finora è stata legata alle capacità di abili artigiani che per svolgere il loro difficile compito impiegavano anni, chini sulla carta a tracciare segni.
Ora, con la rivoluzionaria invenzione della stampa, le cose cambiano profondamente.

Inizialmente, la stampa non fu percepita come un cambiamento determinante, come invece sarà chiaro in tempi successivi, anche perché si cercò di mantenere una continuità con le opere manoscritte: le prime opere a stampa cercavano di emulare il lavoro degli scrivani.

Le pagine stampate prevedevano degli spazi vuoti che sarebbero stati riempiti da un miniatore e la parola d’ordine era: proseguire con la tradizione.
A questo scopo, si studiavano delle lettere maiuscole molto elaborate; si usavano gruppi di caratteri legati fra loro per simulare le legature tipiche della scrittura a mano.
La Bibbia latina stampata da Gutenberg nel 1450 è molto vicina agli esempi manoscritti del suo tempo.

In ogni caso, la stampa non fu una conquista semplice e immediata, bensì fu il risultato di molte invenzioni tecniche.
I cinesi conoscevano i caratteri mobili già dall’XI secolo; era già noto anche il torchio a vite che era usato ancor prima di Gutenberg, per stampare sui tessuti e lisciare e lucidare la carta.

Nel XV secolo si imprimevano lettere e immagini in precedenza incise sul legno; la stampa si otteneva sfregando il verso di un foglio sistemato su legno. La novità introdotta da Gutenberg, rispetto a tale procedimento, fu quella di meccanizzare il processo di stampa.

Il tipografo tedesco, Peter Schöffer o Petrus Schoeffer, (1425 ca.-1503) amico e collaboratore di Gutenberg, trovò il sistema per fondere i caratteri con l’aiuto di una lega di antimonio e piombo.
Gutenberg, invece, intuì le possibilità di un materiale già utilizzato in Cina: la carta.

I cinesi impiegarono diversi materiali prima di pervenire a quello più idoneo per produrre la carta, cioè la fibra di lino che diede i risultati più soddisfacenti.
Il procedimento prevedeva la decomposizione della fibra vegetale mediante macerazione, poi seguivano il lavaggio e la pressatura. La fibra forniva una polpa a cui si aggiungevano acqua e amido e si otteneva così la pasta della carta.

I cinesi non rivelarono il processo usato per ottenere la carta, almeno fino all’VIII secolo, quando lo comunicarono ai vincitori mongoli; da loro poi, passò ai persiani di Samarcanda, successivamente, ne furono informati i commercianti arabi che introdussero la carta in Sicilia e in Spagna.

Nel Duecento, in Europa esistevano già diverse fabbriche di carta che avevano migliorato il procedimento cinese, ma in sostanza, il processo restava quello da loro ideato.
A questo punto, la storia della scrittura si intreccia a doppio nodo con quella della tipografia.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #14 malizie degli scrivani

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon malizie degli scrivani

Gli scrivani non erano dei semplici esecutori senza fantasia, tutt’altro. Il loro mestiere richiedeva una notevole creatività sia quando si trattava di copiare un testo sia quando si dovevano emendare gli errori.

Gli scrivani dovevano avere un’abilità camaleontica in fatto di scrittura. Essere in grado di destreggiarsi da uno stile a un altro, mantenendo una bella grafia a qualsiasi testo stessero lavorando.

Nonostante possedessero notevoli capacità, gli scrivani, anche i più dotati, potevano incorrere in errori. Per questo, le botteghe si premunivano, rivolgendosi a correttori che individuavano gli errori, li segnavano a margine e li corredavano delle correzioni necessarie.

Gli scrivani emendavano gli errori a seconda della gravità:

  • un errore semplice poteva essere risolto con una semplice grattatura della pergamena e poi con una riscrittura sopra la parte cancellata;
  • una parola mancante era inclusa a margine e un dito, opportunamente disegnato, indicava il punto del testo in cui andava posizionata;
  • righe intere o paragrafi mancanti richiedevano una certa malizia per essere integrati. Il testo omesso poteva essere collocato in fondo alla pagina e poi ci si affidava all’illustratore che poteva ad esempio, inserire un personaggio che simulava di risalire fino al punto richiesto.

Con il passare del tempo la formazione degli scrivani era sempre più minuziosa e rigida; alcuni di loro, grazie alla grande maestria che possedevano, riuscivano a produrre dei veri e propri capolavori.

Purtroppo, artigiani e artisti – e ahimè, ben poco è cambiato ai nostri tempi – non erano tenuti in alcuna considerazione sociale e guadagnavano così poco che quelli più abili si affidavano alla Chiesa: una volta entrati nel clero, potevano dedicarsi alla loro arte, liberi da qualsiasi preoccupazione materiale.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #12 arriva Carlo Magno

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 12 arriva Carlo Magno

In epoca carolingia, cambiano i caratteri usati dai copisti; la chiesa non detiene più lo scettro dell’insegnamento; si allargano il pubblico dei committenti e quello dei lettori.

Nei primi tempi, i monaci copisti usavano per i loro lavori di copiatura gli usuali caratteri normalmente impiegati sin dall’epoca dei romani: l’onciale (corsivo maiuscolo); il semionciale; la capitale (maiuscole quadrate); il rustico (maiuscolo più semplice).
L’onciale resisterà con le sue lettere tondeggianti nella scrittura a penna, questo finché non si passerà alla stampa.

Nel 768, in epoca carolingia, appare la carolina, simile alla minuscola romana, definita anche scrittura di cancelleria. Essa sostituì il particolarismo grafico tipico dei secoli VII e VIII e rappresenta una delle formalizzazioni delle scritture semicorsive.

La scrittura carolina è chiara e ben proporzionata, possiede una notevole bellezza formale e avrà larga e lunga diffusione nell’Europa occidentale del Medioevo.

Durante il regno di Carlo Magno si eseguirà anche un grande lavoro di emendamento dei testi.
I testi originali, in seguito ai vari passaggi di copia in copia, avevano subito sostanziali modifiche, alterazioni tali, nel corso del tempo, da modificare il senso stesso degli scritti.

Carlo Magno pensò di risolvere questo problema imponendo la creazione di nuove copie emendate dagli errori, in quanto realizzate con grande osservanza e scrupolo e soprattutto, basate su fonti più prossime possibile all’originale.
I manoscritti carolingi si fregiano della dicitura “ex authentico libro” che fungeva da garanzia di una copiatura perfetta.

Al termine del XII secolo, il dominio incontrastato della chiesa sull’insegnamento viene meno; gli scrivani laici iniziano a riunirsi in botteghe e corporazioni. I loro principali lavori sono per la nuova borghesia mercantile per cui eseguono documenti, ma si occupano anche di comporre libri.

In questo periodo non cambiano solo gli esecutori dei manoscritti, ma anche i destinatari di queste magnifiche opere. Fino a questo momento, i committenti erano i nobili e gli ecclesiastici; le opere realizzate erano manufatti di lusso – per i signori – o manuali di teologia e messali per il clero.

Ora il mercato si estende: trattati di filosofia, di matematica, di logica e di astronomia fioriscono, ampliando i consueti settori dell’editoria.

In parallelo alla nascita di testi per un pubblico più ampio, gli autori, come Dante, iniziano a scrivere in volgare, ciò consente di avvicinare alla lettura molte più persone che sono istruite ma non conoscono il latino.

Queste due rivoluzioni in parallelo comportano un allargamento della cultura: finalmente, la borghesia si accosta ai libri e alla letteratura.

In copertina: a sinistra, ritratto immaginario di Carlo Magno, di Albrecht Dürer; a destra, pagina in minuscola carolina (escluse le prime tre righe, in onciale)

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #8 Scritture indiane

Scrittura indianaLe scritture indiane hanno probabilmente la stessa origine del nostro alfabeto.

Nel III secolo a. C., nella penisola indiana si usavano due scritture principali: il kharosti e il braminico, oltre a numerose variazioni sorte per trascrivere la moltitudine di lingue parlate nel Paese.

Totalmente alfabetica, la scrittura braminica è all’origine del devanagari, con cui si trascrive la lingua sacra di gran parte dell’India, il sanscrito, lingua indoeuropea, e anche una delle lingue più diffuse: l’hindi.

Gli storici ritengono che queste lingue siano nate altrove, dalla trasformazione dell’alfabeto fenicio.

L’india, infatti, era luogo di passaggio e commercio tra i popoli del Mediterraneo orientale e gli abitanti della penisola e si verificavano costanti contatti anche con la penisola arabica, le coste fenicie e la Grecia.

Panini, un indiano di Salatura, è considerato il primo grammatico linguista e intorno al IV secolo descrisse il funzionamento delle consonanti e delle vocali del sanscrito.

Le principali lingue dell’India si leggono da destra a sinistra e si basano su una vocale principale, la A. Le lettere sono legate tra loro, al di sopra di una linea immaginaria, da una barra orizzontale. Questo particolare andamento dà a tale scrittura una bellezza plastica.

Sul modello delle scritture indiane si sono successivamente sviluppate le scritture usate tuttora in Tibet e in molti Paesi del sud-est asiatico: Laos, Thailandia, Cambogia e Birmania.