Storia della scrittura #22: la tipografia dalla rotativa alla linotype

Storia della scrittura 22 la tipografia dalla rotativa alla linotype

La tipografia continua a evolversi: il complesso e delicato lavoro dei compositori sarà semplificato con l’avvento della linotype.

Dall’epoca di Johannes Gutenberg (1400-1468), per comporre i testi, i tipografi avevano bisogno di alcuni strumenti: il compositoio; le pinze; il vantaggio; il tirabozze; il taglietto (per interlinee e angoli); il curva filetti e altri ancora.
In tipografia, il primo passo che conduceva alla stampa era scegliere le lettere, una per una dalle casse tipografiche, poi bisognava disporle sul compositoio, per realizzare la linea. Era essenziale inserire anche gli spazi (caratteri che non erano stampati e avevano un’altezza di poco inferiore alle lettere), in seguito la linea assemblata andava posta sul “vantaggio”.

Le pinze erano indispensabili per correggere in piombo. Questo particolare utensile era dotato di una punta acuminata che serviva ad abbassare gli spazi nella composizione e a effettuare la legatura del pacco di composizione. Poi le linee combinate nel compositoio andavano piazzate sul “vantaggio”, allineate una sotto l’altra.
Se si dovevano creare composizioni di grandi dimensioni al posto del “vantaggio” si utilizzava la “balestra”.

L’addetto alla composizione faceva riferimento all’originale che gli era stato fornito e realizzava le linee seguendo la “giustezza” di riga (lunghezza delle linee di una composizione) che gli era stata indicata.
Terminata la composizione, il blocco era legato con lo spago e portato al tirabozze che realizzava la bozza, usata poi dal compositore per controllare eventuali refusi, doppioni o altri errori che erano corretti sul vantaggio. Successivamente, si procedeva alla tiratura delle bozze in colonna.
Una volta stampato il testo, i caratteri dovevano essere riordinati uno per uno e ricollocati nelle rispettive cassette.

Con questo procedimento si riusciva a comporre un testo alla velocità di 1.200-1.500 caratteri tipografici all’ora. Con l’arrivo della linotype si potevano invece mettere insieme dai 6.000 ai 9.000 caratteri l’ora.
Un bel progresso, tanto che diventa possibile raccontare un fatto nel momento stesso in cui avviene.
Giunti a questo punto, quotidiani, periodici e stampati commerciali ridussero il libro a occupare una quota modesta nel totale delle pubblicazioni.

Storia della scrittura #17: spuntano nuovi caratteri tipografici

Storia della scrittura spuntano nuovi caratteri tipografici

La stampa consentì una vera proliferazione di libri in tutto il mondo e contribuì ad allargare l’uso e la conoscenza delle lingue scritte. Novità e tradizione andavano a braccetto: gli stampatori crearono nuovi caratteri, ma imitando le scritture a mano.

Il primo libro stampato con caratteri mobili metallici vide la luce in Cina nel 1390. Da qui, la prodigiosa invenzione della macchina a stampa passò in Europa, dove dal 1462, conobbe una rapida diffusione: da Lione a Norimberga, da Venezia ad Anversa, da Parigi a Praga.

Nel Cinquecento, iniziano a formarsi dinastie di stampatori; nel termine “stampatore” erano racchiuse diverse professionalità: fonditore, incisore e tipografo.

I caratteri ispirati alla scrittura a mano, iniziano a comparire in Italia durante il Rinascimento.
A Venezia, Aldo Manuzio (tra 1449 e 1452 – 1515, editore, grammatico e umanista) inventa la “lettera antiqua” nel tentativo di riprodurre in versione tipografica un’elegante calligrafia; questi caratteri saranno imitati da molti altri stampatori.
Per riprodurre la scrittura a mano, invece, Manuzio assunse come modello la calligrafia di Petrarca e ideò il suo “italico” – un corsivo inclinato.

Un altro interessante studio dei caratteri, costruiti seguendo delle regole precise, lo dobbiamo a Luca Pacioli (1445 ca. – 1517, religioso, matematico ed economista) che incise il “De divina proportione”, un manuale contenente le lettere dell’alfabeto, regolate sulle proporzioni del corpo umano e collocate all’interno di una cornice geometrica.

Intanto, in Francia, si affermano esperienze analoghe: Geoffroy Tory (1480 ca. – 1533, editore-libraio, calligrafo e disegnatore, “imprimeur du Roi” dal 1530) crea lo stile “champfleury” e diventa il decoratore di Simone de Colines (1480 – 1546, uno dei primi stampatori del Rinascimento; attivo a Parigi tra il 1520 ed il 1546) che per comporre utilizza un carattere derivato dalla “lettera antiqua” e successivamente, disegnerà e poi inciderà un carattere greco.

Nel 1540-41, i lavori di De Colines serviranno alla realizzazione del “greco del re”, che Claude Garamond (1480 – 1561, tipografo francese) inciderà, seguendo i modelli del calligrafo cretese Angelo Vergezio. I punzoni per la stampa furono commissionati da Francesco I di Francia (1494 – 1547, figlio di Carlo di Valois-Angoulême e di Luisa di Savoia, fu re di Francia dal 1515 fino alla morte).
Nel 1946, i punzoni insieme alle relative matrici furono classificati come monumenti storici e, attualmente, sono conservati presso l’Imprimerie Nationale (stamperia nazionale; stabilimento tipografico della Repubblica francese, con sede a Parigi).

Garamond realizzò anche dei caratteri romani, ispirati a quelli di Geoffroy Tory che sono considerati, secondo la formula del “champfleury” (trattato di estetica del 1529, importante per la storia della lingua francese e della riforma scrittoria rinascimentale di Geoffroy Tory), un alfabeto che possiede: “l’arte e la scienza della giusta e vera proporzione delle lettere”.

In copertina: Ritratto di Luca Pacioli (1495), attribuito a Jacopo de’ Barbari, museo nazionale di Capodimonte

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #16 nasce la tipografia

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon 16 nasce la tipografia

La scrittura finora è stata legata alle capacità di abili artigiani che per svolgere il loro difficile compito impiegavano anni, chini sulla carta a tracciare segni.
Ora, con la rivoluzionaria invenzione della stampa, le cose cambiano profondamente.

Inizialmente, la stampa non fu percepita come un cambiamento determinante, come invece sarà chiaro in tempi successivi, anche perché si cercò di mantenere una continuità con le opere manoscritte: le prime opere a stampa cercavano di emulare il lavoro degli scrivani.

Le pagine stampate prevedevano degli spazi vuoti che sarebbero stati riempiti da un miniatore e la parola d’ordine era: proseguire con la tradizione.
A questo scopo, si studiavano delle lettere maiuscole molto elaborate; si usavano gruppi di caratteri legati fra loro per simulare le legature tipiche della scrittura a mano.
La Bibbia latina stampata da Gutenberg nel 1450 è molto vicina agli esempi manoscritti del suo tempo.

In ogni caso, la stampa non fu una conquista semplice e immediata, bensì fu il risultato di molte invenzioni tecniche.
I cinesi conoscevano i caratteri mobili già dall’XI secolo; era già noto anche il torchio a vite che era usato ancor prima di Gutenberg, per stampare sui tessuti e lisciare e lucidare la carta.

Nel XV secolo si imprimevano lettere e immagini in precedenza incise sul legno; la stampa si otteneva sfregando il verso di un foglio sistemato su legno. La novità introdotta da Gutenberg, rispetto a tale procedimento, fu quella di meccanizzare il processo di stampa.

Il tipografo tedesco, Peter Schöffer o Petrus Schoeffer, (1425 ca.-1503) amico e collaboratore di Gutenberg, trovò il sistema per fondere i caratteri con l’aiuto di una lega di antimonio e piombo.
Gutenberg, invece, intuì le possibilità di un materiale già utilizzato in Cina: la carta.

I cinesi impiegarono diversi materiali prima di pervenire a quello più idoneo per produrre la carta, cioè la fibra di lino che diede i risultati più soddisfacenti.
Il procedimento prevedeva la decomposizione della fibra vegetale mediante macerazione, poi seguivano il lavaggio e la pressatura. La fibra forniva una polpa a cui si aggiungevano acqua e amido e si otteneva così la pasta della carta.

I cinesi non rivelarono il processo usato per ottenere la carta, almeno fino all’VIII secolo, quando lo comunicarono ai vincitori mongoli; da loro poi, passò ai persiani di Samarcanda, successivamente, ne furono informati i commercianti arabi che introdussero la carta in Sicilia e in Spagna.

Nel Duecento, in Europa esistevano già diverse fabbriche di carta che avevano migliorato il procedimento cinese, ma in sostanza, il processo restava quello da loro ideato.
A questo punto, la storia della scrittura si intreccia a doppio nodo con quella della tipografia.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #15 i caratteri si evolvono

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon i caratteri si evolvono

Con l’evoluzione dell’editoria manoscritta si assiste nello stesso periodo a un evolversi della materia prima della scrittura: i caratteri.

Dai precedenti caratteri utilizzati, di tipologia carolina, i copisti passano alla scrittura gotica di origine tedesca.
Questo passaggio di consegne è dovuto sia a motivazioni culturali sia a esigenze pratiche: i caratteri gotici erano più stretti di quelli finora impiegati e consentivano un notevole risparmio di spazio.

Per scrivere i caratteri gotici i copisti dovettero attrezzarsi. In concreto, fu necessario modificare gli strumenti di lavoro.
Le penne subirono qualche sostanziale cambiamento, furono tagliate obliquamente e i copisti furono costretti a modificare anche il modo tradizionale con cui impugnavano i loro strumenti: non più di piatto, bensì di lato.

La scrittura gotica, ovviamente, ha risentito dei cambiamenti culturali e artistici, in pratica, la sua nascita non è dovuta a un fenomeno isolato, ma è l’espressione di un’epoca che ha influenzato non solo la forma dei caratteri ma anche l’arte e l’architettura.

Gli archi a ogiva, le volte a crociera che si possono ammirare nelle chiese gotiche non sono altro che rappresentazioni in grande scala dei caratteri gotici usati nella scrittura. Essi, infatti, ripropongono, a modo loro, le stesse forme appuntite e spezzate con un’altrettanto forte componente di spinta verso l’alto.

Intorno al XIV e XV secolo, mentre il Rinascimento è alle porte, in Italia si profila un ulteriore cambiamento di “carattere”. Dalle forme gotiche “appuntite” e strette si passa a forme più rotonde, così ha inizio la scrittura denominata “umanistica”.

Questo nuovo tipo di scrittura prende campo velocemente e prolifera dovunque, proprio mentre accade un evento epocale: l’invenzione della tipografia che per la stampa si avvale di caratteri mobili.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #12 arriva Carlo Magno

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 12 arriva Carlo Magno

In epoca carolingia, cambiano i caratteri usati dai copisti; la chiesa non detiene più lo scettro dell’insegnamento; si allargano il pubblico dei committenti e quello dei lettori.

Nei primi tempi, i monaci copisti usavano per i loro lavori di copiatura gli usuali caratteri normalmente impiegati sin dall’epoca dei romani: l’onciale (corsivo maiuscolo); il semionciale; la capitale (maiuscole quadrate); il rustico (maiuscolo più semplice).
L’onciale resisterà con le sue lettere tondeggianti nella scrittura a penna, questo finché non si passerà alla stampa.

Nel 768, in epoca carolingia, appare la carolina, simile alla minuscola romana, definita anche scrittura di cancelleria. Essa sostituì il particolarismo grafico tipico dei secoli VII e VIII e rappresenta una delle formalizzazioni delle scritture semicorsive.

La scrittura carolina è chiara e ben proporzionata, possiede una notevole bellezza formale e avrà larga e lunga diffusione nell’Europa occidentale del Medioevo.

Durante il regno di Carlo Magno si eseguirà anche un grande lavoro di emendamento dei testi.
I testi originali, in seguito ai vari passaggi di copia in copia, avevano subito sostanziali modifiche, alterazioni tali, nel corso del tempo, da modificare il senso stesso degli scritti.

Carlo Magno pensò di risolvere questo problema imponendo la creazione di nuove copie emendate dagli errori, in quanto realizzate con grande osservanza e scrupolo e soprattutto, basate su fonti più prossime possibile all’originale.
I manoscritti carolingi si fregiano della dicitura “ex authentico libro” che fungeva da garanzia di una copiatura perfetta.

Al termine del XII secolo, il dominio incontrastato della chiesa sull’insegnamento viene meno; gli scrivani laici iniziano a riunirsi in botteghe e corporazioni. I loro principali lavori sono per la nuova borghesia mercantile per cui eseguono documenti, ma si occupano anche di comporre libri.

In questo periodo non cambiano solo gli esecutori dei manoscritti, ma anche i destinatari di queste magnifiche opere. Fino a questo momento, i committenti erano i nobili e gli ecclesiastici; le opere realizzate erano manufatti di lusso – per i signori – o manuali di teologia e messali per il clero.

Ora il mercato si estende: trattati di filosofia, di matematica, di logica e di astronomia fioriscono, ampliando i consueti settori dell’editoria.

In parallelo alla nascita di testi per un pubblico più ampio, gli autori, come Dante, iniziano a scrivere in volgare, ciò consente di avvicinare alla lettura molte più persone che sono istruite ma non conoscono il latino.

Queste due rivoluzioni in parallelo comportano un allargamento della cultura: finalmente, la borghesia si accosta ai libri e alla letteratura.

In copertina: a sinistra, ritratto immaginario di Carlo Magno, di Albrecht Dürer; a destra, pagina in minuscola carolina (escluse le prime tre righe, in onciale)

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #9 Latino in armonia

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 9 Latino in armonia

Intorno al III secolo a.C. esiste già un alfabeto latino composto da 19 lettere, nell’epoca di Cicerone (I secolo a.C.) si aggiungeranno la X e la Y.

Come i greci, anche i romani usavano i caratteri maiuscoli per iscrizioni su pietra, le minuscole, invece, erano destinate alle tavolette cerate e ai papiri.

L’iscrizione su pietra richiedeva un lungo e meticoloso lavoro di preparazione. L’incisore doveva, prima di tutto, valutare le dimensioni della superficie su cui doveva scrivere, considerare quante parole componevano il testo da riprodurre e poi stabilire, di conseguenza, la grandezza delle lettere.

Prima di incidere la pietra, l’incisore realizzava una copia su un rotolo di papiro che gli consentiva di stabilire quante lettere potevano stare in una riga e anche di studiare con cura il modo più equilibrato e visivamente armonioso di riempire lo spazio che aveva a disposizione.

Successivamente, l’incisore tracciava con un gesso sulla pietra la base della lettera e il suo punto più alto, subito dopo, disegnava i caratteri con il carboncino e poi li dipingeva. Dopo aver compiuto tutti questi passaggi, finalmente, poteva prendere in mano lo scalpello.

Nel periodo tra il II e il III secolo d. C. comparvero “la nuova scrittura comune” e l'”onciale” che, fino all’anno 1000, si diffusero in tutte le regioni europee dove si scriveva in latino.

in copertina: Iscrizione sul tamburo del Mausoleo di Cecilia Metella sulla via Appia a Roma