Proust e Bergotte alla “Recherche” di un’ala di muro giallo

Proust e Bergotte alla "Recherche" di un’ala di muro giallo

La pandemia e il conseguente lockdown mi hanno lasciato una piacevole abitudine, seguire dei corsi online.
Qualche mese fa, ho visto delle mini conferenze su “Feltrinelli Education”, la piattaforma digitale di servizi formativi.

Tra le tante esperienze e possibilità offerte, ho scelto di esplorare il “Breve corso sulla letteratura del ‘900” con Paolo Di Paolo, dedicato nello specifico a “Il grande romanzo del ‘900: Proust, Joyce, Woolf”.
È stato un viaggio interessante ed emozionante al tempo stesso.

Sono rimasta particolarmente colpita dalla lezione dedicata a Proust e non poche riflessioni ho tratto dalla parte in cui si parla di un personaggio creato da Marcel Proust: Bergotte.

Bergotte è uno scrittore e appartiene alla schiera dei personaggi minori descritti e fatti agire da Proust nella sua À la recherche du temps perdu (“Alla ricerca del tempo perduto”).
Nel V volume, intitolato “La prigioniera”, veniamo a sapere che Bergotte sta per morire, ma che non vuole andarsene da questo mondo senza aver rivisto, almeno per una volta, un quadro di Jan Vermeer (1632-1675; pittore olandese), la Veduta di Delft.

È davvero singolare questo desiderio del personaggio proustiano e ci spinge a chiederci: che cosa può contenere di così affascinante questo dipinto, tale da scatenare un desiderio così intenso? E al contempo, che cosa porteremmo via con noi, come ultima cosa da questo mondo, se fossimo al suo posto?

Bergotte ha fatto la sua scelta: porterà con sé un assaggio di bellezza, quell’assaggio è contenuto nel quadro di Vermeer. Non lo interessa l’intero dipinto, bensì un piccolo dettaglio che lo spinge a indugiare, ancora una volta, davanti alla Veduta di Delft.

Proust ci dice che Bergotte muore a causa di una crisi di uremia (stadio terminale dell’insufficienza renale), abbastanza leggera, ma lo scrittore aveva trascurato le prescrizioni del medico che gli aveva consigliato di riposare. Ma Bergotte non può riposare, perché ha letto una recensione di un critico sul quadro di Vermeer, che lui amava particolarmente, ed era convinto di conoscerlo a fondo.

Nella recensione c’è segnalato che “una piccola ala di muro giallo (che non si ricordava) era dipinta così bene da sembrare, se la si guardava isolatamente, una preziosa opera d’arte cinese, di una bellezza che sarebbe bastata a se stessa”.

Così, Bergotte, mangia un po’ di patate, esce di casa e si dirige dritto filato alla mostra, dove è esposto il Vermeer. Già nel fare questi primi passi, si sente mancare. Entrato nelle sale della mostra, scorre rapidamente davanti agli altri dipinti, ricavandone un’impressione di inutilità e aridità; finché non giunge davanti al dipinto che è venuto a rivedere.

Ora, seguendo le indicazioni del critico, Bergotte nota altri particolari, nella Veduta di Delft, cui non aveva prestato attenzione in precedenza, e infine, si sofferma sulla “preziosa materia della piccolissima ala di muro giallo”.
Nonostante i suoi disturbi aumentino in modo preoccupante, lo scrittore è troppo preso dalla meravigliosa vista e insiste a fissare quel piccolo dettaglio, quel minuscolo barlume di giallo, come volesse afferrarlo e portarlo via con sé.

Quella minuta meraviglia dipinta, lo costringe anche a un parallelo con la sua scrittura e gli fa pronunciare: “È così che avrei dovuto scrivere […]. I miei ultimi libri sono troppo scarni, sarebbe stato necessario passare parecchi strati di colore, rendere la frase in se stessa preziosa, come questa piccola ala di muro giallo”.

Siamo alle ultime battute, Bergotte si rende conto, dall’aumentare dei suoi capogiri, che sta per morire e pensa che “in una bilancia celeste gli appariva, su uno dei piatti, la sua stessa vita, mentre l’altro conteneva la piccola ala di muro dipinta così bene di giallo. Sentiva di aver dato incautamente la prima per la seconda”.

Pochi istanti dopo questi pensieri, Bergotte precipita su un divano e da qui finisce a terra. Morto.
Lo seppellirono, ma tutta la notte funebre, nelle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a tre a tre, vegliavano come angeli dalle ali spiegate e sembravano per colui che non era più, il simbolo della sua resurrezione”.

Con queste parole, Proust mette un suggello: è l’arte a renderci immortali. Per cui, Bergotte è morto, ma è più vivo che mai, almeno finché ci saranno lettori che continueranno a stupirsi, leggendo di lui e del suo speciale legame con il dipinto di Vermeer.

Le citazioni sono tratte da Marcel Proust, La prigioniera, in Id., Alla ricerca del tempo perduto, edizione integrale a cura di Paolo Pinto e Giuseppe Grasso, condotta sul testo critico stabilito da Jean-Yves Tadié, Newton Compton editori, Roma 2010

In copertina: Veduta di Delft di Jan Vermeer

Proust e il sapore del ricordo

madeleine biscotti

Sono due i motivi che mi hanno fatto pensare a Proust: i fatti recenti di Parigi e l’anniversario della sua morte che ricorre proprio oggi (18 novembre 1922).

Al di sopra delle polemiche, dei pugni alzati, delle voci indignate e di quelle pacificatrici, io voglio solo porgere un omaggio a un grande autore francese, parigino di nascita, e attraverso lui, alla letteratura francese e alla Francia, luogo in cui è nato lo scrittore e in cui si è sviluppato il suo talento.

In particolare, la mia attenzione si appunta su una singolare e minuta descrizione di “quei dolci corti e paffuti, chiamati Petites Madeleines, che sembrano modellati nella valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo“.
Il testo in questione è tratto dal primo volume della Recherche, “Dalla parte di Swann”.

Appena il palato di Proust assapora la madeleine ammorbidita nel tè, prova un delizioso piacere la cui natura gli è oscura.

Come può un semplice dolcetto rendere “indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio questa essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale“.

Proust descrive l’esperienza del ricordo evocato da uno dei sensi: il gusto.

Spesso è un profumo o una serie di suoni a richiamare alla memoria un momento passato della nostra vita, con una forza incredibile, e quando riusciamo a ricordare, ci troviamo a rivivere l’istante passato con la stessa intensità originaria, recuperando il luogo e il tempo insieme alle emozioni che lo hanno caratterizzato.

È proprio quello che succede a Proust che all’inizio non riesce a focalizzare il motivo della gioia inaspettata che sta provando; beve un secondo sorso di tè, per sollecitare attraverso il gusto la sensazione e ripercorrere a ritroso il tempo e lo spazio, fino a recuperare la causa della forte emozione che ha provato.

Si concentra, si affatica, si estrania dall’ambiente in cui si trova e tenta di pensare ad altro, sempre all’inseguimento del ricordo sfuggente.
E ad un tratto il ricordo m’è apparso“.

Quel sapore era lo stesso del pezzetto di madeleine che, la domenica mattina, a Combray […], quando andavo a darle il buongiorno nella sua camera, la zia Léonie mi offriva, dopo averlo immerso nel suo infuso di tè o di tiglio“.

Il ricordo riaffiora in tutta la sua potenza vivificatrice, affacciandosi a fatica dal buio del passato, riemerge dalle onde del tempo, evocato da un sapore, e Proust conclude con una frase magnifica su come il ricordo, fragile all’apparenza, continui a vivere anche là, dove ogni cosa è scomparsa o distrutta.

Ma, quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere senza piegare, sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo“.

Ognuno di noi ha un ricordo felice nel suo bagaglio di vita, auguro, perciò, a tutti, di riuscire a recuperare quel particolare ricordo, coinvolgendo tutti i sensi; vi auguro di farlo rivivere intenso e magnifico nel presente, e spero che la luce di quell’istante di gioia resti a lungo a scaldare il vostro cuore.