Noto come “il treno dei re e il re dei treni”, l’Orient Express richiama alla mente immagini di lusso, avventura e un pizzico di mistero.
Estate: tempo di vacanze e di riposo, di letture sotto l’ombrellone, di fantasie sbrigliate e di viaggi. E magari, se si viaggia su rotaia può capitare di essere avvolti da una ventata di mistero. Ma perché ciò accada, bisogna salire sul treno giusto, cioè il treno diventato leggenda, grazie soprattutto a un giallo, datato 1934, di Agatha Christie (1890-1976): “Assassinio sull’Orient Express”. In questo romanzo, il celebre detective privato, Hercule Poirot, nato dalla fantasia della scrittrice inglese, si ritrova a indagare sul misterioso omicidio di un compagno di viaggio.
L’ambientazione sul celebre treno pare sia dovuta a un’esperienza personale della Christie sull’Orient Express: la scrittrice rimase bloccata a bordo del treno, a causa di forti piogge, per ben ventiquattro ore. In una lettera al suo secondo marito, l’archeologo Max Mallowan (1904–1978), Agatha riferì la fermata forzata del treno e descrisse la disposizione delle cabine, delle maniglie delle porte e degli interruttori della luce, tutti particolari che poi finirono nel suo romanzo.
Agatha era sempre stata affascinata dal celebre treno. Nella sua autobiografia scrisse: “Per tutta la vita avevo voluto viaggiare sull’Orient Express. Quelle volte che ero andata in Francia, in Spagna o in Italia, l’Orient Express era spesso fermo a Calais, e avevo desiderato ardentemente di salirci su”.
L’Orient Express in origine era un treno passeggeri a lunga percorrenza. Il suo primo viaggio risale al 1883. Fu messo in servizio dalla Compagnie Internationale des Wagons-Lits per collegare Parigi Gare de l’Est a Costantinopoli (odierna Istanbul). Su questo favoloso treno viaggiavano soprattutto: reali, diplomatici, nobili, uomini d’affari e ricchi borghesi.
Durante le due guerre mondiali tra il 1914 e il 1921 e successivamente tra il 1939 e il 1945, il suo servizio fu interrotto e nel 1977, cessò definitivamente, a causa della concorrenza dei trasporti aerei. Rimase però un servizio quotidiano tra Parigi e Vienna fino al 2007, quando il suo tragitto subì una riduzione. Il 14 dicembre 2009 ci fu una momentanea cancellazione, poi il celebre treno ha ripreso a viaggiare, grazie alla Belmond Management Limited.
Il primo viaggio dell’Orient Express (4 ottobre 1883) vide il treno cimentarsi con i chilometri che separavano la Francia dalla Romania, passando per Vienna. A Giurgiu i passeggeri furono poi trasportati via nave attraverso il Danubio fino in Bulgaria e da qui, salirono su un altro treno per Varna in Bulgaria, il resto del viaggio fino a Costantinopoli fu via traghetto.
Nel 1885, fu introdotto un percorso alternativo: si raggiungeva Istanbul via ferrovia da Vienna a Belgrado e Niš, poi in carro fino a Filippopoli e di nuovo sulle rotaie fino alla meta finale. Nel 1889 fu terminata la linea ferroviaria diretta a Istanbul e nello stesso anno, il capolinea est della linea divenne Varna. Qui i passeggeri potevano imbarcarsi per Istanbul, ma ben presto, la città fu raggiungibile direttamente in treno. Istanbul restò il capolinea del servizio fino al 22 maggio 1977.
Gli anni Trenta sono il periodo di maggior successo dei servizi Orient Express, con tre collegamenti paralleli attivi: l’Orient Express; il Simplon Orient Express; l’Arlberg-Orient Express (passava da Zurigo e Innsbruck per Budapest, con carrozze letto dalla capitale ungherese per Bucarest e Atene). Proprio in questi anni, l’Orient Express divenne famoso per comfort e lusso, trasportando carrozze notturne con servizio permanente e carrozze ristorante conosciute per la loro raffinata cucina.
L’Orient Express è entrato a tal punto nell’immaginario comune da essere citato in diversi libri e film. Non poteva mancare neppure una citazione musicale. Nel 1986, Raffaella Carrà, nella canzone Wagon Love, Wagon Lit, ci racconta di un amore vissuto in giro per il mondo proprio sul famosissimo treno.
Il genere letterario che va, almeno in Italia, sotto il nome di “giallo” ha avuto negli anni una grande fortuna. Negli anni ha visto mutare le ambientazioni, le figure degli investigatori, il suo contenuto e persino le sue finalità, ciò che è rimasto intatto è il fascino che ancora esercita sui lettori.
Il termine “giallo”, usato per definire un genere letterario, è valido solo nella lingua italiana e deriva dalla collana “I Libri Gialli”, concepita da Lorenzo Montano (pseudonimo di Danilo Lebrecht, 1893 – 1958; scrittore e poeta italiano) e pubblicata in Italia, dal 1929 in poi da Arnoldo Mondadori (1889 – 1971; editore italiano fondatore della omonima casa editrice). Questa scelta editoriale ha influenzato il modo di riferirsi al genere poliziesco che, mentre nei paesi francofoni resta invariato (roman policier e polar), in Italia, mutuato dalle copertine gialle di Mondadori, sarà associato d’ora in poi a questo colore.
Parlare di storia del giallo significa fare riferimento alla storia del genere poliziesco, in quanto la nascita e lo sviluppo di nuove ramificazioni del genere si è verificata solo più avanti, con una produzione variegata che comprende: thriller, spy-story e giallo psicologico.
La nascita del genere giallo si fa risalire al mese di aprile del 1841, quando sulla rivista “The Graham’s Magazine di Filadelfia” fu pubblicato “The Murders in the Rue Morgue” (I delitti della Rue Morgue), un racconto di Edgar Allan Poe (1809 – 1849; scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense) in cui compare Auguste Dupin, investigatore che risolve i casi, senza neppure recarsi sulla scena del crimine, ma che trae indizi da resoconti giornalistici e sfruttando le sue incredibili capacità deduttive.
Sulla scia di Dupin, comparirà un altro infallibile detective, Sherlock Holmes dalla penna di Arthur Conan Doyle (1859 – 1930). La sua prima indagine sarà narrata nel romanzo “Uno studio in rosso”, del 1887.
Il panorama giallo italiano si anima dal 1852, con “Il mio cadavere”, di Francesco Mastriani(1819 – 1891; scrittore, drammaturgo, giornalista; autore di romanzi d’appendice di grande successo). Il romanzo, inizialmente, apparve in appendice sul periodico napoletano di politica e cultura “L’Omnibus”. La prima puntata (‘’La famiglia dello stradiere’’) uscì in stampa il 13 dicembre 1851. Nel 1888, Emilio De Marchi (1851 – 1901; scrittore, poeta e traduttore italiano; fra i più importanti narratori del secondo Ottocento italiano) pubblica “Il cappello del prete”, romanzo giallo fra i più interessanti dell’epoca.
In Italia, il genere giallo inizia a prendere campo nel dopo guerra e nelle pagine dei nuovi romanzi si inizia a sentire l’influenza dalla scuola americana “Hard boiled” della narrativa poliziesca.
A essere considerati, universalmente, come primi gialli sono comunque le avventure di Sherlock Holmes. Il personaggio creato da Conan Doyle ha proiettato una lunga ombra sul genere, che è giunta fino agli anni trenta del Novecento, e molti personaggi concepiti sotto questo ascendente da autori europei e americani derivano direttamente da Holmes. Tra questi, appartenenti al periodo classico del giallo, citiamo i più famosi: Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie (1890 – 1976; scrittrice e drammaturga britannica); Philo Vance di S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1887 – 1939; scrittore e critico d’arte statunitense); Lord Peter Wimsey di Dorothy L. Sayers (1893 – 1957; scrittrice, poetessa e drammaturga britannica) ed Ellery Queen, il più famoso degli pseudonimi di Frederick Dannay (1905 – 1982) e Manfred Bennington Lee (1905 – 1971), scrittori di letteratura poliziesca e inventori del detective che ha il nome del loro pseudonimo.
Questa messe di investigatori letterari non è, ovviamente, una pedissequa ripresa del modello, ma ogni detective citato presenta caratteristiche specifiche e ogni autore ha tentato a suo modo di proporre elementi nuovi, ad esempio, nello stile e nel contenuto. Ma restano molti aspetti in comune con l’originale. Prima di tutto la capacità deduttiva, a seguire l’abilità di riconoscere l’importanza di indizi che agli altri sembrano trascurabili e infine, la dote di mettere insieme i pezzi e trovare la soluzione di casi intricati o quasi impossibili.
L’arma della deduzione che questi abili investigatori possiedono deriva dal positivismo ottocentesco. Questi personaggi hanno una fede incrollabile nei confronti della logica, della scienza e della ragione. Ogni indagine conduce immancabilmente a una sola e unica soluzione che è possibile affermare grazie all’analisi delle tracce trovate sulla scena del crimine e attraverso tale analisi si può giungere alla verità, senza possibilità di errore.
Questo tipo di detective sono uniti anche perché appartengono a classi sociali assimilabili: spesso benestanti o di nobili origini e svolgono le loro indagini principalmente per vanità intellettuale oppure per curiosità o diletto, per il puro desidero di risolvere un mistero. Non rappresentano la legge e mirano essenzialmente a scoprire la verità. Inoltre, gli ambienti in cui avvengono i crimini sono spesso altolocati ed eleganti, lontani dai luoghi quotidiani in cui avvengono di norma fatti criminali.
Gli investigatori del giallo classico sono sempre dilettanti. Il motivo è semplice: questi personaggi non sono vincolati da regole e possono indagare in piena libertà, mentre un poliziotto o un funzionario dello Stato devono attenersi ad esempio, alle norme e alle direttive dei superiori.
I gialli di questo periodo hanno una forte componente morale, anche se sono stati ritenuti per molto tempo una “letteratura di evasione”. In queste storie, il colpevole, dopo essere stato individuato, subisce una punizione, la giustizia trionfa e torna l’ordine precostituito, che era stato sconvolto dalle azioni del criminale. Questo processo di ripristino delle regole rientrava nelle consuetudini sociali dell’epoca, ancora dipendente dalla visione moralistica di stampo vittoriano. (prosegue)
Il 12 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Agatha Mary Clarissa Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976), una delle più famose e prolifiche scrittrici del XX secolo. Per misurare la sua notorietà, basta dire che, subito dopo Shakespeare, è la scrittrice inglese più tradotta. I personaggi più celebri dei suoi gialli: Hercule Poirot e Miss Marple sono famosi in tutto il mondo.
Agatha Christie è nota soprattutto per i suoi intricati e geniali racconti e romanzi gialli, ma in effetti, è stata anche autrice di diverse opere teatrali e di alcuni romanzi rosa che firmò con lo pseudonimo di Mary Westmacott. I suoi gialli sono diventati così famosi per diversi motivi, tra questi, la fortuna che hanno incontrato due dei suoi personaggi più riusciti: Hercule Poirot e Miss Marple. I due diversissimi detective, accomunati però da un eccezionale acume, hanno fatto il giro del mondo e tuttora, le opere che li vedono protagonisti sono oggetto di nuove edizioni a stampa e di diversi adattamenti per il cinema e per la TV.
La Christie aveva sempre avuto una spiccata passione per i romanzi polizieschi. Dopo aver letto tutto quello c’era a disposizione alla sua epoca su quel genere, in particolare, Wilkie Collins e Sir Arthur Conan Doyle, scrisse il suo primo romanzo poliziesco, “Poirot a Styles Court”. In questo primo giallo, la Christie ci presenta per la prima volta l’ex ufficiale di polizia belga, destinato a diventare uno dei detective più famosi a livello mondiale: Hercule Poirot, la cui notorietà è paragonabile solo a quella di Sherlock Holmes.
Nel 1916, quando il primo romanzo dell’eccezionale detective vede la luce, l’Europa era in guerra, già da due anni, e la Christie lavorava come infermiera volontaria; il suo compito principale era quello di gestire il dispensario dell’ospedale, dove era possibile reperire medicinali ma anche veleni letali.
Secondo l’autobiografia della scrittrice, il suo romanzo nacque in seguito a una sfida, lanciata da sua sorella: “scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”. La Christie accettò la sfida e trovò ben presto l’ispirazione per dare vita a una storia avvincente. Dal suo lavoro trasse l’idea in merito all’arma del delitto: un veleno, mentre Torquay, località del Devon, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, le fornì, anche se indirettamente, le indicazioni per il suo detective. Nel 1916, nella città natale della scrittrice, passavano molti belgi in fuga dal loro Paese, qualcuno di loro, o forse proprio uno in particolare, magari con dei baffi curiosi e ben curati, accese la sua fantasia e divenne l’ex poliziotto belga che con le sue brillanti “celluline grigie” risolverà crimini intricati.
Hercule Poirot non colpisce per la sua imponenza: è un uomo di bassa statura, grassoccio e leggermente claudicante, nonostante ciò, il suo portamento è eretto e dignitoso, e conserva l’aspetto del militare con i suoi baffetti rigidi e sottili, dei quali si prende molta cura. Ha una testa di forma ovale che ricorda un uovo e di solito, la tiene inclinata verso destra. Ha ancora molti capelli e si distingue per il suo abbigliamento sempre preciso e perfetto. Inoltre, Poirot ama il cibo, ma solo quello di qualità e preparato con cura.
L’atteggiamento di Poirot è tendenzialmente flemmatico; è riflessivo ed estremamente preciso, non gli sfugge nulla, neppure il più trascurabile dettaglio, e grazie al suo fiuto straordinario e ai suoi accurati metodi di indagine, alla fine, anche il colpevole più scaltro finisce nelle mani della giustizia. Inoltre, è presentato come un uomo molto sicuro di sé e delle sue capacità investigative. Sappiamo anche che abita in un appartamento al 56B Whitehaven Mansions, Charterhouse Square, Smithfield, London W1, che ha scelto per la sua simmetria. Agatha Christie, però, non ci dà alcuna indicazione della famiglia d’origine del suo famoso detective; scopriamo solo, in un altro dei suoi romanzi, che la sua nonna paterna si chiamava Marie.
In “Doppia colpa”, è Poirot stesso che ci informa della sua storia pregressa. Come già accennato, veniamo a sapere che, sino allo scoppio della Grande Guerra, era capo della polizia di Bruxelles. Del suo periodo belga, veniamo a sapere che risolse un caso di omicidio: un ricco produttore di sapone, aveva ucciso la moglie per sposare la sua segretaria. Inoltre, dalle parole dell’ispettore Japp, scopriamo che nel 1904, i due hanno già lavorato insieme, a Bruxelles, al caso Abercrombie.
Una volta lasciata la polizia belga e la sua stessa patria, Poirot giunse in Inghilterra come rifugiato, e qui iniziò la sua brillante carriera di investigatore privato. Il suo primo caso inglese gli conferirà una certa notorietà, lo risolverà insieme al suo più fidato amico, il capitano Arthur Hastings, dopo che i due amici ripresero i contatti il 16 luglio del 1916.
Durante la prima e la seconda guerra mondiale, Poirot viaggia in Europa e in Medio Oriente, sempre impegnato a indagare su crimini e omicidi. Solo in pochi casi, l’eccezionale investigatore consente ai criminali di sottrarsi alla giustizia, ciò accade con la contessa Vera Rossakoff, una ladra di gioielli, della quale Poirot si è innamorato. Non sarà però mai magnanimo nei confronti degli assassini, l’unico caso di omicidio che lo costringerà a insabbiare tutto è “Assassinio sull’Orient Express”, ma è la situazione stessa che in un certo qual senso lo obbliga a farlo.
Al termine della sua carriera, Poirot passa gran parte del suo tempo libero a riflettere su casi irrisolti dalla polizia, a leggere racconti polizieschi e a scrivere un libro. Per quanto riguarda la sua morte, il famoso detective uscirà di scena alla fine del romanzo il “Sipario”, a causa di complicazioni cardiovascolari. Prima di morire, Poirot commette un omicidio: uccide un serial killer; il senso di colpa, unito all’età avanzata e alla salute precaria, lo condurranno alla morte. Le ultime parole pronunciate da Poirot “Cher ami!” sono per il suo amico di sempre, il capitano Hastings. Verrà sepolto a Styles Court e il cerchio così si chiuderà, perché è proprio qui che tutto aveva avuto inizio; il funerale sarà organizzato da Hastings.
Poirot appare come protagonista in ben 33 romanzi e in 5 antologie di racconti. Inoltre, lo troviamo anche in alcune raccolte di racconti, insieme con altri personaggi. La Christie fu un’autrice molto prolifica, ma il suo primo poliziesco richiese ben quattro anni di lavoro. In questo periodo la scrittrice pensò spesso di abbandonare tutto, ma alla fine, “Poirot a Styles Court” sarà dato alle stampe, il 1° gennaio 1920, quando l’autrice, dopo aver apportato al testo le modifiche suggerite dall’editore, firmerà con John Lane il suo primo contratto.
Agatha Christie ebbe un successo immediato. Della sua prima storia poliziesca, i lettori gradirono la chiarezza espositiva e lo stile narrativo fluido. Inoltre, la scrittrice aveva una capacità descrittiva notevole che si riscontra nel tratteggio essenziale ma efficace dei personaggi. Il finale del suo primo romanzo, consumato in una location informale: un elegante salotto, diverrà l’apprezzata cifra distintiva di molti altri finali della Christie, come: “l’Assassinio di Roger Ackroid”, “Il pericolo senza nome”, “Tragedia in tre atti”, “Delitto in cielo”, “La serie infernale”, “Il ritratto di Elsa Greer” e molti altri ancora.
Questo esordio poliziesco di Agatha Christie contiene tutti gli elementi che saranno presenti in gran parte dei suoi romanzi, anche quelli in cui Poirot non sarà presente. La Christie sceglie ambientazioni casalinghe, dove si trovano diverse persone, legate fra loro da relazioni conflittuali, al punto da rendere chiunque un possibile omicida. Lo schema della scrittrice è semplice ma ben congegnato: avviene un omicidio, ci sono più sospettati che nascondono segreti, questi sono svelati dal detective nel corso della storia, e solo verso la fine, sono rivelati quelli più sensazionali.
La Christie non esclude nessun possibile colpevole nelle sue storie: narratori, bambini, poliziotti, soggetti già deceduti, i sospettati in toto (“Assassinio sull’Orient Express”). Le ambientazioni predilette dalla scrittrice sono di tipo casalingo e il finale è un vero colpo di genio: il detective riunisce i sospettati in una stanza e li coinvolge nel suo ragionamento deduttivo, durante il quale svela il colpevole. Ci sono davvero poche eccezioni a questo schema ma anche in questi casi, la scrittrice non delude mai i suoi lettori.
Per quanto riguarda il personaggio di Poirot, la Christie si stancò di lui, proprio come Sir Arthur Conan Doyle finì per odiare Sherlock Holmes. La scrittrice, alla fine degli anni trenta, scrisse nel suo diario che riteneva Poirot “insopportabile”, mentre negli anni sessanta disse che era “un cagnaccio egocentrico”. Ma la Christie resistette alla tentazione di eliminare il suo detective, mentre era ancora popolare, a differenza di Conan Doyle.
La scrittrice non scrisse mai un romanzo o una storia breve, dove Poirot e Miss Marple si trovano a indagare insieme. In una registrazione, pubblicata nel 2008, la Christie ne rivelò la ragione: “Hercule Poirot, un egoista completo, non vorrebbe che gli venissero insegnati i suoi affari o avere suggerimenti da un’anziana signora zitella. Hercule Poirot – un investigatore professionista – non sarebbe affatto a casa nel mondo di Miss Marple“.
Hercule Poirot è l’unico personaggio di finzione che fu commemorato con un necrologio sul New York Times: dopo la pubblicazione di “Sipario”, apparve un articolo sulla prima pagina del giornale, il 6 agosto 1975.
Un’autrice che descrive con grande rapidità e precisione è Agatha Christie.
I suoi personaggi sono un insieme di indizi.
Quadri in miniatura: suggeriscono ai lettori fisionomia e tratti caratteriali dei soggetti della storia.
“A voler definire in una sola parola il signor Jesmond, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto, in lui, era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata e ben educata che raramente si alzava in toni che si staccassero da una piacevole monotonia, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e grave“.
“La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto“.
“I signori Baker […] ci stavano aspettando. Erano una coppia simpatica. Lui tutto rattrappito e con le guance rosse, come una mela raggrinzita, e sua moglie una donna di vaste proporzioni e con la calma della gente del Devonshire“.
Niente è superfluo nelle sue descrizioni.
Come nelle sue storie, dove ogni cosa va al suo posto e ogni particolare trova la giusta collocazione e una successiva spiegazione, anche i protagonisti dei suoi gialli vengono definiti con la stessa logica ed essenzialità.
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