Ulisse, eroe moderno dalle radici mitologiche #2

Ulisse eroe moderno dalle radici mitologiche 2

Ulisse è un eroe dalla mente pronta e ingegnosa, grazie alla quale, dopo tante peripezie riesce a tornare in Patria, nella sua casa, ai suoi affetti familiari.

Per quanto riguarda le vicende legate al cavallo di Troia ci sono parecchie versioni discordanti che vede Ulisse come artefice del progetto, mentre in altre appare come un usurpatore della felice idea di qualcun altro. Diverse sono anche le ipotesi riguardo al cavallo stesso: in un caso, considerato una macchina bellica al servizio dei Greci per distruggere le mura della città; in un altro, ritenuto dai Troiani un dono di Atena.

Nell’Odissea, Ulisse è il protagonista incontrastato della storia, anche se molte figure, a dir poco singolari, compaiono nella vicenda. Il tema conduttore invece, è il tanto sospirato ritorno a casa dell’eroe che in tutto il suo lungo vagare ha un unico desiderio: tornare agli affetti familiari e alla sua Itaca, dopo ben dieci anni passati a Troia a causa della guerra.

A impedire il ritorno a casa di Ulisse è Poseidone, così, se per tornare a casa devi affrontare il mare, avere contro le ire di chi gestisce il regno delle acque non può portare a nulla di buono.
Infatti, il nostro Odisseo si troverà coinvolto in un’infinità di incidenti e incredibili peripezie e solo dopo altri dieci anni, e grazie all’aiuto della dea Atena, potrà di nuovo toccare il suolo natio.

Come le fatiche di Ercole, anche le tappe che tengono impegnato il nostro eroe sono dodici.
Questo numero è ritenuto il più sacro tra i numeri, insieme al tre e al sette. Esso indica la ricomposizione della totalità originaria, cioè la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia. Il suo significato indica la conclusione di un ciclo compiuto, inoltre, è il simbolo della prova iniziatica fondamentale, prova che consente di passare da un piano ordinario a un piano superiore, sacro. Esso ha un significato esoterico molto forte, in quanto collegato alle prove fisiche e mistiche che deve compire l’iniziato.

Nei “dodici episodi” in cui si struttura la sua avventura, Ulisse incappa in situazioni di ogni genere, accomunate però da due fattori. Ci sono tappe che possono essere raggruppate tra quelle in cui l’insidia è manifesta (mostruosità, aggressione, morte); altre in cui invece l’insidia è solo latente (un’ospitalità che cela un pericolo, un divieto che non si deve infrangere).

Inoltre, il nostro povero Ulisse – ci sarà un motivo per cui di fronte a ostacoli continui e insormontabili sosteniamo che “si è trattato di un’odissea” – non può coronare il suo sogno di raggiungere Itaca, perché Poseidone gli sferra contro venti furiosi; lo costringe a continui naufragi; lo spinge verso approdi perigliosi.

Vediamo in sintesi le dodici tappe affrontate dal nostro impavido eroe.
Appena partito da Troia, si ferma a Ismaro, terra dei Ciconi. Per fare bottino li attacca, ma risparmia Marone, sacerdote di Apollo, che in cambio gli dà del vino forte e dolcissimo, cruciale per la sortita nella grotta di Polifemo.

La seconda tappa vede Ulisse e i suoi uomini approdare nella terra dei Lotofagi (mangiatori di loto). Essi accolgono benevolmente i nuovi arrivati, ma si rivelano degli ospiti insidiosi: offrono infatti ai compagni di Ulisse il loto, un frutto che fa dimenticare il ritorno. Il nostro eroe, per ricondurli alla ragione, si trova costretto a legarli e a trascinarli di peso sulle navi.

La terza tappa ci conduce dritti dritti nella grotta del ciclope Polifemo.
Ulisse, giunto su un’isola abitata dalle ninfe, decide di spostarsi su un’isola vicina, così prende una nave e là si reca con alcuni compagni. Qui finiscono nella grotta di Polifemo che è fuori a pascolare il suo gregge.
Nella grotta ci sono graticci pieni di formaggi enormi e latte appena munto. I compagni di Odisseo suggeriscono di prendere i formaggi e fuggire, ma Ulisse vuole ricevere i doni dell’ospitalità.
Quando Polifemo torna alla grotta, l’eroe e i suoi compagni scoprono che il loro ospite è davvero orrendo: un gigante che possiede un unico occhio in mezzo alla fronte. Quando si accorge della loro presenza, sta preparando la cena, così prende due compagni di Ulisse e li divora. Poi va a dormire, mentre il nostro eroe studia come tirarsi fuori da questo rognoso impiccio.

All’inizio, pensa di ucciderlo con la spada, ma poi capisce che lui e i suoi compagni resterebbero imprigionati all’interno della grotta, e per loro morire sarebbe solo una questione di tempo, in quanto, pur compiendo sforzi sovrumani, non sarebbero in grado di spostare l’enorme macigno che chiude l’accesso alla grotta.
Allora, Ulisse nota un ramo d’ulivo, gigantesco; ordina ai compagni di tagliarne un pezzo, mentre lui lo appuntisce.
La sera successiva. l’eroe offre al ciclope il vino donatogli da Marone. Polifemo è contento del dono e chiede a Ulisse il suo nome; l’eroe gli dice di chiamarsi “Nessuno” (in greco la parola ha assonanza con il nome di Odisseo). Il ciclope si addormenta, ubriaco; Ulisse e i suoi compagni afferrano l’opportunità: prendono il ramo, rendono la sua punta incandescente e poi, accecano Polifemo.
Il gigante urla di dolore; in suo aiuto accorrono i suoi due fratelli, ma ritornano indietro quando il ciclope dice: “Nessuno, amici, mi uccide con l’inganno e non con la forza“.
Il giorno successivo, Polifemo fa uscire a pascolare le pecore. Per far sì che Ulisse e i suoi uomini non scappino, il gigante stende le mani e tocca il vello delle pecore, ma il nostro eroe e i suoi compagni si legano sotto dei montoni e riescono a uscire dalla grotta illesi.

(prosegue)

In copertina: Giovanni Domenico Tiepolo “Processione del cavallo di Troia” (1760 ca.) dimensioni 67×39 cm (National Gallery)

Ulisse, eroe moderno dalle radici mitologiche #1

Ulisse eroe moderno dalle radici mitologiche 1

Le gesta di Ulisse che tenta disperatamente e attraverso mille peripezie di tornare alla sua amata Itaca fanno ormai parte del nostro immaginario e tuttora, restiamo affascinanti dalla sua astuzia e commossi dalla sua perseveranza.

Ulisse oppure Odisseo, figlio di Anticlea e Laerte, e Re di Itaca, è un personaggio della mitologia greca, un eroe acheo, sposo di Penelope e padre di Telemaco, descritto da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, in quest’ultimo poema compare come protagonista.

Del nome Odisseo sono state ipotizzate varie etimologie. La più comune è “iroso”, che però, non rispecchia in alcun modo il carattere del personaggio, almeno per quello che ne sappiamo leggendo il poema di Omero.
In ogni caso, il nome gli fu imposto dal nonno materno, Autolico, che secondo la sua personale interpretazione significava: “odiato dai nemici“, nemici che si sarebbe fatto per le capacità della sua mente.
Un’altra interpretazione del nome di Odisseo è “il piccolo”, quest’ultima definizione aderisce con l’affermazione fatta dall’autore riguardo alla statura di Odisseo: non altissima.

Il nome Ulisse, invece, gli fu dato dai Romani. Il nostro eroe mitologico è la “personificazione” dell’ingegno, del coraggio, della curiosità e dell’abilità manuale.
Passando in rassegna le sue origini, scopriamo che era pronipote di Ermes, mentre già sappiamo che era il marito di Penelope e il padre di Telemaco.
Se prestiamo orecchio a un’altra tradizione, dovremmo valutare l’ipotesi che il vero padre di Ulisse fosse Sisifo, che lo ebbe da Anticlea, prima che lei diventasse la moglie di Laerte.
Dal canto suo, Ulisse sosteneva di discendere per via paterna addirittura dal re degli dèi olimpi, Giove, in quanto il padre di Laerte, Arcesio, sarebbe stato figlio di Giove.

Nell’Iliade, il personaggio di Ulisse era, a detta di Omero, già piuttosto noto ai lettori e il poeta sembra avere contezza di altre favole sull’eroe dell’Odissea, oltre a quelle da lui narrate, al punto che non può togliere il personaggio dal racconto, nonostante Ulisse non abbia nell’Iliade quella parte essenziale che invece hanno personaggi come Agamennone, Menelao e Achille.
Si ipotizza che Ulisse sia una figura mitica anteriore addirittura alla colonizzazione greca oltre l’Egeo, anche se, più verosimile è l’idea che in origine si trattasse di un dio, un dio solare che scende nell’Ade come il sole che va al tramonto, ma che alla fine riesce a liberarsi, grazie all’astuzia, dai mostri del mondo sotterraneo per risorgere al mattino.

Ulisse è ritratto con grande coerenza nei due poemi di Omero. È un guerriero sagace e robusto, ardito in battaglia, oltre che scaltro e abile d’ingegno.
È un uomo che affronta con grande temerarietà e costanza pericoli e vicissitudini, ed è dotato di una notevole presenza di spirito, che lo spinge a cercare per sé e per gli altri possibili vie di salvezza.
Omero lo rappresenta come un uomo che ama profondamente la patria e la famiglia, e di entrambe avverte un’acuta nostalgia, mentre si dibatte tra mille difficoltà.
È chiaramente un uomo giusto: non mostra crudeltà nei confronti dei nemici ed è fedele verso gli amici. Inoltre, è paterno verso i suoi sudditi di Itaca e mostra amorevolezza nei confronti dei servi fedeli, mentre è inflessibile verso chi tradisce la sua fiducia.

Non tutti forse sanno che Ulisse usò la sua arguzia anche prima di allestire la trappola del cavallo di Troia, e lo fece per evitare di tenere fede al giuramento di andare a Troia.
Il nostro eroe aveva i suoi buoni motivi per essere recalcitrante alle richieste di Agamennone, accompagnato da Menelao e Palamede, che si erano recati da lui per convocarlo.
Il motivo della sua ritrosia era semplice: un oracolo gli aveva preannunciato che se fosse andato a Troia, avrebbe fatto ritorno in patria solo dopo vent’anni e in condizioni di miseria.
Ulisse allora pensò bene di mostrarsi pazzo per evitare l’infausta partenza.
Si fece trovare dai tre venuti a convocarlo con un cappello da contadino in testa, mentre arava un campo con un asino e un bue aggiogati insieme, e lanciando sale alle sue spalle.
Purtroppo per lui, Palamede lo superò in astuzia. Per accertarsi del suo vero stato mentale, tolse Telemaco dalle braccia della madre e lo mise a terra, davanti alle zampe delle bestie aggiogate all’aratro. Ulisse arretrò all’istante, tirando le redini e così, la sua follia pretestuosa fu subito smascherata e l’eroe fu costretto ad arruolarsi nella spedizione.

In copertina: Giuseppe Bottani, particolare del dipinto “Atena rivela Itaca a Ulisse” (1775) Pavia (Pinacoteca Malaspina)

(prosegue)

Arsenio Lupin: il popolare ladro trasformista dalle buone maniere

Arsenio Lupin il popolare ladro trasformista dalle buone maniere

Arsenio Lupin è un altro singolare eroe uscito dalle pagine della letteratura. Tra giallo e avventura, Leblanc, il suo autore, ci racconta le gesta di un ladro gentiluomo che commette furti con raffinatezza ed eleganza.

Arsenio Lupin (Arsène Lupin), personaggio immaginario, scaturito dalla fantasia di Maurice Marie Émile Leblanc (Rouen, 11 dicembre 1864 – Perpignano, 6 novembre 1941; scrittore francese), fa parte della schiera dei criminali che godono del favore del pubblico.
Vero artista del furto e ladro gentiluomo possiede uno straordinario talento per i travestimenti che gli consentono di camuffarsi e assumere molteplici identità, per commettere i suoi crimini, ma anche per venire a capo di enigmi criminali.

Lupin è uno sportivo, nonché un combattente esperto. Abile e astuto è anche dotato di una natura infantile, affascinante e a volte beffarda. È avvolto da un alone di mistero e possiede un carattere tormentato, tutte caratteristiche che hanno contribuito a renderlo molto popolare.

Nelle pagine di Leblanc emergono con chiarezza anche altre caratteristiche del personaggio, come le sue idee politiche che coincidono con quelle del suo autore e mutano con il passare degli anni: simpatie anarchiche nei primi romanzi e deciso patriottismo durante la Grande Guerra.

Arsenio Lupin appare per la prima volta nel racconto “L’Arrestation d’Arsène Lupin”, pubblicato nel luglio 1905 nella rivista “Je sais tout”. Maurice Leblanc incluse questo racconto nella raccolta “Arsène Lupin, ladro gentiluomo”, che fu pubblicata lo stesso anno.

Il notevole successo riscosso dal personaggio presso i lettori garantì un lavoro continuativo al suo autore dalla prima uscita nel 1905 sino al 1941, anno in cui Leblanc morì.
Le avventure dell’affascinante ladro sono racchiuse in ben diciotto romanzi, trentanove racconti e cinque opere teatrali.
La crescente notorietà di Lupin anche all’estero vide le sue avventure finire, in America, sul grande schermo; in Giappone, sulle strisce di famosi manga.

La popolarità raggiunta dal raffinato ladro francese ha visto persino nascere un neologismo a lui dedicato: “lupinologia”, termine che designa lo studio delle avventure di Lupin da parte degli ammiratori dei romanzi di Maurice Leblanc, sull’esempio della “holmesologia”, termine che in questo caso fa riferimento all’altrettanto famoso personaggio uscito dalla penna dello scrittore e drammaturgo scozzese Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 – Crowborough, 7 luglio 1930).

Gran parte delle storie che compongono il ciclo di “Lupin” costituiscono un insieme coerente, dove emergono date ed eventi relativi alla vita del protagonista, che consentono di tracciare dei riferimenti con altre storie, ma nelle opere di Leblanc esistono contraddizioni che portano a concludere che anche le cronologie più complete si discostano su vari punti, perciò non è possibile fissare una cronologia rigorosa e definitiva.

Se la cronologia è incerta, abbiamo almeno delle indicazioni sulla genealogia di Arsenio Lupin. Il suo primo antenato noto è il suo bisnonno: un generale dell’Impero, che prese parte alla battaglia di Montmirail (11 febbraio 1814), dove le armate di Napoleone I vinsero contro le truppe russe del generale Osten-Sacken e i prussiani del generale Johann Yorck.

Arsenio Lupin nacque nel 1874, probabilmente nel Pays de Caux (regione naturale della Normandia appartenente al bacino parigino; è un altopiano delimitato a sud dalla Senna, a ovest e a nord dalle falesie della Côte d’Albâtre e a est dalle alture che dominano le valli dei fiumi Varenne e Austreberthe. Il suo territorio occupa l’intera parte occidentale del dipartimento Seine-Maritime), da Henriette d’Andrésy e Théophraste Lupin.
Il matrimonio tra i due non fu ben accolto dalla famiglia aristocratica di lei, perché Théophraste era un uomo comune, privo di un patrimonio, che di professione faceva l’insegnante di ginnastica, scherma e pugilato.

A causa delle sue particolari origini, Arsenio Lupin visse sempre in una sorta di curiosa ambivalenza: uomo del popolo, per parte di padre; aristocratico per lato materno. Tale ambivalenza è un leitmotiv di tutte le sue avventure.

L’idillio fra Henriette e Théophraste comunque non durò a lungo: la donna ripudiò il marito, appena scoprì che era un truffatore. L’uomo sarà poi imprigionato negli Stati Uniti, dove sembra sia anche deceduto.

Nel 1880, Arsenio vive con sua madre a Parigi. La donna, rifiutata dai genitori, indignati per il suo matrimonio, fu accolta in casa di un lontano cugino, il duca di Dreux-Soubise, come serva di sua moglie.
All’età di soli sei anni, Lupin commette proprio in questa casa il suo primo furto: sottrae la preziosa collana della regina di Dreux-Soubise. A essere sospettata del furto è però sua madre, per questo entrambi saranno cacciati di casa e costretti a rifugiarsi in Normandia; sei anni dopo, Henriette morirà, lasciando suo figlio orfano a soli 12 anni.

Per André-François Ruaud (1963; scrittore, saggista, antologista ed editore francese), Théophraste, il padre di Arsenio non è morto, vive ancora in Francia e controlla suo figlio. Sarebbe lui la mente del furto della collana della regina, e successivamente, sarà lui a consentire al figlio di studiare.

In effetti, Arsenio studierà parecchio. La sua preparazione copre vari rami dello scibile: studi classici, poi medicina e legge, e infine, una formazione alle Beaux-Arts. Fu anche attore e insegnante di lotta giapponese; si interessò alla prestidigitazione e per sei mesi lavorò anche con un illusionista.

Attività furfantesca e relazioni amorose si intrecciano nel suo percorso esistenziale, mentre, con il passare degli anni, la sua fama di abile scassinatore lo farà conoscere al grande pubblico che segue le sue imprese sui giornali.
Nel corso delle sue avventure, assistiamo anche a una graduale trasformazione: Lupin lascia la professione di ladro e scassinatore per dedicarsi a quella di investigatore, pur commettendo qualche furto di passaggio.

Smesso del tutto di pensare ai furti, Lupin finirà per imborghesirsi: si ritirerà in campagna con sua moglie, a coltivare tranquillamente i suoi fiori e a godersi la sua ricchezza.
Tornerà sul campo solo per fermare le azioni di un usurpatore che firma i suoi crimini con il suo nome e poi, per aiutare giovani in difficoltà.

Lupin vive le sue mirabolanti avventure in generale in Francia, durante la Belle Époque e i ruggenti anni Venti. Il mondo in cui si muove è quello della borghesia dell’inizio del Novecento, in una fase in cui è di norma, per chi può permetterselo, la seconda casa, i viaggi in automobile e la società è sempre più orientata a ciò che pubblicizzano i media e avviata al consumismo.

Lupin ha una doppia vita: mondana e rispettabile di giorno, fatta di attività illecite di notte.
Tendenzialmente, lo si può descrivere come un ladro dalle buone maniere, galante e rispettoso delle donne; un non violento che ripudia l’omicidio. Si può dire che i suoi crimini rispecchiano la sua posizione sociale, sono cioè attuati con eleganza e raffinatezza.

Il personaggio di Leblanc si contraddistingue per una profonda moralità. Infatti, i suoi furti spesso colpiscono individui che si sono arricchiti in modo illegale o immorale. Ama compiere furti dalla spiccata teatralità, con il desiderio narcisista di “impressionare la galleria” e sfida apertamente polizia e investigatori. Gli unici avversari che riescono a tenergli testa sono curiosamente sempre donne.

La fama di Lupin è concentrata in particolare sulla sua abilità nel travestirsi e sulla sua capacità di rubare le identità. È presentato come “l’uomo dai mille travestimenti” e per una buona ragione: è in grado di usare tutti i criteri fisici e sociali per trasformarsi, come età, classe sociale, professione, nazionalità.
Prestidigitazione e illusionismo sono arti che conosce bene, cui ha associato lo studio della dermatologia all’ospedale Saint-Louis, che gli è risultato utile per modificare l’aspetto del suo viso, anche se, essendo stato anche uomo di teatro, preferisce di gran lunga impiegare accurati make-up.

In ogni caso, lo scopo di Lupin è essere irriconoscibile in ogni circostanza.
Lo stesso Leblanc ammette la sua difficoltà ad attribuirgli un volto preciso: “Venti volte ho visto Arsène Lupin, e venti volte mi è apparso un essere diverso… o meglio, lo stesso essere di cui venti specchi mi avrebbero restituito altrettante immagini distorte, ognuna con i suoi occhi particolari, la sua forma particolare di figura, il suo gesto, la sua silhouette e il suo carattere“.

Va anche ricordato che, il nome di Lupin è legato in particolare alla cittadina francese di Étretat, in Normandia, al centro di diverse sue avventure, tra cui “L’ago cavo” che ha contribuito al mito che circonda il luogo.

I supereroi della letteratura: “La Primula Rossa”

I supereroi della letteratura La Primula Rossa

La figura del supereroe ha calcato nel tempo le scene letterarie prima di passare al fumetto e al cinema. Sono diverse le figure di uomini audaci e coraggiosi, anche se privi di superpoteri, che hanno sfidato le autorità e il male in genere. Andando a ritroso, possiamo individuare queste caratteristiche ne “La Primula Rossa” che combatteva per tutelare i nobili ai tempi di Robespierre.

La letteratura ha sempre avuto i suoi supereroi, ben prima che comparissero le ormai consuete figure in calzamaglia, dotate di superpoteri che popolano da diversi anni le strisce dei moderni fumetti.
E anche questi supereroi ante litteram avevano un’identità segreta, portavano una maschera e combattevano per un bene supremo, per la giustizia, per la verità. Tentavano anche essi di proteggere le persone inermi, di difendere i buoni dai cattivi e di far trionfare il bene sul male.
Uno di questi supereroi dei secoli scorsi, che non si avvale di superpoteri, ma solo del suo coraggio e della sua determinazione, è “The Scarlet Pimpernel” (La Primula Rossa).

Le sue gesta sono raccontate in un ciclo di romanzi, scritti dalla baronessa Emma Orczy (1865 – 1947; scrittrice britannica di origine ungherese) e stampati in fascicoli, agli inizi del Novecento. Il primo romanzo in volume apparve nel 1905, con il titolo “La Primula Rossa”.

La Orczy ha ambientato le vicende del suo eroico personaggio all’epoca della rivoluzione francese, nel periodo in cui Maximilien de Robespierre (1758 – 1794; politico, avvocato e rivoluzionario francese) e i membri del Comitato di salute pubblica (Comité de salut public) seminavano il Terrore.
Mentre la ghigliottina faceva gli straordinari, giungeva in Francia il primo eroe con identità segreta nella storia della narrativa: La Primula Rossa, fantomatica figura a capo di una lega che lottava a favore dei nobili e si opponeva alla tirannia, diretta conseguenza della rivoluzione.

La Primula Rossa è ovviamente acclamata dai nobili decaduti e da quelli che in questo particolare momento storico sono considerati i nemici della repubblica, e il suo nome, così singolare, deriva dal fiore scarlatto (Anagallis arvensis) che lascia quale firma alle sue impavide imprese.

Dietro la maschera si celava il volto di un nobile inglese, sir Percy Blakeney, “damerino incipriato”, fedele amico del Principe di Galles. La Primula rappresenta il classico uomo coraggioso, raro esempio di eroe reazionario che lotta con fierezza contro le barbarie rivoluzionarie.

Le avventure del La Primula Rossa non si sono fermate alle pagine di un libro, ma grazie alla fortuna incontrata dal personaggio e dalle sue vicende, sono approdate anche al cinema, prima quello in bianco e nero e più recentemente, il coraggioso e avventuroso eroe è stato riproposto in un ciclo di film; l’attore che recita la sua parte è Richard E. Grant.

Nel mondo anglosassone, La Primula Rossa è ancora molto popolare, in Italia, invece, non ha avuto la stessa notorietà: l’ultima stampa integrale risale alla fine degli anni Sessanta.

Che cosa succede però se i supereroi abusano dei loro poteri, se sono cattivi, egoisti, ipocriti e bramosi di potere?
A questo interrogativo tenta di rispondere una serie televisiva statunitense del 2019, “The Boys”, ideata da Eric Kripke per conto di Amazon.
La serie si basa sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson.
Alla luce di questa nuova generazione di super, ma al contempo antieroi, possiamo pensare di aver raggiunto una nuova frontiera di questo particolare genere, dove l’aggettivo “super” si addice più alla gente comune che ai classici eroi in calzamaglia.