Giornale de’ Letterati: tra le più antiche riviste della stampa italiana

Il “Giornale de’ Letterati”, una delle prime riviste pubblicate in Italia, fu la capostipite di una serie di periodici che portavano lo stesso nome e che aiutarono a vivacizzare discussioni di argomento culturale e scientifico a cavallo tra il Seicento e il Settecento.

La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca“, questo è ciò che sosteneva Walter Benjamin (1892 – 1940, filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco) nell’annuncio della rivista: “Angelus Novus“. In effetti, le riviste non servivano solo a comunicare notizie ai lettori contemporanei, ma erano anche luogo di discussioni e dibattiti su temi di vario genere: culturali, artistico-letterari, politici, sociali e persino scientifici e religiosi. Le pagine stampate consentivano una partecipazione più concreta, soprattutto perché prendevano in esame i vari fenomeni dall’interno.

Tra le prime riviste italiane che si occupò di diffondere argomenti culturali, ci fu il “Giornale de’ Letterati”, nome che non fu utilizzato da un’unica rivista: in realtà ce ne furono diverse che impiegarono lo stesso titolo e furono fondate in varie città italiane fra il XVII e il XVIII secolo. Comunque, la prima a fregiarsi di questo nome fu stampata a Roma e il suo fondatore fu l’abate Francesco Nazzari (1638 – 1714).

Il primo numero del “Giornale de’ Letterati” vide la luce il 28 gennaio 1668. Questo trimestrale è ritenuto una delle più antiche riviste della stampa italiana. Esso conteneva notizie ed estratti, sull’esempio del “Journal des Savants”, di opere prevalentemente scientifiche che si pubblicavano in Italia e all’estero e divenne un modello per varie e successive riviste letterarie.

Inizialmente, la rivista di Nazzari fu pubblicata con i caratteri tipografici dello stampatore Nicolò Angelo Tinassi. Per procurarsi materiale da stampare, il suo fondatore, incoraggiato dal futuro cardinale Michelangelo Ricci (1619 – 1682), diede vita a una società di letterati e di intellettuali, incaricati di fornire i riassunti delle opere in lingua straniera pubblicate in Europa. Dal canto suo, Nazzari curava le novità che giungevano dalla Francia.

Nel 1675, la rivista cambiò stampatore. I nuovi caratteri impiegati furono quelli di Giacomo Mascardi (1637-1722, nipote omonimo del fondatore della stamperia) e Benedetto Carrara ne divenne il finanziatore.

Tinassi, il precedente stampatore di Nazzari, proseguì con la pubblicazione di una rivista parallela che impiegò lo stesso nome, diretta da Giovanni Giustino Ciampini (1633 – 1698, storico, matematico, giornalista, archeologo e scienziato). Da quel momento, uscirono due periodici differenti, stampati nella stessa città e con lo stesso titolo: il trimestrale di Nazzari, che continuò ad essere stampato fino al 1679 e il mensile omonimo che proseguì la sua attività fino al 1683 (dal 1681, cambiò la direzione che da Giovanni Ciampini passò all’abate Filippo Maria Vettori).

Negli anni successivi, il titolo “Giornale de’ Letterati” fu usato per altre riviste stampate in altre città e in periodi diversi:

  • a Parma, dal 1686 al 1690;
  • a Ferrara, nel 1688;
  • a Modena, dal 1692 al 1698 (direttore, come quello di Parma, fu Benedetto Bacchini e finanziata anch’essa da Gaudenzio Roberti);
  • a Roma, stampata dai fratelli Pagliarini dal 1742 al 1759. Ebbe fra i principali ispiratori Giovanni Gaetano Bottari;
  • a Firenze, fondata da Ottaviano Buonaccorsi, pubblicata dall’aprile 1742 a tutto il 1753;
  • a Pisa, nel 1771, fondata da Angelo Fabroni e chiusa nel 1796 per l’invasione napoleonica. Lo stampatore fu il Pizzorno (l’ultimo volume fu stampato dal Landi).

Grand Tour in Italia: fenomeno di costume per i letterati dell’800

Il Grand Tour in Italia tra bellezze artistiche e meraviglie naturali era un’usanza ottocentesca che ha spinto molti letterati aristocratici a viaggiare per attuare un percorso di formazione.

Da sempre meta di viaggiatori in cerca di storia e di bellezze artistiche, l’Italia ha attirato, in particolare, numerosi letterati stranieri nell’800, quando venire nel nostro Paese significava compiere un viaggio formativo, denominato Grand Tour.

Questo singolare viaggio era appannaggio dei rampolli dell’alta società, di solito inglesi. Gli stranieri consideravano il Grand Tour come parte dell’educazione culturale. E quale migliore formazione si poteva sperare, se non visitando la patria dell’arte.

Durante il viaggio, gli scrittori traducevano nei loro diari o epistolari le impressioni suscitate dal viaggio e successivamente, le trasponevano nei romanzi, dove finivano per costituire un implicito invito ai lettori a recarsi in Italia, il meraviglioso belpaese.

Tra gli scrittori che intrapresero felicemente il Grand Tour possiamo citare: Goethe (1749-1832), Dickens (1812-1870), Forster (1879-1970), George Eliot (1819-1880), Louisa May Alcott (1832-1888) e molti altri che come loro hanno riportato nei loro scritti momenti particolari di vita e impressioni varie, muovendosi dal nord al sud del Paese.

Intraprendere un simile viaggio nell’Ottocento non era impresa facile.
Ci si spostava su scomode carrozze che si destreggiavano su strade sconnesse e persino rischiose. Si affrontavano arrampicate su valli alpine “perduti in contemplazione delle nere rocce, delle cime e dei burroni paurosi, degli spazi di neve fresca, formatisi nei crepacci e nelle vallette, e dei torrenti tumultuosi che rombavano giù, a precipizio, nell’abisso profondo“, ci informa Dickens con dovizia di particolari.

Non ci si deve dunque meravigliare se per portare a buon fine questi Grand Tour a volte ci si impiegava degli anni. Per fortuna, rispetto agli odierni viaggi, c’era il vantaggio, per gli avventurosi turisti della cultura, che il costo della vita in Italia era sicuramente meno dispendioso di quello di altri Paesi.

I visitatori, oltre a prendersi tutto il tempo necessario, sceglievano le mete più ambite: Firenze, Venezia, Roma e Napoli, ma non erano disdegnati neppure i laghi e altre città minori.

Certe città lasciavano il segno su alcuni, mentre non avevano alcun effetto su altri.
Ad esempio, Dickens affermò che Milano, completamente occultata dalla nebbia – tanto da far sparire persino il Duomo – poteva essere tranquillamente scambiata per Bombay, mentre George Eliot rimane colpita dalla Galleria di Brera e dalla Biblioteca Ambrosiana.

A impressionare Oscar Wilde (1854-1900) è invece Firenze, con le sue bellezze artistiche e si rammaricherà molto di doversene andare. Però, a lasciarlo letteralmente di stucco fu Venezia, anche se le gondole nere che solcavano le acque della laguna gli richiamavano dei funesti carri funebri.

Non possiamo ovviamente tralasciare, Goethe, turista d’eccezione, che affrontò il suo Grand Tour in Italia tra il 1786 e il 1788.
Il poeta e scrittore attraversò tutto il Paese, da nord a sud, soppesando a ogni sosta monumenti, chiese e ville, e ammirando al contempo i paesaggi e le bellezze naturali delle piccole città. Inoltre resterà affascinato anche dagli abitanti e dalle particolari usanze, come la raccolta delle olive.
Attratto da Roma, resterà però particolarmente colpito dalla Sicilia, pur criticando la sporcizia e la polvere sulle strade.

I Grand Tour e i successivi resoconti dei viaggiatori fecero da cassa di risonanza e spinsero altri viaggiatori a coprire distanze anche considerevoli, per ammirare il Bel Paese, dando vita a quello che in epoche successive fu definito come turismo.

A intraprendere arditamente il Grand Tour non furono però solo gli uomini. Ci sono state diverse viaggiatrici che, sfidando le convezioni sociali, hanno affrontato gli incomodi del viaggio di formazione.
Una donna che viaggiava, soprattutto da sola e in un paese sconosciuto, non era ben vista, quanto meno non doveva essere una donna troppo rispettabile. Nonostante ciò, una schiera di donne coraggiose ha comunque raggiunto l’Italia e goduto delle bellezze artistiche del nostro Paese. Hanno anche annotato, come i loro colleghi uomini, impressioni, valutazioni e critiche e soprattutto, hanno dimostrato un maggior senso pratico e spirito di adattamento.

Tra le avventurose viaggiatrici citiamo: Madame de Staël (1766-1817), George Eliot che si dimostrerà molto critica e che resterà colpita più dalle bellezze naturali che da quelle artistiche.
Louisa May Alcott invece fece un secondo viaggio in Europa nel 1870, dopo il successo del suo libro “Piccole donne”. Insieme alla sorella e a un’amica giunse in Italia, passando per Milano. Nei suoi appunti di viaggio dirà che il Duomo era simile a un grande dolce di nozze, mentre a Roma, più che dalla città fu affascinata dalla campagna romana.

Il Grand Tour in Italia ha lasciato diversi segni.
Nelle città, visitate da questi turisti speciali, sono presenti varie targhe marmoree che testimoniano questa sorta di pellegrinaggio culturale. Ma soprattutto, la memoria di questi viaggi è viva nelle pagine dei libri, dove, in vario modo, ogni scrittore o scrittrice che ha attraversato l’Italia, ha tradotto la propria esperienza di viaggio, descrivendo luoghi e usanze, e più di un personaggio ha visto la sua prima scintilla di vita in un piccolo villaggio o in una grande città del nostro meraviglioso Paese.

In copertina: James Tissot, “London Visitors” (1874 ca.), olio su tela (dimensioni: 160 x 114 cm), conservato presso il Museo d’arte di Toledo