Self-publishing la nuova frontiera per gli scrittori: Elisabetta Rossi

Narcissus Stories: Elisabetta Rossi e l’autopubblicazione con Narcissus

Pubblicato da Giacomo D’Angelo il 26 settembre, 2012

Elisabetta aveva già scritto per noi. Ora con questo nuovo post vuole condividere nuovamente la sua esperienza dopo 4 mesi di collaborazione con Narcissus.

In questi quattro mesi ho vissuto un’esperienza che mi ha catapultata in una realtà che non conoscevo e che mi ha sorpreso, piacevolmente devo dire, e non solo per la disponibilità che ho trovato nei collaboratori della Simplicissimus Book Farm, che, ovviamente, come in tutte le realtà lavorative hanno dovuto affrontare degli inconvenienti per riuscire a dare spazio a tutti noi autori, che comunque sono riusciti a risolvere.

Questioni tecniche che esulano dalle competenze di chi scrive e crea problemi a cui un autore non pensa. Posso dire, per quanto mi riguarda, che la loro disponibilità ha superato ogni disservizio degli store ai quali sono collegati e sono rimasta stupita dal numero di librerie online dove sono in vendita i miei ebook.

Oltre alla disponibilità del team di SBF, bisogna anche considerare che, grazie a loro, gli autori che decidono di auto pubblicarsi possono usufruire di una vetrina che nessun editore italiano per il momento può mettere a disposizione di un autore che non sia più che blasonato.

Ho venduto e anche molto e, fino a che non ho visto i risultati, non pensavo fosse possibile, in pochi mesi e senza lanci pubblicitari, tranne dei semplici annunci su Facebook e mediante il sito librarsi.net, mio e di mia sorella, di ottenere tali riscontri positivi alle mie pubblicazioni.

So perfettamente che gli scrittori che pubblicano con grandi case editrici ci classificano come scrittori di serie B. Io vengo dal cartaceo e da un’esperienza con una nota casa editrice, quindi, conosco le regole del mercato editoriale.

Gli esordienti o comunque tutti quelli che cercano di farcela con le loro sole forze vengono sottopagati, sfruttati fino all’osso con dei contratti capestro, con il miraggio di vedere la propria “creatura” in libreria o in edicola, miraggio perché questi autori, proprio come è accaduto a me, sono costretti ad accettare condizioni molto sfavorevoli, pagando un prezzo molto alto in cambio di una finta notorietà.

Io, quindi credo nell’autopubblicazione che se non altro evita l’umiliazione che si deve subire cercando di entrare nell’élite blindata dell’editoria cartacea.

Certo il gioco ha le sue regole, alla fine sei solo, devi essere manager di te stesso, devi “venderti” e affrontare la diffidenza di quelli che credono che hai scelto questa strada solo perché gli editori non ti ritengono abbastanza bravo per entrare nelle loro cerchie.

Io posso dire a testa alta di avere scelto: ho deciso di interrompere il mio contratto con la nota casa editrice perché non c’era più un rapporto di fiducia e perché non c’è mai stata una relazione alla pari, così ho deciso di autopubblicarmiper intraprendere una strada nuova che ritengo più proficua e soddisfacente, e le vendite per ora mi danno ragione.

La mia scrittura non ne ha sofferto, anzi, le ricerche per ogni libro o racconto che esce dalla mia “penna” hanno lo stesso rigore e perfezionismo che mi ha contraddistinto finora.

Ribadisco che non è una scelta facile, la strada è comunque in salita, ma posso dire che la responsabilità di cui vi sentirete investiti è pari alla libertà che avrete di esprimervi, un ulteriore guadagno per i vostri lettori che vi assegneranno altrettanto liberamente lodi e a volte anche aspre critiche.

L’unica cosa che non è cambiata per me è l’impegno che profondo nel mio lavoro e il desiderio di riuscire a trattenere il lettore sulle pagine che scrivo e sono sempre qui ad aspettare ogni suggerimento valido per migliorare le mie capacità di scrittrice.

Questo articolo è stato scritto liberamente da Elisabetta Rossi per testimoniare la sua esperienza d’uso di Narcissus. Grazie Elisabetta!

Cronaca di un omicidio e la fascino della vita degli altri

ovvero la vita degli altri

In tempi di reality e con i gossip sempre sulla cresta dell’onda mi sono soffermata a pensare alla morbosa attenzione che esercita per alcuni di noi la vita degli altri.

Cornell Woolrich, nome completo Cornell George Hopley-Woolrich, noto anche con gli pseudonimi William Irish e George Hopley, era uno scrittore statunitense.
Nel 1942 scrisse il racconto It Had to be Murder, che nel 1954 fu rinominato Rear Window (La finestra sul cortile) e divenne un film di Alfred Hitchcock.

Il racconto, come il film, sono incentrati sulla tematica della vita degli altri osservata da qualcuno a distanza.

Quale sarà la motivazione profonda di questo fascino?

Riuscire a scoprire particolari piccanti o insoliti della vita di chi ci circonda?
Cogliere atteggiamenti più veri perché chi è osservato non sa di esserlo?

L’altra alternativa è che si tratti di una via di fuga dalla propria scomoda vita, un modo per immergersi in un altro mondo e dimenticare i guai personali, i pensieri che affliggono quotidianamente le esistenze di tutti oppure è il sintomo di una solitudine cronica che avvolge il mondo e ne guida inesorabilmente i passi.

Il book trailer che segue fa riferimento ad un racconto dove il protagonista è anche lui un osservatore silenzioso della vita degli altri.

La sua è una scelta non tanto psicologica, quanto fisica, visto che è costretto su una sedia a rotelle, ma non per un breve periodo come il protagonista di Hitchcock, così il suo mondo diventa la finestra del suo appartamento, dalla quale osserva la vita degli altri.

Scrutando a lungo può accadere di assistere ad eventi interessanti e se poi chi guarda è anche uno scrittore… il passo è breve a tradurre l’accaduto in una storia da non perdere.

I Buddenbrook: musica e letteratura, due muse allo specchio

I Buddenbrook: la saga di una famiglia e non solo

Ho letto I Buddenbrook di Thomas Mann diversi anni fa e già allora i passi dedicati alla musica mi avevano colpito, uno in particolare: quello in cui Hanno Buddenbrook improvvisa al pianoforte.

Non è la prima volta che Mann si lascia sedurre dalla musica e la rende un elemento essenziale delle sue narrazioni: anche nel Doctor Faustus il protagonista, Adrian Leverkùn, è un compositore ed è chiaramente ispirato alla figura di Arnold Schoenberg (1874-1951), il famoso musicista padre della dodecafonia.

Non stupisce, quindi, trovare nei Buddenbrook una coinvolgente descrizione musicale, dove è immediatamente rilevabile che chi scrive è un fine intenditore di musica, visto l’utilizzo di un lessico esperto per descrivere l’improvvisazione del ragazzo al pianoforte. Inoltre, lo scrittore attraverso la sua narrazione ci fornisce la precisa sensazione di assistere a questa singolare esibizione.

Il motivo era semplicissimo, un nulla, il frammento di una melodia inesistente, un tema di una battuta e mezzo; e quando, con una forza di cui non lo si sarebbe ritenuto capace, lo fece risuonare per la prima volta nel basso, come voce singola, quasi dovesse essere annunciato da trombe unanimi e imperiose come primo elemento e origine di tutto ciò che verrà, non si poteva ancora capirne il senso profondo. Ma quando lo ripeté armonizzato in chiave di violino, con un timbro di pallido argento, fu palese che consisteva essenzialmente in un’unica risoluzione, un appassionato doloroso trapasso da una tonalità all’altra… era un’invenzione modesta, di poco respiro, ma la risolutezza preziosa e solenne con cui era formulata e presentata le conferiva un raro valore, denso di mistero e di significato. Seguirono poi passaggi agitati, un affannoso andare e venire di sincopi, erranti, cercanti, lacerata da gridi, come se un’anima fosse angosciata da ciò che aveva udito, e che non voleva tacere, ma si ripeteva in armonie sempre diverse, interrogando, gemendo, smorendo, voglioso e promettente. E le sincopi diventeranno sempre più forti, sospinte e incalzate da terzine impetuose; ma le grida di terrore che vi eran frammiste presero forma, si fusero, divennero melodia, finché, come un canto implorante e fervido di strumenti a fiato, prevalsero umili e forti insieme ed ebbero il dominio. Vinto, ammutolito era l’incalzare instabile, l’ondeggiare vagabondo e sfuggente; e il ritmo semplice e risoluto del corale s’alzò in una preghiera contrita e infantile… E terminò come un canto liturgico” (Thomas Mann, I Buddenbrook, parte XI, capitolo II).

Thomas Mann in questo brano mette a confronto due arti: quella letteraria e quella musicale che si fronteggiano, in un incessante gioco di rimandi il cui unico limite è il potere definitorio della parola e l’ineffabilità della musica.

Classici che passione: “un incontro letterario” da cui nasce una storia

pila di libri con occhiali
Umiliati e offesi di Fedor Dostoevskij

In un mondo in cui l’attenzione alle persone, quelle vere, non quelle di celluloide o dietro ad un schermo lontano, diventa sempre più labile e addirittura inconsueta, ho intenzione di soffermarmi su un “incontro letterario” fra due soggetti, fondamentale per la nascita e lo sviluppo di una storia.

L’inizio del libro di Dostoevskij è davvero singolare.
Il narratore, Vania che è anche uno scrittore, dopo aver vagato per una giornata intera, semifebbricitante e stanco, nota dalla parte opposta della strada un uomo anziano con un cane e subito prova una sensazione penosa che gli fa stringere il cuore.
I due soggetti sono talmente bizzarri che Vania non può fare a meno di seguirli, attratto morbosamente da loro.

Mentre segue i due viandanti li descrive minuziosamente chiedendosi al contempo quali siano i pensieri di quell’uomo così strano.
Attraverso le accurate descrizioni del narratore e seguendolo mentre percorre le strade, alle calcagna del vecchio e del suo cane, entriamo nella storia e piano piano scopriamo come la vita dei diversi personaggi del romanzo, che conosceremo a breve, siano collegate a queste due curiose figure.

L’inizio e la fine del romanzo sono quasi speculari: nell’epilogo si tornerà a parlare del vecchio e del suo cane, creando quasi un effetto circolare e spiegando alla fine perché quell’incontro iniziale fosse stato così importante per l’economia della storia.

L’attenzione morbosa del narratore dostoevskiano ha richiamato alla mia memoria un altro “narratore-investigatore”, convalescente, quindi, anche lui come Vania in uno stato particolare della coscienza, che insegue per tutta Londra un misterioso individuo, anch’esso anziano e indubbiamente bizzarro.
Il racconto è “The man of the crowd” (L’uomo della folla) di Edgar Allan Poe e la somiglianza fra le due situazioni è davvero impressionante anche se gli esiti delle due storie sono molto diversi.

Lascio alla vostra curiosità ed intraprendenza il compito di approfondire le similitudini e le differenze di queste due avvincenti storie che meritano sicuramente di essere lette.

Perché abbiamo scelto per il nostro sito il nome librarsi

Il nome librarsi

Librarsi ci è sembrato il nome più giusto. Lo abbiamo scelto perché, prima di tutto, nella sua radice contiene la parola libro, ma anche perché evoca la leggerezza con la conseguente capacità di sollevarsi da terra.

Questo sito vuole occuparsi principalmente di scrittura e lettura, quindi pensiamo di “librarci” tra un’infinità di cose considerato che attraverso questi due argomenti si può prendere in esame tutto quello che ci circonda e i nostri stessi pensieri.

Nominare una cosa è come darle vita, quindi, scegliere il nome per un dominio è come dare il nome a un figlio.

Il nome contiene in sé molte responsabilità, deve: rispondere con puntualità e pertinenza alle caratteristiche di ciò che definisce; sapersi adattare ai cambiamenti di stagione e al passare delle mode; lasciare spazio al sogno…