La Discrezione della Servitù: 1° caso per Fulgenzio Marcel dall’Orto

La Discrezione della Servitù 1° caso per Fulgenzio Marcel dall'Orto

Che cosa succede se un parrucchiere abbandona forbici e pettine per risolvere un omicidio?

Lo scoprirete se avrete voglia di avventurarvi tra le pagine dell’ultimo giallo firmato A.J. Evans.
Il protagonista, Fulgenzio Marcel dall’Orto, oltre al nome alquanto singolare, possiede un intuito sopraffino, utile non solo a individuare il miglior taglio o la perfetta acconciatura per ogni vip milanese che frequenta il suo salone, ma anche per condurre un’indagine che lo coinvolge da vicino…

Per altre informazioni, potete leggere l’intervista su questo racconto.

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Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #3

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 3

Il giallo è un genere in continua evoluzione, nella sua lunga e fortunata storia è stato oggetto di numerose trasformazioni, seguendo mode, cambiamenti sociali e subendo sempre nuove contaminazioni.

Nel periodo che va dagli anni cinquanta agli anni settanta, il giallo fu sempre meno caratterizzato dalla sua originale funzione catartica e consolatoria, acquisita negli anni dominati dal modello inglese.
I nuovi intrecci hanno un impianto meno ottimistico, sia se si guarda al genere hard boiled americano sia alle esperienze europee, con Simenon, ad esempio, e il suo Maigret.
Inizia in questi anni a profilarsi lo “spettro” della fallibilità della giustizia umana che con Friedrich Dürrenmatt (Stalden im Emmental, 5 gennaio 1921 – Neuchâtel, 14 dicembre 1990; scrittore, drammaturgo e pittore svizzero), poco tempo dopo, sarà condotta alle estreme conseguenze.

Per Dürrenmatt il romanzo giallo è soltanto una costruzione artificiosa studiata dagli autori, perché il più delle volte è la casualità a decretare il successo o il fallimento di una trama investigativa.
Per lo scrittore svizzero, la macchina della giustizia, che racchiude le indagini svolte dalla polizia sino agli aspetti giudiziari-processuali, non è in grado di comprendere appieno la verità umana che si cela dietro a un delitto.

Su questa linea procedono anche diversi altri autori europei. In Italia, citiamo Giorgio Scerbanenco (Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969; scrittore, giornalista e saggista) i cui romanzi, dei capolavori del noir, mostrano l’amara realtà degli anni sessanta in Italia. L’Italia di quella fase storica era un paese difficile, cattivo, che aveva la smania di emergere ed era al contempo disincantato.

Negli anni settanta, il genere giallo affronta sempre di più il tema dell’sopraffazione da parte del potere di cui svela intrighi e nefandezze, ed è sempre più evidente l’impotenza di coloro che indagano.
Molti gialli italiani, stampati dagli anni quaranta in poi dichiarano le responsabilità criminali delle istituzioni. Da Scerbanenco a Fruttero & Lucentini, numerosi commissari sono raffigurati come dei perdenti e le trame dei gialli si tingono sempre più di noir. I lettori non si trovano più di fronte al finale classico, quando le istituzioni intervenivano e l’ordine precostituito era ristabilito, ora c’è solo disordine e caos.

A partire dagli anni ottanta fino a oggi, il giallo ha iniziato a proporre tematiche esistenziali, ma soprattutto sociali, come pure politiche e storiche. Pensiamo in questo caso, alle pagine di scrittori come: Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Manuel Vázquez Montalbán, Andrea Camilleri, Daniel Pennac, Stieg Larsson.
Queste nuove tendenze sono volte a sensibilizzare e a destare le coscienze, piuttosto che a divertire, come avveniva con le storie classiche, secondo il modello inglese.

In Italia, hanno avuto particolare fortuna i gialli di Camilleri, che si caratterizzano per: ambientazione; ironia; umanità dei personaggi; finezza degli intrecci polizieschi calati in uno sfondo sociale ben definito.

Alla fine del Novecento, inizia a profilarsi una schiera di giallisti scandinavi, quali Stieg Larsson, Jo Nesbø, Henning Mankell, Per Wahlöö, Camilla Läckberg, Liza Marklund, uniti da vari fattori: la scelta di ambientazioni similari, ovviamente, nordiche; dal fatto che le indagini sono condotte da detective “anomali” sia a livello umano sia investigativo; dalla presenza di forti legami tra fatti criminosi, indagini e tematiche con un considerevole impatto sociale.

Valutando l’evoluzione del genere giallo, possiamo rilevare che il divario tra il modello anglosassone e quello europeo si consoliderà fino ai nostri giorni. Questo è dovuto a motivi sia culturali sia commerciali, che hanno fatto sì che il giallo anglosassone restasse più o meno nei suoi binari, mentre in Europa, la tendenza di questo modello classico di giallo è andata affievolendosi negli anni, fin quasi a sparire.
Restano comunque ancora degli scrittori estimatori della tipologia classica, ad esempio, Gōshō Aoyama (pseudonimo di Yoshimasa Aoyama; Daiei, 21 giugno 1963; fumettista giapponese) che con il suo famoso Detective Conan riprende lo stereotipo dell’investigatore infallibile; la deduzione è ancora il suo strumento di indagine fondamentale; la struttura di alcuni suoi gialli ricalca quella degli emblematici delitti impossibili (enigma della camera chiusa).

Il genere giallo, così come altri generi altrettanto fortunati, con una lunga vita e un nutrito pubblico, hanno subito varie contaminazioni e dato vita a singolari ibridismi.
Un’interessante sfumatura assunta dal genere è rappresentata dal romanzo mistery, dove l’aspetto razionale, tipico del romanzo di indagine, si unisce a un’esplorazione del mondo dell’occulto e del paranormale. Questi nuovi esempi di giallo “contaminato”, oltre a svolgersi in atmosfere gotiche, hanno anche subìto una trasformazione a livello strutturale, spesso non del tutto in sintonia con una narrazione che richiede, proprio per sua natura, razionalità.
Una volta terminata questa fase di passaggio, nonché di riordino, potremo scoprire quale direzione prenderà il nuovo romanzo giallo.

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #2

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 2

A inizio Novecento soffiano venti di cambiamento per il giallo. Tra gli anni venti e trenta, il genere prenderà le distanze dal modello instaurato dai gialli di Conan Doyle e si creeranno correnti diverse in Europa e in America.

Agli inizi del Novecento il genere giallo incontra sempre più consensi, innanzitutto da parte dei lettori, successivamente, anche da parte della critica.

Molti autori si dedicano alla scrittura di gialli e un certo numero di essi ha anche raggiunto una fama mondiale, tra questi: Raymond Chandler (1888-1959), Rex Stout (1886-1975) e Agatha Christie (1890-1976).

Compaiono anche dei tentativi di dare forma a un detective diverso, più umano, meno freddo, altrettanto si cerca di fare con le storie.

Un esempio di tali iniziative si rilevano nei libri di Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936; scrittore e giornalista britannico, molto prolifico e versatile), creatore del prete detective, Padre Brown.

Il vero cambiamento, però si avrà solo verso la metà degli anni trenta, quando gli autori di questo genere inizieranno ad affrancarsi dagli schemi del giallo classico. Ed è proprio in questa fase che iniziano a definirsi due strade che, parallelamente, e in modo molto diverso, in Europa e in America, prenderanno le distanze dal modello creato da Conan Doyle (1859 – 1930) con “Sherlock Holmes”.

Negli anni venti e trenta, negli Stati Uniti si afferma un genere di giallo che sarà poi definito hard boiled. Le storie di questo tipo sono descritte con toni oscuri e negativi; lo stile è tagliente, il linguaggio crudo si spinge ai limiti del volgare.

Il delitto è uno degli elementi della narrazione, mentre le ambientazioni e la descrizione psicologica dei personaggi assurgono a parte di rilievo nella storia.

Gli scenari degradati delle metropoli americane fanno da sfondo a una società in cui contano solo potere e denaro, mentre i buoni e i deboli sono – ahimé – destinati a soccombere.

I detective di queste storie sono figli dell’America spietata e disincantata degli anni successivi alla terribile crisi del 1929. Sono dei solitari, avventurieri, dei duri, traditi dalla vita e per questo, spesso alcolizzati o comunque forti bevitori, che non hanno più nulla in cui credere.

In Europa, invece, dai primi anni trenta i cambiamenti nel genere giallo assumono toni meno duri di quelli usati dagli scrittori che vivono dall’altra parte dell’oceano.

In Italia, Augusto De Angelis (1888 – 1944; scrittore e giornalista, attivo in particolare durante gli anni del fascismo) diede vita al suo commissario De Vincenzi, una sorta di Maigret italiano che, purtroppo, non incontrò grande favore di pubblico. Forse, anche a causa della chiusura culturale dovuta al fascismo e anche per lo scarso apprezzamento del genere poliziesco da parte del regime.

Nel 1943, fu imposto il sequestro in Italia di “tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita“. Fu anche chiusa la famosa collana di gialli di Arnoldo Mondadori Editore.

Il regime fascista, per motivi propagandistici e di ordine pubblico, mirava a nascondere sotto il tappeto qualsiasi cosa potesse incrinare la facciata positiva e integra della società italiana, che era mostrata agli italiani e al mondo. Per questo motivo, il crimine fu fatto scomparire sia dalla cronaca sia dalla letteratura. I gialli, anche se trattavano di atti criminali immaginari, erano comunque visti con sospetto, come un mezzo per istigare e sovvertire l’ordine costituito.

In Europa, invece, il genere continuava la sua inarrestabile evoluzione.
A metà degli anni trenta, George Simenon (1903 – 1989) creò il personaggio di Maigret e sovvertì in maniera definitiva l’idea di indagine e persino il concetto di romanzo poliziesco. Grazie a lui, non mutò solo la figura del detective, ma anche gli ambienti, le situazioni e i personaggi in generale, diversissimi da quelli cui si era abituati a “frequentare” con il giallo classico.

Ora, sotto la lente dell’investigatore non c’è più il mondo aristocratico, ma l’uomo comune, il piccolo borghese, e le trame dei nuovi libri gialli tengono sempre più conto delle tematiche esistenziali, filosofiche e psicologiche.

Lasciando al passato le ambientazioni rarefatte e mondane, si scende nelle strade, ad affrontare le inquietudini della gente comune. Il romanzo poliziesco a questo punto non è più strettamente letteratura di genere, ma accresce il suo spessore sia a livello contenutistico sia stilistico e finisce per mescolarsi con una letteratura dotata di un più ampio respiro.

Simenon, a braccetto con il suo Maigret, ha fatto e tuttora fa “visitare” ai suoi lettori una Parigi fatta di brasserie e quartieri popolari, spingendosi fin nella provincia francese.

Il commissario di Simenon non è un eroe, è un uomo ordinario e vulnerabile, un poliziotto e un borghese, che però è dotato di una profonda umanità.

Le sue indagini, condotte in modo molto diverso da quelle dei suoi predecessori, danno quasi l’idea che non stia per niente indagando, e arrivano a rivelare il più delle volte una verità amara.

Anche gli assassini di Maigret non hanno niente a che vedere con i loro predecessori del genere: sono persone comuni che uccidono, perché un imprevisto ha sconvolto le loro vite e le ha costrette ad agire di conseguenza.

Nelle storie di Simenon, non c’è il gioco della deduzione, al fine di individuare l’assassino. Il colpevole, infatti, è spesso individuato o comunque sospettato abbastanza presto, ma quello che conta in questo percorso non è capire chi, piuttosto perché, cioè ricostruire la verità umana, arrivare al motivo che ha fatto scatenare il dramma e ovviamente, ottenere le prove per inchiodare il colpevole.

Quello che conta, insomma, per Maigret e per Simenon è la vicenda umana dietro al crimine che si è consumato.
(prosegue)

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #1

Il genere letterario che va, almeno in Italia, sotto il nome di “giallo” ha avuto negli anni una grande fortuna. Negli anni ha visto mutare le ambientazioni, le figure degli investigatori, il suo contenuto e persino le sue finalità, ciò che è rimasto intatto è il fascino che ancora esercita sui lettori.

Il termine “giallo”, usato per definire un genere letterario, è valido solo nella lingua italiana e deriva dalla collana “I Libri Gialli”, concepita da Lorenzo Montano (pseudonimo di Danilo Lebrecht, 1893 – 1958; scrittore e poeta italiano) e pubblicata in Italia, dal 1929 in poi da Arnoldo Mondadori (1889 – 1971; editore italiano fondatore della omonima casa editrice).
Questa scelta editoriale ha influenzato il modo di riferirsi al genere poliziesco che, mentre nei paesi francofoni resta invariato (roman policier e polar), in Italia, mutuato dalle copertine gialle di Mondadori, sarà associato d’ora in poi a questo colore.

Parlare di storia del giallo significa fare riferimento alla storia del genere poliziesco, in quanto la nascita e lo sviluppo di nuove ramificazioni del genere si è verificata solo più avanti, con una produzione variegata che comprende: thriller, spy-story e giallo psicologico.

La nascita del genere giallo si fa risalire al mese di aprile del 1841, quando sulla rivista “The Graham’s Magazine di Filadelfia” fu pubblicato “The Murders in the Rue Morgue” (I delitti della Rue Morgue), un racconto di Edgar Allan Poe (1809 – 1849; scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense) in cui compare Auguste Dupin, investigatore che risolve i casi, senza neppure recarsi sulla scena del crimine, ma che trae indizi da resoconti giornalistici e sfruttando le sue incredibili capacità deduttive.

Sulla scia di Dupin, comparirà un altro infallibile detective, Sherlock Holmes dalla penna di Arthur Conan Doyle (1859 – 1930). La sua prima indagine sarà narrata nel romanzo “Uno studio in rosso”, del 1887.

Il panorama giallo italiano si anima dal 1852, con “Il mio cadavere”, di Francesco Mastriani (1819 – 1891; scrittore, drammaturgo, giornalista; autore di romanzi d’appendice di grande successo).
Il romanzo, inizialmente, apparve in appendice sul periodico napoletano di politica e cultura “L’Omnibus”. La prima puntata (‘’La famiglia dello stradiere’’) uscì in stampa il 13 dicembre 1851.
Nel 1888, Emilio De Marchi (1851 – 1901; scrittore, poeta e traduttore italiano; fra i più importanti narratori del secondo Ottocento italiano) pubblica “Il cappello del prete”, romanzo giallo fra i più interessanti dell’epoca.

In Italia, il genere giallo inizia a prendere campo nel dopo guerra e nelle pagine dei nuovi romanzi si inizia a sentire l’influenza dalla scuola americana “Hard boiled” della narrativa poliziesca.

A essere considerati, universalmente, come primi gialli sono comunque le avventure di Sherlock Holmes. Il personaggio creato da Conan Doyle ha proiettato una lunga ombra sul genere, che è giunta fino agli anni trenta del Novecento, e molti personaggi concepiti sotto questo ascendente da autori europei e americani derivano direttamente da Holmes.
Tra questi, appartenenti al periodo classico del giallo, citiamo i più famosi: Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie (1890 – 1976; scrittrice e drammaturga britannica); Philo Vance di S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1887 – 1939; scrittore e critico d’arte statunitense); Lord Peter Wimsey di Dorothy L. Sayers (1893 – 1957; scrittrice, poetessa e drammaturga britannica) ed Ellery Queen, il più famoso degli pseudonimi di Frederick Dannay (1905 – 1982) e Manfred Bennington Lee (1905 – 1971), scrittori di letteratura poliziesca e inventori del detective che ha il nome del loro pseudonimo.

Questa messe di investigatori letterari non è, ovviamente, una pedissequa ripresa del modello, ma ogni detective citato presenta caratteristiche specifiche e ogni autore ha tentato a suo modo di proporre elementi nuovi, ad esempio, nello stile e nel contenuto.
Ma restano molti aspetti in comune con l’originale. Prima di tutto la capacità deduttiva, a seguire l’abilità di riconoscere l’importanza di indizi che agli altri sembrano trascurabili e infine, la dote di mettere insieme i pezzi e trovare la soluzione di casi intricati o quasi impossibili.

L’arma della deduzione che questi abili investigatori possiedono deriva dal positivismo ottocentesco. Questi personaggi hanno una fede incrollabile nei confronti della logica, della scienza e della ragione.
Ogni indagine conduce immancabilmente a una sola e unica soluzione che è possibile affermare grazie all’analisi delle tracce trovate sulla scena del crimine e attraverso tale analisi si può giungere alla verità, senza possibilità di errore.

Questo tipo di detective sono uniti anche perché appartengono a classi sociali assimilabili: spesso benestanti o di nobili origini e svolgono le loro indagini principalmente per vanità intellettuale oppure per curiosità o diletto, per il puro desidero di risolvere un mistero. Non rappresentano la legge e mirano essenzialmente a scoprire la verità.
Inoltre, gli ambienti in cui avvengono i crimini sono spesso altolocati ed eleganti, lontani dai luoghi quotidiani in cui avvengono di norma fatti criminali.

Gli investigatori del giallo classico sono sempre dilettanti. Il motivo è semplice: questi personaggi non sono vincolati da regole e possono indagare in piena libertà, mentre un poliziotto o un funzionario dello Stato devono attenersi ad esempio, alle norme e alle direttive dei superiori.

I gialli di questo periodo hanno una forte componente morale, anche se sono stati ritenuti per molto tempo una “letteratura di evasione”.
In queste storie, il colpevole, dopo essere stato individuato, subisce una punizione, la giustizia trionfa e torna l’ordine precostituito, che era stato sconvolto dalle azioni del criminale. Questo processo di ripristino delle regole rientrava nelle consuetudini sociali dell’epoca, ancora dipendente dalla visione moralistica di stampo vittoriano.
(prosegue)

Hard boiled: il genere letterario e i suoi “eroi”

Hard boiled il genere letterario e i suoi eroi

L’hard boiled è un genere letterario che si sviluppa negli Stati Uniti e darà il via a una vera e propria rivoluzione del genere poliziesco.

Pistola in pugno e bionda al fianco può essere una descrizione spiccia ma adeguata del detective del genere letterario hard boiled.
Il termine deriva da un’espressione colloquiale riferita alle uova. Per un uovo essere “hard boiled” significa “essere sodo”, “duro”.

Questo genere letterario risale agli anni venti, prende forma nei romanzi di Dashiell Hammett ed è messo a punto negli anni trenta da Raymond Chandler.
L’hard boiled fa parte della detective fiction e del genere poliziesco, come la variante francese del noir, ma in questo tipo di romanzi il crimine è rappresentato in modo realistico, così come il sesso e la violenza, lasciando ben poco spazio alla deduzione dei gialli classici.

Sin dai suoi esordi, questo particolare genere era saldamente connesso all’esistenza di certe riviste “pulp”, come “Black Mask”. Il termine “pulp”, cioè polpa, trae origine dalla carta con cui erano stampate questo tipo di riviste. Essa si otteneva dalla polpa dell’albero ed era di una qualità più scadente rispetto a quella proveniente dal resto del tronco. Era più ruvida e spessa e ingialliva in poco tempo.
Queste riviste sono ricordate in particolare per le storie che contenevano: sfacciate, violente e a volte addirittura oscene. A colpire i lettori erano anche le copertine, generalmente sexy o raccapriccianti.

Dopo essere apparsi sulle riviste, i romanzi hard boiled finiscono negli scaffali delle librerie, pubblicati dalle case editrici specializzate. Si tratta di edizioni in brossura, note come “pulps”.

Gli eroi di questo genere letterario sono detective come Sam Spade di Hammett o Philip Marlowe di Chandler. Questo tipo di investigatori, oltre a risolvere i casi, fronteggiano ogni sorta di pericolo e spesso sono coinvolti in scontri violenti.

Il detective hard boiled è un “duro”, un solitario, sfrontato, freddo e irriverente. È un investigatore privato che lavora da solo; la sua età oscilla tra i trentacinque e i quarantacinque anni.
Non è quello che si potrebbe definire un buon padre di famiglia; non ha molti amici e in genere, incontra le sue conoscenze nei luoghi che abitualmente frequenta, in particolare, locali notturni, dove mostra la sua natura di incallito bevitore. Ma si tratta di un vizio che non gli annebbia la mente e neppure i riflessi, sempre pronti, se necessario.

La dieta dell’eroe targato hard boiled è improntata a favorire l’infarto o gravi malattie cardiovascolari, costituita com’è da uova fritte, pancetta e caffè nero, cui si aggiungono sigarette e whiskey, tanto per accelerare la dipartita, se il piombo di coloro contro i quali incoccia non facessero prima il loro dovere.

Il linguaggio che utilizza il detective hard boiled è fortemente gergale e come la sua vita, spesso fuori dai binari della legalità, passa dai vocaboli malavitosi ai termini delle forze dell’ordine.
In effetti, è un uomo di poche parole, ha una netta preferenza per i monosillabi, ma quando esprime un concetto è capace di allestire metafore colorite. È anche sarcastico, ma con scarso senso dell’umorismo.

Il protagonista del genere hard boiled non abbandona mai la sua pistola che non esita a usare contro i criminali.
Le sue donne ideali sono bellissime e bionde. Tendenzialmente, sono delle clienti piombate nel suo ufficio per offrirgli l’incarico di seguire il marito infedele, e il più delle volte rivelano un lato oscuro.

In ogni caso, i suoi rapporti con il genere femminile sono difficili, conflittuali. Spesso il detective hard boiled deve fare i conti con una storia d’amore fallita, che gli ha lasciato delle ferite e una profonda amarezza e disillusione. All’apparenza sembra un misogino.

Non ha mai il becco di un quattrino, eppure è generoso: quando prende un caso il più delle volte si accontenta di una paga simbolica.
Le vicende in cui si trova invischiato sembrano facili da risolvere, all’inizio, ma poi si rivelano complesse e ingarbugliate e lo costringono ad affrontare mille peripezie e disavventure.
Spesso, seguendo le sue piste, si scontra con la malavita organizzata ed è costretto a muoversi per le strade più malfamate di città come New York, Los Angeles o Chicago.

I guai lo cercano e lui non può farne a meno. Spesso è un ex poliziotto e nelle sue nuove vesti di investigatore ha un rapporto ambiguo con le autorità, anche se a volte, intuisce che come lui sono dalla parte del bene, però la disillusione, specie se si trova a contrastare la corruzione, lo portano ad agire da solo, anche se questo significa infrangere le regole.

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Il noir si distingue come genere letterario per vari aspetti, come: la figura del protagonista, le ambientazioni e le finalità delle vicende narrate.

Nel XX secolo, il termine “noir” subì una svolta: storici e critici letterari francesi ripresero il termine per identificare un importante genere narrativo: l’hard boiled, nato negli Stati Uniti, nei primi anni ’20 e che vede negli autori, Dashiell Hammett, John Carroll, John Daly, Raymond Chandler, Mickey Spillane, James Hadley Chase e gli scrittori della rivista “Black Mask” i principali esponenti del genere.

Questa sovrapposizione del termine, però, resta una convinzione tutta francese: negli Stati Uniti, il noir era ritenuto, e tuttora è così, un sottogenere narrativo distinto dall’hard boiled.

In America il termine noir è stato usato ufficialmente dal 1968, parlando però di opere cinematografiche, e solo dal 1984 si fa riferimento anche a opere narrative di autori, come: David Goodis; Jim Thompson; Cornell Woolrich.

Il genere hard boiled e quello noir presentano notevoli differenze che li distinguono nettamente l’uno dall’altro. Ad esempio, nel genere hard boiled, le storie per la maggior parte sono scritte in prima persona e la figura del detective è preponderante: protagonista della storia, conduce la linea narrativa principale, svolge le indagini e tenta di risolvere il caso.
Nel noir classico invece non si svolgono attività investigative di rilievo. La narrazione si sviluppa e gira intorno ai fatti criminosi compiuti dal personaggio o dai personaggi principali e raramente si assiste a un lieto fine.

Inoltre, nel noir il protagonista non è un investigatore, bensì una vittima oppure un sospettato o ancora, un esecutore. In ogni caso, si tratta di un soggetto auto-distruttivo che si trova ad affrontare sia un persecutore sia il sistema legale e politico, solitamente corrotti, oppure deve perseguitare altri soggetti; in ogni caso, per lui non ci sarà alcuna possibilità di vittoria.

Spesso poi, il protagonista di un noir è un individuo comune che in apparenza vive una vita ordinaria e che a un certo punto della sua vita si trova a dover commettere un crimine. In altri casi, il personaggio principale è un criminale. È comunque sempre un antieroe, un soggetto che agisce tra ambiguità morale, avidità, cinismo e alienazione.

La storia di un noir si snoda intorno a uno o più crimini che avvengono in ambienti diversi, a volte anche familiari o malavitosi. L’atmosfera è cupa, densa di intrighi, violenza, rapine, tradimenti, corruzione, omicidi e ricatti.

L’ambientazione del noir è fondamentale per la nascita e l’evoluzione della storia. La città e la metropoli in queste storie non costituiscono un semplice sfondo, ma sono delle protagoniste a loro volta, tanto quanto la violenza, la criminalità, il degrado morale e ambientale.
L’ambientazione nelle metropoli consente anche un certo grado di azione: inseguimenti, scontri fisici e sparatorie.

Nei romanzi noir la risoluzione del crimine non rappresenta l’obiettivo della storia, bensì narrare gli aspetti cupi e violenti della società, trasferendo al lettore l’immagine di una realtà negativa e drammatica.

È presente anche il sesso, privo solitamente dell’aspetto sentimentale. I personaggi femminili delle storie rispondono allo stereotipo della “femme fatale”, donna seducente e manipolatrice, spesso avida e interessata soltanto al denaro.

Il linguaggio del noir, soprattutto i dialoghi tra i personaggi, è crudo, realistico ed essenziale, e fa largo impiego del gergo metropolitano.

I più noti scrittori di noir metropolitano sono: Ed McBain (per New York), James Ellroy (per Los Angeles), Jean-Claude Izzo (per Marsiglia), Lawrence Block, Jim Thompson, Shane Stevens, James Mallahan Cain, David Goodis, Henry Kane, Jean Patrick Manchette, Giorgio Scerbanenco, Ruth Rendell, Derek Raymond, Horace McCoy, William Riley Burnett.

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir, cioè nero, rimanda al concetto di cupo, malinconico e marcatamente pessimista, caratteristiche fondamentali delle storie noir, dove un protagonista, antieroe per eccellenza, si muove in metropoli violente tra intrighi, omicidi e corruzione.

In questi giorni di caldo intenso, leggere, sotto l’ombra provvidenziale di un ombrellone, sdraiati su un comodo lettino, può essere uno svago piacevole.
In genere, durante le vacanze, specie quelle estive, i lettori apprezzano tuffarsi tra le pagine di un giallo, di un thriller o comunque, di un buon poliziesco o magari di un noir.
Tutte queste definizioni non sono altro che delle sotto tracce di un genere molto amato, e chi gradisce questo tipo di letture ha davvero solo l’imbarazzo della scelta tra tante sfumature narrative, tutte ugualmente coinvolgenti.

Una di queste varianti di successo è appunto il noir o “romanzo nero”, che deriva dal sottogenere hard boiled nato alla fine degli anni venti del Novecento, negli Stati Uniti.
L’aggettivo “nero” fa riferimento alle caratteristiche fondamentali di questo genere, cioè storie contraddistinte da tematiche e atmosfere cupe, tetre, malinconiche e pessimiste.

Il termine noir proviene dal mondo anglosassone e fu un genere particolarmente sfruttato in Francia, sulla traccia delle novelle tragiche (“Les Histoires tragiques de nostre temps”) di François de Rosset (1571-1619; traduttore e scrittore francese di successo) e le storie cupe e violente, ispirate alla tradizione dei racconti orrorifici, di Jean-Pierre Camus (1584 – 1652; scrittore e prelato francese).

Nel Settecento, gli stessi argomenti prendono una piega lacrimosa-sentimentale, in particolare in certe parti dei “Mémoires du comte de Comminges” (1735) di M.me de Tencin (1682 – 1749; baronessa de Saint-Martin-de-Ré, scrittrice francese, madre di D’Alembert), nei romanzi dell’abate Antoine-François Prévost (1697 – 1763; scrittore francese) e in alcune opere di Denis Diderot (1713 – 1784; filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte francese).

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dopo Horace Walpole (1717 – 1797; quarto Conte di Orford, scrittore inglese, autore de “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico propriamente detto) e Clara Reeve (1729 – 1807; scrittrice inglese, autrice del romanzo gotico “Il vecchio barone inglese”) il romanzo gotico fu denominato “romanzo nero” (romain noir) o del terrore.

Con Ann Ward (nota come Ann Radcliff, 1764 – 1823; popolare scrittrice inglese, pioniera della letteratura dell’orrore e in particolare del romanzo gotico) poi, il genere del romanzo nero subisce un’evoluzione narrativa.
La nuova tipologia contrappone tematiche all’estremo (innocenza virtuosa-crudeltà fisica e morale, religione-satanismo), come in “Han d’Islande” di Victor Hugo (1802 – 1885; scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia) e ne “La morte amoureuse” di Pierre Jules Théophile Gautier (1811 – 1872; scrittore, poeta, giornalista e critico letterario francese), fino a giungere ai testi eccessivi di Pierre Mac Orlan (pseudonimo di Pierre Dumarchais, 1882 – 1970; artista e scrittore francese) e a quelli de “Les Mystères de la Morgue ou les Fiancés du IV arrondissement. Roman gai” (1918) di Francis Carco (pseudonimo di François Carcopino-Tusoli, 1886 – 1958; scrittore francese, ambientò le sue opere tra i bassifondi parigini e la vita bohèmienne di inizio Novecento).

Successivamente il filone noir fu assimilato al romanzo giallo, guadagnando un notevole successo, in particolare con Leo Malet (1909 – 1996; scrittore francese che con Georges Simenon e André Héléna è stato uno dei maggiori rappresentanti del romanzo poliziesco in lingua francese), Pierre Siniac (1928 – 2002), Tito Topin (1932) e A.D.G. (pseudonimo di Alain Fournier, detto Camille, 1947 – 2004; giornalista e scrittore francese).

Nel XX secolo, il termine noir subì una svolta… (prosegue nel prossimo post)

Arthur Conan Doyle e il mitico detective, Sherlock Holmes

Arthur Conan Doyle e il mitico detective, Sherlock Holmes

Il 22 maggio del 1859, nasceva Sir Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 – Crowborough, 7 luglio 1930), capostipite del giallo deduttivo, padre, almeno in veste letteraria, del genio investigativo, Sherlock Holmes.

Conan Doyle – insieme a Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849) – è considerato il fondatore di ben due generi letterari: il giallo e il fantastico.
Nella sua vasta produzione, lo scrittore scozzese è passato dal romanzo d’avventura, alla fantascienza; dai temi storici al soprannaturale.

La prima opera di Doyle risale al 1879: “Il mistero di Sasassa Valley”, scritto pochi anni prima di laurearsi in Medicina e Chirurgia (1881), presso l’Università di Edimburgo. Non si trattava di un giallo, bensì di un racconto del terrore che Conan Doyle vendette al Chambers Journal.
Fu proprio mentre faceva da assistente medico a diversi dottori che iniziò ad appassionarsi alla letteratura e a scrivere le sue prime opere. Si ritiene, oltretutto che, il personaggio di Sherlock Holmes fosse ispirato a uno dei suoi professori di medicina: il brillante e freddo dottor Joseph Bell. Lo scrittore riprese anche il suo particolare metodo scientifico, oltre che le sue capacità deduttive.

Conan Doyle era indubbiamente un uomo dalle forti convinzioni, con un notevole senso dell’onore e durante la sua vita, sostenne diverse battaglie per i motivi più disparati, utilizzando la stampa per propugnare e sostenere il suo punto di vista, in modo davvero efficace e intraprendente.
Visse una gran varietà di esperienze umane: passò dalla povertà a una grande notorietà; conobbe anche molte persone importanti della sua epoca.
Esercitò come medico ed ebbe una lunga carriera come scrittore, praticò anche molti sport, come: cricket, biliardo, boxe, sci, motociclismo e calcio.

Fu mentre passava da un incarico di lavoro all’altro, ancora come medico, che iniziò a scrivere le avventure di Sherlock Holmes, più precisamente, nel periodo in cui aveva aperto uno studio medico nel Southsea (sobborgo di Portsmouth).
Le storie del singolare detective iniziarono ben presto ad avere un discreto successo. Il primo romanzo, dove compare questo singolare e arguto personaggio, risale al 1887: “Uno studio in rosso”, pubblicato sul Beeton’s Christmas Annual.
In questa prima apparizione, Doyle presenta Sherlock Holmes, delineando le principali caratteristiche del suo acuto investigatore e esponendo, al contempo, la perspicace scienza della deduzione che contraddistingue il suo metodo di indagine. Lo fa, utilizzando la voce del dottor Watson che in un certo senso è il suo alter ego.
Nel 1880, compare una seconda avventura di Sherlock Holmes, “Il segno dei quattro”, questa nuova avventura dell’infallibile detective gli decretò un enorme successo.

Nonostante la notorietà di Doyle sia dovuta proprio al personaggio di Holmes, il rapporto fra i due fu piuttosto contrastato: lo scrittore lo odiava, perché era diventato più famoso di lui.
Inoltre, Doyle avrebbe preferito esplorare generi letterari diversi, come l’avventura o il fantastico oppure dedicarsi a opere di ricerca storica, invece di soffermarsi prevalentemente sui gialli.
L’elemento fantastico penetra, però, anche in alcune storie di Sherlock Holmes, ad esempio, il romanzo “Il mastino dei Baskerville” (1902) e il racconto “Il vampiro del Sussex” (1927).

Il personaggio di Sherlock Holmes è comparso in quattro romanzi e cinquantasei racconti ed è diventato l’emblema del giallo. Inoltre, il successo di cui è stato oggetto lo ha portato a uscire dalle pagine scritte, per passare nel mondo del teatro, del cinema e della TV, e, secondo alcuni critici, è la più famosa figura di detective della storia del giallo.

Doyle ci presenta Holmes in questo modo: “il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia” (La scienza della deduzione, II capitolo di “Uno studio in rosso”, Mondadori, 1976).

Non sappiamo molto del passato di Sherlock Holmes e neppure della sua vita personale. Le sue storie, poi, sono quasi tutte narrate in prima persona dal dottor John Watson, amico e biografo, che Holmes conosce nel 1881, quando cerca un coinquilino con cui condividere l’appartamento al 221B di Baker Street.

La convivenza tra l’investigatore e il dottore funziona alla perfezione e anche le indagini guadagnano da questa perfetta simbiosi, mentre il rapporto tra Doyle e il suo personaggio continua a essere tutt’altro che sereno: lo scrittore giunse a un punto da tale di insofferenza nei confronti del suo investigatore, da volersi liberare di lui in modo definitivo.

Nel racconto “L’ultima avventura”, Sherlock Holmes muore, durante un duello con il suo formidabile antagonista: Moriarty.
Purtroppo per Doyle, il suo pubblico si oppose alla prematura dipartita del personaggio e lo scrittore, a malincuore, si convinse a scrivere un nuovo romanzo con lo stesso protagonista: “Il mastino dei Baskerville”, ambientato prima della presunta morte, avvenuta nel 1891.
Successivamente, siccome il corpo dell’incredibile detective non era stato rinvenuto, Doyle lo fece risuscitare e tornare alacremente al lavoro ne “L’avventura della casa vuota”, ambientata nel 1894.
Nei tre anni mancanti, Sherlock Holmes – veniamo a sapere dallo scrittore – sarebbe stato nascosto, per occuparsi di un incarico segreto da parte del governo britannico.

La carriera investigativa di Sherlock Holmes termina con un tranquillo pensionamento: il detective si ritira dapprima nel Sussex, a studiare l’apicoltura, poi in una fattoria vicino a Eastbourne, dove si occuperà di agricoltura e filosofia, ma solo dopo aver dato man forte all’Inghilterra, come agente del governo, durante la prima guerra mondiale.

Sherlock Holmes è un personaggio complesso, pieno di sorprese. Oltre a una mente brillante, il nostro intraprendente detective non disdegna di affrontare faccia a faccia i suoi avversari, anche contrastandoli fisicamente: è un eccellente schermidore e pratica il pugilato a mani nude. Inoltre, conosce il bartitsu (sistema di lotta derivato dal jujitsu giapponese), ciò lo rende uno dei primi occidentali ad aver praticato le arti marziali orientali.

Holmes possiede anche curiose conoscenze e abitudini: è in grado di distinguere all’istante vari tipi di terreno; è edotto di ogni dettaglio, riguardante misfatti commessi nel suo secolo; è un profondo conoscitore di tabacco (ha scritto un trattato su questo argomento); non disdegna i travestimenti nei quali è piuttosto abile.
Inoltre, è anche un buon violinista, oltre che un accanito fumatore di pipa.

Per quanto riguarda le capacità sociali e relazionali, nei vari romanzi, il personaggio di Sherlock Holmes mostra di avere un buon rapporto solo con il suo amico Watson, mentre sembra emotivamente distaccato e disinteressato a tutti gli altri.
Non si interessa neppure alle donne: vuole avere la mente lucida, mentre “l’amore è un’emozione, e tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al di sopra di tutto” (“Il segno dei Quattro”).

Per le sue investigazioni, Sherlock Holmes applica il metodo scientifico: osserva la realtà circostante, raccoglie prove e indizi e poi trae le sue mirabili deduzioni.
Un’attenta osservazione dei dettagli è sempre il primo passo, cui segue la raccolta di prove inoppugnabili, grazie alle quali è possibile formulare le giuste conclusioni.

Per quanto riguarda la scrittura di Doyle, in riferimento alle storie di Sherlock Holmes, il suo linguaggio appare serratissimo, anche quando ci sono in corso dei monologhi o delle descrizioni. In entrambi i casi la scrittura è asciutta e quasi concatenata, da tale modo di procedere, si ottiene un quadro netto e preciso.
Interessante poi, è la contrapposizione tra i casi che Holmes deve risolvere, che sono di una singolarità estrema e la semplicità della loro soluzione, ovviamente, una volta risolti.

Il personaggio di Sherlock Holmes, al di là delle sue caratteristiche psicologiche e fisiche che lo contraddistinguono, risulta particolare per il contrasto tra il modo in cui appare e quello che invece è (es. tenente Colombo). È alto, ha una figura esile, all’apparenza sembra debole, mentre in realtà, è esattamente il contrario; appare come uno sciocco, mentre è chiaramente tutt’altro.

In ogni caso, le capacità di Conan Doyle non si fermano qui: non solo lo scrittore è abile nel descrivere le situazioni e i personaggi, ma sa sfruttare brillantemente anche gli elementi atmosferici, associandoli all’andamento della storia: es. una sera tempestosa collegata a eventi drammatici e straordinari.

Codice 206: I casi del commissario Nick Raisi

In “Codice 206”, il commissario Nick Raisi si troverà coinvolto in un cold case. A trascinarlo dentro le indagini saranno i misteriosi messaggi lasciati da “Ala”, un writer che ha fatto della sua arte un’arma al servizio della giustizia.

Dopo “Rime Mortali“, torna con “Codice 206”, il personaggio di Nick Raisi, un tipo davvero singolare a cominciare dalle sue passioni: l’hip hop e i dolci. Il commissario romano odia la neve e la montagna, ma a causa di un’indagine scabrosa si ritrova catapultato, suo malgrado, dalla sua amata Roma a Brunico, in Alto Adige. Il suo arrivo ha portato diversi cambiamenti in città, soprattutto nel modo di condurre le indagini.

Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.” (Friedrich Nietzsche)

Nick Raisi è insolito, a volte divertente.
Conduce le indagini con una patina d’ironia e riesce sempre a fiutare la pista giusta che conduce alla verità.
Stavolta il commissario romano, trasferito a Brunico, deve indagare su un uomo scomparso anni prima, che i suoi concittadini credevano morto per un incidente in montagna.
Ad aiutarlo ci sarà un misterioso writer che si firma “ALA” e che lo sfiderà a risolvere i suoi rebus tappezzati per la città.
Raisi con l’aiuto della sua squadra e le felici intuizioni della sua ragazza, Larissa Meier, darà una luce completamente diversa al caso dell’uomo scomparso che dietro una impeccabile facciata nascondeva un terribile segreto.
Il commissario dovrà muoversi tra omertà e coni d’ombra, fino a svelare la vera natura della vittima e l’identità del suo assassino.

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Agatha Christie, regina del giallo, e l’infallibile detective, Hercule Poirot

Agatha Christie regina del giallo e l'infallibile detective Hercule Poirot

Il 12 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Agatha Mary Clarissa Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976), una delle più famose e prolifiche scrittrici del XX secolo.
Per misurare la sua notorietà, basta dire che, subito dopo Shakespeare, è la scrittrice inglese più tradotta.
I personaggi più celebri dei suoi gialli: Hercule Poirot e Miss Marple sono famosi in tutto il mondo.

Agatha Christie è nota soprattutto per i suoi intricati e geniali racconti e romanzi gialli, ma in effetti, è stata anche autrice di diverse opere teatrali e di alcuni romanzi rosa che firmò con lo pseudonimo di Mary Westmacott.
I suoi gialli sono diventati così famosi per diversi motivi, tra questi, la fortuna che hanno incontrato due dei suoi personaggi più riusciti: Hercule Poirot e Miss Marple. I due diversissimi detective, accomunati però da un eccezionale acume, hanno fatto il giro del mondo e tuttora, le opere che li vedono protagonisti sono oggetto di nuove edizioni a stampa e di diversi adattamenti per il cinema e per la TV.

La Christie aveva sempre avuto una spiccata passione per i romanzi polizieschi. Dopo aver letto tutto quello c’era a disposizione alla sua epoca su quel genere, in particolare, Wilkie Collins e Sir Arthur Conan Doyle, scrisse il suo primo romanzo poliziesco, “Poirot a Styles Court”. In questo primo giallo, la Christie ci presenta per la prima volta l’ex ufficiale di polizia belga, destinato a diventare uno dei detective più famosi a livello mondiale: Hercule Poirot, la cui notorietà è paragonabile solo a quella di Sherlock Holmes.

Nel 1916, quando il primo romanzo dell’eccezionale detective vede la luce, l’Europa era in guerra, già da due anni, e la Christie lavorava come infermiera volontaria; il suo compito principale era quello di gestire il dispensario dell’ospedale, dove era possibile reperire medicinali ma anche veleni letali.

Secondo l’autobiografia della scrittrice, il suo romanzo nacque in seguito a una sfida, lanciata da sua sorella: “scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”.
La Christie accettò la sfida e trovò ben presto l’ispirazione per dare vita a una storia avvincente.
Dal suo lavoro trasse l’idea in merito all’arma del delitto: un veleno, mentre Torquay, località del Devon, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, le fornì, anche se indirettamente, le indicazioni per il suo detective. Nel 1916, nella città natale della scrittrice, passavano molti belgi in fuga dal loro Paese, qualcuno di loro, o forse proprio uno in particolare, magari con dei baffi curiosi e ben curati, accese la sua fantasia e divenne l’ex poliziotto belga che con le sue brillanti “celluline grigie” risolverà crimini intricati.

Hercule Poirot non colpisce per la sua imponenza: è un uomo di bassa statura, grassoccio e leggermente claudicante, nonostante ciò, il suo portamento è eretto e dignitoso, e conserva l’aspetto del militare con i suoi baffetti rigidi e sottili, dei quali si prende molta cura.
Ha una testa di forma ovale che ricorda un uovo e di solito, la tiene inclinata verso destra. Ha ancora molti capelli e si distingue per il suo abbigliamento sempre preciso e perfetto. Inoltre, Poirot ama il cibo, ma solo quello di qualità e preparato con cura.

L’atteggiamento di Poirot è tendenzialmente flemmatico; è riflessivo ed estremamente preciso, non gli sfugge nulla, neppure il più trascurabile dettaglio, e grazie al suo fiuto straordinario e ai suoi accurati metodi di indagine, alla fine, anche il colpevole più scaltro finisce nelle mani della giustizia.
Inoltre, è presentato come un uomo molto sicuro di sé e delle sue capacità investigative.
Sappiamo anche che abita in un appartamento al 56B Whitehaven Mansions, Charterhouse Square, Smithfield, London W1, che ha scelto per la sua simmetria.
Agatha Christie, però, non ci dà alcuna indicazione della famiglia d’origine del suo famoso detective; scopriamo solo, in un altro dei suoi romanzi, che la sua nonna paterna si chiamava Marie.

In “Doppia colpa”, è Poirot stesso che ci informa della sua storia pregressa.
Come già accennato, veniamo a sapere che, sino allo scoppio della Grande Guerra, era capo della polizia di Bruxelles. Del suo periodo belga, veniamo a sapere che risolse un caso di omicidio: un ricco produttore di sapone, aveva ucciso la moglie per sposare la sua segretaria.
Inoltre, dalle parole dell’ispettore Japp, scopriamo che nel 1904, i due hanno già lavorato insieme, a Bruxelles, al caso Abercrombie.

Una volta lasciata la polizia belga e la sua stessa patria, Poirot giunse in Inghilterra come rifugiato, e qui iniziò la sua brillante carriera di investigatore privato. Il suo primo caso inglese gli conferirà una certa notorietà, lo risolverà insieme al suo più fidato amico, il capitano Arthur Hastings, dopo che i due amici ripresero i contatti il 16 luglio del 1916.

Durante la prima e la seconda guerra mondiale, Poirot viaggia in Europa e in Medio Oriente, sempre impegnato a indagare su crimini e omicidi.
Solo in pochi casi, l’eccezionale investigatore consente ai criminali di sottrarsi alla giustizia, ciò accade con la contessa Vera Rossakoff, una ladra di gioielli, della quale Poirot si è innamorato.
Non sarà però mai magnanimo nei confronti degli assassini, l’unico caso di omicidio che lo costringerà a insabbiare tutto è “Assassinio sull’Orient Express”, ma è la situazione stessa che in un certo qual senso lo obbliga a farlo.

Al termine della sua carriera, Poirot passa gran parte del suo tempo libero a riflettere su casi irrisolti dalla polizia, a leggere racconti polizieschi e a scrivere un libro.
Per quanto riguarda la sua morte, il famoso detective uscirà di scena alla fine del romanzo il “Sipario”, a causa di complicazioni cardiovascolari.
Prima di morire, Poirot commette un omicidio: uccide un serial killer; il senso di colpa, unito all’età avanzata e alla salute precaria, lo condurranno alla morte.
Le ultime parole pronunciate da Poirot “Cher ami!” sono per il suo amico di sempre, il capitano Hastings. Verrà sepolto a Styles Court e il cerchio così si chiuderà, perché è proprio qui che tutto aveva avuto inizio; il funerale sarà organizzato da Hastings.

Poirot appare come protagonista in ben 33 romanzi e in 5 antologie di racconti. Inoltre, lo troviamo anche in alcune raccolte di racconti, insieme con altri personaggi.
La Christie fu un’autrice molto prolifica, ma il suo primo poliziesco richiese ben quattro anni di lavoro. In questo periodo la scrittrice pensò spesso di abbandonare tutto, ma alla fine, “Poirot a Styles Court” sarà dato alle stampe, il 1° gennaio 1920, quando l’autrice, dopo aver apportato al testo le modifiche suggerite dall’editore, firmerà con John Lane il suo primo contratto.

Agatha Christie ebbe un successo immediato. Della sua prima storia poliziesca, i lettori gradirono la chiarezza espositiva e lo stile narrativo fluido. Inoltre, la scrittrice aveva una capacità descrittiva notevole che si riscontra nel tratteggio essenziale ma efficace dei personaggi.
Il finale del suo primo romanzo, consumato in una location informale: un elegante salotto, diverrà l’apprezzata cifra distintiva di molti altri finali della Christie, come: “l’Assassinio di Roger Ackroid”, “Il pericolo senza nome”, “Tragedia in tre atti”, “Delitto in cielo”, “La serie infernale”, “Il ritratto di Elsa Greer” e molti altri ancora.

Questo esordio poliziesco di Agatha Christie contiene tutti gli elementi che saranno presenti in gran parte dei suoi romanzi, anche quelli in cui Poirot non sarà presente.
La Christie sceglie ambientazioni casalinghe, dove si trovano diverse persone, legate fra loro da relazioni conflittuali, al punto da rendere chiunque un possibile omicida.
Lo schema della scrittrice è semplice ma ben congegnato: avviene un omicidio, ci sono più sospettati che nascondono segreti, questi sono svelati dal detective nel corso della storia, e solo verso la fine, sono rivelati quelli più sensazionali.

La Christie non esclude nessun possibile colpevole nelle sue storie: narratori, bambini, poliziotti, soggetti già deceduti, i sospettati in toto (“Assassinio sull’Orient Express”).
Le ambientazioni predilette dalla scrittrice sono di tipo casalingo e il finale è un vero colpo di genio: il detective riunisce i sospettati in una stanza e li coinvolge nel suo ragionamento deduttivo, durante il quale svela il colpevole. Ci sono davvero poche eccezioni a questo schema ma anche in questi casi, la scrittrice non delude mai i suoi lettori.

Per quanto riguarda il personaggio di Poirot, la Christie si stancò di lui, proprio come Sir Arthur Conan Doyle finì per odiare Sherlock Holmes.
La scrittrice, alla fine degli anni trenta, scrisse nel suo diario che riteneva Poirot “insopportabile”, mentre negli anni sessanta disse che era “un cagnaccio egocentrico”. Ma la Christie resistette alla tentazione di eliminare il suo detective, mentre era ancora popolare, a differenza di Conan Doyle.

La scrittrice non scrisse mai un romanzo o una storia breve, dove Poirot e Miss Marple si trovano a indagare insieme. In una registrazione, pubblicata nel 2008, la Christie ne rivelò la ragione: “Hercule Poirot, un egoista completo, non vorrebbe che gli venissero insegnati i suoi affari o avere suggerimenti da un’anziana signora zitella. Hercule Poirot – un investigatore professionista – non sarebbe affatto a casa nel mondo di Miss Marple“.

Hercule Poirot è l’unico personaggio di finzione che fu commemorato con un necrologio sul New York Times: dopo la pubblicazione di “Sipario”, apparve un articolo sulla prima pagina del giornale, il 6 agosto 1975.