Agatha Christie, regina del giallo, e l’infallibile detective, Hercule Poirot

Agatha Christie regina del giallo e l'infallibile detective Hercule Poirot

Il 12 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Agatha Mary Clarissa Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976), una delle più famose e prolifiche scrittrici del XX secolo.
Per misurare la sua notorietà, basta dire che, subito dopo Shakespeare, è la scrittrice inglese più tradotta.
I personaggi più celebri dei suoi gialli: Hercule Poirot e Miss Marple sono famosi in tutto il mondo.

Agatha Christie è nota soprattutto per i suoi intricati e geniali racconti e romanzi gialli, ma in effetti, è stata anche autrice di diverse opere teatrali e di alcuni romanzi rosa che firmò con lo pseudonimo di Mary Westmacott.
I suoi gialli sono diventati così famosi per diversi motivi, tra questi, la fortuna che hanno incontrato due dei suoi personaggi più riusciti: Hercule Poirot e Miss Marple. I due diversissimi detective, accomunati però da un eccezionale acume, hanno fatto il giro del mondo e tuttora, le opere che li vedono protagonisti sono oggetto di nuove edizioni a stampa e di diversi adattamenti per il cinema e per la TV.

La Christie aveva sempre avuto una spiccata passione per i romanzi polizieschi. Dopo aver letto tutto quello c’era a disposizione alla sua epoca su quel genere, in particolare, Wilkie Collins e Sir Arthur Conan Doyle, scrisse il suo primo romanzo poliziesco, “Poirot a Styles Court”. In questo primo giallo, la Christie ci presenta per la prima volta l’ex ufficiale di polizia belga, destinato a diventare uno dei detective più famosi a livello mondiale: Hercule Poirot, la cui notorietà è paragonabile solo a quella di Sherlock Holmes.

Nel 1916, quando il primo romanzo dell’eccezionale detective vede la luce, l’Europa era in guerra, già da due anni, e la Christie lavorava come infermiera volontaria; il suo compito principale era quello di gestire il dispensario dell’ospedale, dove era possibile reperire medicinali ma anche veleni letali.

Secondo l’autobiografia della scrittrice, il suo romanzo nacque in seguito a una sfida, lanciata da sua sorella: “scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”.
La Christie accettò la sfida e trovò ben presto l’ispirazione per dare vita a una storia avvincente.
Dal suo lavoro trasse l’idea in merito all’arma del delitto: un veleno, mentre Torquay, località del Devon, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, le fornì, anche se indirettamente, le indicazioni per il suo detective. Nel 1916, nella città natale della scrittrice, passavano molti belgi in fuga dal loro Paese, qualcuno di loro, o forse proprio uno in particolare, magari con dei baffi curiosi e ben curati, accese la sua fantasia e divenne l’ex poliziotto belga che con le sue brillanti “celluline grigie” risolverà crimini intricati.

Hercule Poirot non colpisce per la sua imponenza: è un uomo di bassa statura, grassoccio e leggermente claudicante, nonostante ciò, il suo portamento è eretto e dignitoso, e conserva l’aspetto del militare con i suoi baffetti rigidi e sottili, dei quali si prende molta cura.
Ha una testa di forma ovale che ricorda un uovo e di solito, la tiene inclinata verso destra. Ha ancora molti capelli e si distingue per il suo abbigliamento sempre preciso e perfetto. Inoltre, Poirot ama il cibo, ma solo quello di qualità e preparato con cura.

L’atteggiamento di Poirot è tendenzialmente flemmatico; è riflessivo ed estremamente preciso, non gli sfugge nulla, neppure il più trascurabile dettaglio, e grazie al suo fiuto straordinario e ai suoi accurati metodi di indagine, alla fine, anche il colpevole più scaltro finisce nelle mani della giustizia.
Inoltre, è presentato come un uomo molto sicuro di sé e delle sue capacità investigative.
Sappiamo anche che abita in un appartamento al 56B Whitehaven Mansions, Charterhouse Square, Smithfield, London W1, che ha scelto per la sua simmetria.
Agatha Christie, però, non ci dà alcuna indicazione della famiglia d’origine del suo famoso detective; scopriamo solo, in un altro dei suoi romanzi, che la sua nonna paterna si chiamava Marie.

In “Doppia colpa”, è Poirot stesso che ci informa della sua storia pregressa.
Come già accennato, veniamo a sapere che, sino allo scoppio della Grande Guerra, era capo della polizia di Bruxelles. Del suo periodo belga, veniamo a sapere che risolse un caso di omicidio: un ricco produttore di sapone, aveva ucciso la moglie per sposare la sua segretaria.
Inoltre, dalle parole dell’ispettore Japp, scopriamo che nel 1904, i due hanno già lavorato insieme, a Bruxelles, al caso Abercrombie.

Una volta lasciata la polizia belga e la sua stessa patria, Poirot giunse in Inghilterra come rifugiato, e qui iniziò la sua brillante carriera di investigatore privato. Il suo primo caso inglese gli conferirà una certa notorietà, lo risolverà insieme al suo più fidato amico, il capitano Arthur Hastings, dopo che i due amici ripresero i contatti il 16 luglio del 1916.

Durante la prima e la seconda guerra mondiale, Poirot viaggia in Europa e in Medio Oriente, sempre impegnato a indagare su crimini e omicidi.
Solo in pochi casi, l’eccezionale investigatore consente ai criminali di sottrarsi alla giustizia, ciò accade con la contessa Vera Rossakoff, una ladra di gioielli, della quale Poirot si è innamorato.
Non sarà però mai magnanimo nei confronti degli assassini, l’unico caso di omicidio che lo costringerà a insabbiare tutto è “Assassinio sull’Orient Express”, ma è la situazione stessa che in un certo qual senso lo obbliga a farlo.

Al termine della sua carriera, Poirot passa gran parte del suo tempo libero a riflettere su casi irrisolti dalla polizia, a leggere racconti polizieschi e a scrivere un libro.
Per quanto riguarda la sua morte, il famoso detective uscirà di scena alla fine del romanzo il “Sipario”, a causa di complicazioni cardiovascolari.
Prima di morire, Poirot commette un omicidio: uccide un serial killer; il senso di colpa, unito all’età avanzata e alla salute precaria, lo condurranno alla morte.
Le ultime parole pronunciate da Poirot “Cher ami!” sono per il suo amico di sempre, il capitano Hastings. Verrà sepolto a Styles Court e il cerchio così si chiuderà, perché è proprio qui che tutto aveva avuto inizio; il funerale sarà organizzato da Hastings.

Poirot appare come protagonista in ben 33 romanzi e in 5 antologie di racconti. Inoltre, lo troviamo anche in alcune raccolte di racconti, insieme con altri personaggi.
La Christie fu un’autrice molto prolifica, ma il suo primo poliziesco richiese ben quattro anni di lavoro. In questo periodo la scrittrice pensò spesso di abbandonare tutto, ma alla fine, “Poirot a Styles Court” sarà dato alle stampe, il 1° gennaio 1920, quando l’autrice, dopo aver apportato al testo le modifiche suggerite dall’editore, firmerà con John Lane il suo primo contratto.

Agatha Christie ebbe un successo immediato. Della sua prima storia poliziesca, i lettori gradirono la chiarezza espositiva e lo stile narrativo fluido. Inoltre, la scrittrice aveva una capacità descrittiva notevole che si riscontra nel tratteggio essenziale ma efficace dei personaggi.
Il finale del suo primo romanzo, consumato in una location informale: un elegante salotto, diverrà l’apprezzata cifra distintiva di molti altri finali della Christie, come: “l’Assassinio di Roger Ackroid”, “Il pericolo senza nome”, “Tragedia in tre atti”, “Delitto in cielo”, “La serie infernale”, “Il ritratto di Elsa Greer” e molti altri ancora.

Questo esordio poliziesco di Agatha Christie contiene tutti gli elementi che saranno presenti in gran parte dei suoi romanzi, anche quelli in cui Poirot non sarà presente.
La Christie sceglie ambientazioni casalinghe, dove si trovano diverse persone, legate fra loro da relazioni conflittuali, al punto da rendere chiunque un possibile omicida.
Lo schema della scrittrice è semplice ma ben congegnato: avviene un omicidio, ci sono più sospettati che nascondono segreti, questi sono svelati dal detective nel corso della storia, e solo verso la fine, sono rivelati quelli più sensazionali.

La Christie non esclude nessun possibile colpevole nelle sue storie: narratori, bambini, poliziotti, soggetti già deceduti, i sospettati in toto (“Assassinio sull’Orient Express”).
Le ambientazioni predilette dalla scrittrice sono di tipo casalingo e il finale è un vero colpo di genio: il detective riunisce i sospettati in una stanza e li coinvolge nel suo ragionamento deduttivo, durante il quale svela il colpevole. Ci sono davvero poche eccezioni a questo schema ma anche in questi casi, la scrittrice non delude mai i suoi lettori.

Per quanto riguarda il personaggio di Poirot, la Christie si stancò di lui, proprio come Sir Arthur Conan Doyle finì per odiare Sherlock Holmes.
La scrittrice, alla fine degli anni trenta, scrisse nel suo diario che riteneva Poirot “insopportabile”, mentre negli anni sessanta disse che era “un cagnaccio egocentrico”. Ma la Christie resistette alla tentazione di eliminare il suo detective, mentre era ancora popolare, a differenza di Conan Doyle.

La scrittrice non scrisse mai un romanzo o una storia breve, dove Poirot e Miss Marple si trovano a indagare insieme. In una registrazione, pubblicata nel 2008, la Christie ne rivelò la ragione: “Hercule Poirot, un egoista completo, non vorrebbe che gli venissero insegnati i suoi affari o avere suggerimenti da un’anziana signora zitella. Hercule Poirot – un investigatore professionista – non sarebbe affatto a casa nel mondo di Miss Marple“.

Hercule Poirot è l’unico personaggio di finzione che fu commemorato con un necrologio sul New York Times: dopo la pubblicazione di “Sipario”, apparve un articolo sulla prima pagina del giornale, il 6 agosto 1975.

Personaggi in cerca di autore o Autore in cerca di personaggi?

Principe ranocchioPersonaggi e autore hanno un rapporto complicato che non si limita alla penna e al foglio di carta. I personaggi di un libro sono per il suo autore degli amici, dei compagni di viaggio e spesso i rapporti con loro non sono semplici.

In realtà, lo scrittore intraprende con i suoi personaggi delle vere relazioni, a volte di amicizia, a volte di amore e odio.

Quando alcuni autori sostenevano di litigare a volte con i loro personaggi o di essere costretti a determinate scelte per “soddisfarli”, non volevo crederci.
Continuando a scrivere, devo riconoscere che ho dovuto ricredermi, e non poco…

Negli ultimi racconti “gialli” scritti, ho affrontato situazioni simili: un personaggio a cui pensavo di assegnare un ruolo secondario, per fare risaltare un altro del quale credevo di avere in testa una perfetta caratterizzazione, sorprendentemente si è preso a forza una quantità di spazio che io non avevo immaginato in alcun modo di dargli.
Con rassegnazione, ho dovuto lasciarlo fare.

Il suo carattere si è definito a mano a mano che procedevo con la scrittura e, di storia in storia, la sua particolare personalità ha finito per lasciare in ombra il personaggio a cui avevo destinato un ruolo di primo piano.

La conferma di questa inversione di piani e parti rispetto a quanto avevo preventivato mi è giunta dalla recensione di un lettore che nell’occasione aveva trovato il personaggio che doveva essere, nei miei intenti, “secondario”: “più riuscito e interessante”.

Nell’ultimo racconto che sto ultimando, devo contrastare la veemenza di un altro similare personaggio che, nonostante i miei tentativi di soffocarne le ambizioni, di fatto mantiene in una certa subalternità tutti gli altri. Osservo con una certa preoccupazione che sono sempre più numerosi i personaggi che riescono ad imporsi, presentandosi con arroganza sulla scena, e mi impongono una revisione nella pianificazione degli eventi e intrecci, tanto da cambiare la storia che avevo in testa.

Perciò, mi sono chiesta se in effetti non siano i personaggi a cercarci, mettendo a disposizione le loro vite, piuttosto che noi scrittori a crearli, illudendoci di aver inventato un personaggio e la sua storia.
Non mi stupirei, a questo punto, che un ranocchio diventasse un principe o viceversa…

Scrittura: alcuni semplici ingredienti per rendere una storia più realistica

Ingredienti ricetta cucina

Linguaggio comune, spezzoni in semi-dialetto, scene e gesti quotidiani sono alcuni degli ingredienti che aiutano a rendere una storia più realistica e piacevole, oltre a fornire un sistema infallibile per far entrare il lettore nella storia e coinvolgerlo con più efficacia nel corso degli eventi.

Mentre rifletto su questi “espedienti”, penso a Maurizio de Giovanni e ai suoi gialli ambientati a Napoli negli anni ’30. Nelle sue storie l’umanità “la fa da padrone”, a cominciare dai personaggi e dalle loro vite semplici con risvolti a volte comici e a volte dolorosi.

Prendiamo ad esempio, il commissario Ricciardi che osserva dalla finestra (riguardo alle finestre e alla loro particolarità: finestre fonte insolita di ispirazione) la sua dirimpettaia di cui è innamorato, mentre la donna riordina la cucina o ricama: un appuntamento serale, la cui semplice e irrinunciabile regolarità è una garanzia nella vita tormentata dell’uomo.
Oppure il brigadiere Maione che vive in simbiosi con il suo superiore e che non manca di mostrare il suo lato umano attraverso battute colorite o gesti di delicatezza e rispetto rivolti alla sua famiglia e spesso, anche agli estranei.
O ancora, il medico legale, Bruno Modo e le sue scaramucce con il commissario o con il brigadiere condite di ironia e sarcasmo che fanno da contrappunto all’orrore e alla violenza, mitigando il clima in cui i tre uomini lavorano costantemente.

Mentre leggo e seguo con attenzione le storie e i loro interessanti intrecci, mi ritrovo a valutare molte altre cose che possono essere d’aiuto alla scrittura, ad esempio, elaborare una narrazione più aderente alla realtà, per far sentire il lettore sempre più coinvolto mentre scorre le pagine.

Non credo ci sia una ricetta valida per tutto e per tutti, penso invece sia indispensabile raccogliere briciole lungo la strada per raggiungere l’obiettivo, quello di scrivere bene, di essere chiari e interessanti al tempo stesso.
Queste briciole sono un po’ dovunque nelle letture che facciamo e occorre grande attenzione per trovare gli ingredienti giusti per una buona scrittura e per capire come assemblare il tutto nel modo più efficace.

Ognuno deve trovare la propria ricetta, ma studiare “i piatti cucinati dagli altri” quelli eccellenti, ma anche quelli mediocri aiuta: per imparare, per crescere, per sviluppare il proprio talento. Quindi, leggete e soprattutto, meditate su quello che leggete…

Punto di vista: anticamera della creatività

mani attorno agli occhi
Più leggo cose interessanti e mi imbatto in personaggi curiosi, più mi rendo conto che il punto di vista è fondamentale per creare una storia che funzioni.

Il punto di vista permette di dare omogeneità a una storia, consente di creare un microcosmo di persone e situazioni che si muovono come gli ingranaggi di un orologio: ognuno apportando il suo contributo unico e irripetibile affinché il meccanismo in toto possa svolgere il compito per cui è stato creato.

Personaggi relazionati tra loro si compensano dando vita a un equilibrio e spesso mettendo in moto la storia stessa.

Il lettore, immedesimandosi in uno di questi personaggi o nel narratore stesso, non fa che entrare in questo meccanismo che per funzionare necessita di un fruitore che valuterà gli eventi con gli occhi di chi ha scelto come suo interprete.

Il punto di vista è anche il punto di partenza.
Chi racconta la storia? C’è un narratore o è uno dei personaggi che si fa carico di metterci al corrente di quanto è accaduto?

La creatività può essere stimolata e introdotta da un punto di vista singolare.

Il punto di vista aiuta chi scrive, grazie a esso si può dare una certa struttura alla storia e ai personaggi e si imposta il tono di voce da assumere.
Il lettore verrà guidato e influenzato a seconda di chi racconta: una storia sarà molto diversa se a narrarla è un gatto o un oggetto inanimato oppure un uomo folle, cieco o sordo.

Il punto di vista scompone una storia come un prisma un raggio di luce: colori diversi a seconda di chi interpreta cosa.

Lezioni di creatività #4 Tutto inizia da un’idea!

Idea

Parlare di fumetti per ragionare di tecnica: l’importanza della documentazione.

Mettiamo che abbiate avuto un’idea. E che l’idea sia proprio forte, che ogni volta che tornate a soffermarvi su di lei si arricchisca di particolari nuovi, piuttosto appetibili… È il momento di cominciare a raccogliere materiale. Se i vostri personaggi si muovono sotto la città, guardatevi intorno con molta cura, se vi capita di usare la metropolitana.

Fate ricerche in Internet utilizzando come chiavi di ricerca frasi del tipo tunnel sotto la città o mappe fognarie, ma anche un generico cunicoli, bunker, sopravvivere al 2012. Non ricaverete soltanto informazioni di massima ma, soprattutto, la possibilità di nuovi spunti per la storia che ancora non sapete di possedere.

Questa non sarà una documentazione vera e propria (operazione che farete cercando informazioni molto più mirate) ma il primo nutrimento visivo dello spunto narrativo che dovete sviluppare. Segnatevi sempre le fonti particolarmente ricche, che vi hanno ben impressionato, nonostante, magari, non c’entrino nulla con l’argomento che avete intenzione di trattare: domani sarete felici d’averlo fatto.

PERSONAGGI, NEMICI E SPALLE.

Può darsi che vi sembri strano che io cominci a parlarvi di come si costruisce un personaggio, piuttosto che di come si assembla una storia. In realtà, non lo è. Lo sceneggiatore di fumetti ha solo due sbocchi: o i personaggi (quindi le storie) esistono già o ne crea lui ex-novo. Se l’idea è proporsi come autore/ sceneggiatore (non sempre si ricoprono entrambi i ruoli: nel caso di Diabolik, difficilmente il soggettista è anche sceneggiatore) di un fumetto seriale (l’esempio più diffuso lo abbiamo con i prodotti Sergio Bonelli Editore) la prima operazione da effettuare è studiare il personaggio.

Voglio sperare che a nessuno venga in mente di ripetere certe ignobili figure fatte anni addietro da sedicenti aspiranti sceneggiatori di fumetti che, alla domanda “Quali fumetti leggi?” ebbero il coraggio di rispondere che non ne leggevano perché non avevano tempo. Peggio ancora, qualcuno asseriva candidamente di “voler fare fumetti in attesa di qualcosa di più serio”. Vi risparmio tutta una serie di commenti che mi nascerebbero dal profondo del cuore.

Mettete in conto che, se volete lavorare con un prodotto seriale già esistente, dovrete vedervela con un editor o facente funzioni. Spesso è il responsabile della serie, qualche volta il suo braccio destro, ed è sempre e comunque una rogna (se non proprio una ca-rogna).

Difficilmente è un raccomandato incompetente, superficiale e fatuo, ma questo non migliora la vostra situazione (quella della casa editrice sì): vi scontrerete con un pezzo di granito, spesso altrettanto comunicativo, molto più predisposto a usare il bastone invece della carota. Spazziamo via qualunque ambiguità: LUI HA RAGIONE. Non perché siate in torto voi, ma perché l’editore ha deciso di lasciare a lui facoltà di scelta su autori e storie e su questo investe discrete somme ogni mese.

Nessuno mette in discussione che le idee di un esordiente possano davvero essere buone, deflagranti e innovative, ma difficilmente saranno prese in considerazione: quando ci si avvicina a un personaggio è consigliabile rimanere nei solchi della tradizione, inserendo al massimo un colpo di scena per storia.

Riceverete un sacco di rifiuti.

Anzi, a voler essere onesti i professionisti del settore affermano di aver ricevuto più rifiuti che risposte affermative. Ricordatevelo, quando sarete furiosi (o terribilmente infelici, a seconda di quella che è la predisposizione personale) perché vi avranno cestinato la storia perfetta. Prima riuscirete a dotarvi di una robusta crosta psicologica, meglio sarà; e questo non vi autorizza assolutamente a peccare in senso opposto, cioè a credere di essere sopra chiunque altro e che qualunque rifiuto sia dettato da invidia o manifesta incapacità.

Uno sceneggiatore famoso (rubacchiando un pensiero di Angelo Branduardi rivolto al mondo delle produzioni musicali) ha raccolto in una frase il difficile equilibrio interiore che ci dobbiamo sforzare di raggiungere quando ci esponiamo al giudizio professionale degli altri: “… per affermarsi nel mondo del fumetto è necessario possedere il 20% di talento. Il restante ottanta è questione di carattere, e non sono affatto convinto che ribaltando le proporzioni possiamo ottenere lo stesso risultato”.

In realtà, credo che il ragionamento sia applicabile a qualunque professione creativa; proprio perché si tratta di professioni. Nessuno obbliga uno scrittore a misurarsi col giudizio altrui, ma se si decide di uscire dalla dimensione diaristica o dalle protettive quattro mura della propria stanzetta la faccenda cambia.

Bisogna acquisire GLI STRUMENTI e, specie se ci avviciniamo a un prodotto già esistente come il fumetto seriale, dobbiamo smettere di essere fans e ragionare come autori.

Questo non significa che dovrete smettere di divertirvi.

Solo, se riuscirete a fare le cose per bene e avrete una carriola di fortuna, qualcuno vi pagherà per farlo. Adesso studiamo la costruzione di un personaggio.

Chi ha paura della pagina bianca?

typewriter macchina da scrivere

Leggendo un post su Van Gogh e il suo rapporto con la tela bianca ho ripensato a Mallarmé e alla sua pagina vuota.

Alla paura che si scatena quando ci si trova di fronte a un compito creativo e si teme di fallire, di non produrre niente di buono o di non riuscire proprio a produrre nulla.

Van Gogh scrive a suo fratello Theo in proposito.

Tu non sai quanto sia paralizzante fissare una tela vuota che dice al pittore: tu non puoi fare nulla.

Quindi, il pittore esorta a non avere paura di fare cose sbagliate, se si vuole essere attivi.

Mallarmé in modo non dissimile, lotta contro l’angoscia della pagina bianca: il foglio di carta che resta vuoto, difeso dal suo stesso candore.

O notti! Né il chiarore deserto del mio lume
Sulla pagina vuota che il candore difende
 (Stéphane Mallarmé).

Blocco dello scrittore, paura del foglio bianco: definizioni diverse per un unico dilemma.

Non ci sono ricette infallibili o formule magiche per superare l’impasse e uscirne vittoriosi, solo un costante lavoro ci consente di portare a termine con successo il compito che ci siamo prefissi.

Bisogna prepararsi bene.
Nel caso di chi scrive, leggere molto (un mantra che vi sarete stancati di sentire, ma che è sempre bene ripetere); scrivere con costanza quotidiana; riflettere; fare schemi, se necessario; lavorare sui personaggi, studiandoli fin nei minimi dettagli (immaginare con chiarezza come sono vestiti, quali sono le loro caratteristiche, i tic, la loro storia, osservarli muoversi); documentarsi a lungo per le ambientazioni, se non sono luoghi che si conoscono.

Questo lavoro faticoso dà sempre buoni risultati, inoltre, la mente, se stimolata nel modo corretto, continuerà a elaborare idee, tracce, soluzioni, anche quando saremo occupati a fare ben altro che scrivere: stirare, pulire, camminare, persino dormire.

E in un momento di relax, o durante il sonno arriveranno le idee migliori.

Nel mio caso si tratta di immagini, scene di partenza da cui di solito inizio a tessere una trama che si dipana sempre più chiara, a mano a mano che fisso su carta le idee.

Il lavoro dello scrittore non è semplice, a volte bisogna ragionare a lungo sui personaggi, spesso si resta impantanati in una situazione che sembra non avere una soluzione, ma ho riscontrato che la prima immagine che abbiamo di una trama è per lo più corretta e va difesa da successivi cambiamenti legati alle vicissitudini della storia.

È la scintilla che dà fuoco alle polveri e ci consente di vincere la resistenza della pagina bianca e di proseguire.

Un faro nel buio di una storia appena nata che ci guida a destinazione, tra mille peripezie, ma non bisogna avere paura di sbagliare, perché spesso i percorsi meno battuti sono i migliori o comunque ci aiutano a trovare quello giusto.

In molti casi, è necessario tornare indietro per riprendere il filo, cancellare, rivedere, affilare i nostri strumenti e ripartire con coraggio.

Scrivere è una sfida continua e non ci si può arrestare, perché, citando il titolo di un film di Totò e Peppino, chi si ferma è perduto.

Scrittura #3 Clara Sánchez: la descrizione ‘emozionale’ dei personaggi

Penna e taccuino

Minuzioso, ed ‘emozionale’ il modo di descrivere di Clara Sánchez.

Il personaggio di Verònica ci giunge attraverso gli occhi e le sensazioni dell’altra co-protagonista: Laura ed è un vero e proprio racconto, dal ritmo incalzante.

Una ridda di particolari che si susseguono come se chi osserva e definisce la ragazza sia colto dalla sua forte vitalità che s’impone alla vista e fluisce nelle parole usate per descriverla.

Era una di quelle persone che ti rimangono in testa anche se le guardi appena. Con alcune devi fare uno sforzo sovrumano per ricordarne il viso o il nome, e invece altre ti sembra di averle conosciute in un’altra vita più intensa. Non era quello che si dice una bella ragazza, e neanche brutta, ma tutto quello che aveva era molto forte: la brillantezza dello sguardo, la lucentezza dei capelli, la forma del naso, le guance, il rosa della bocca, l’ombra marcata delle occhiaie, le spalle, le mani, le cosce tese sotto i jeans, la voce roca come quella di una cantante nera. L’energia che sprigionava era così densa che si poteva vedere e toccare“. (tratto da: ‘Entra nella mia vita‘)

In un evolversi di elementi sempre più incalzanti: i capelli, il naso, le guance, la bocca, ecc. arriviamo alla frase conclusiva, dopo una corsa tra sostantivi e aggettivi accumulati a bella posta per farci sentire tutta la carica vitale di Verònica.
La Sánchez chiude il suo miniracconto con una frase che interrompe il flusso ritmico precedente e ci porta di colpo all’interiorità del personaggio, come se ogni elemento esteriore di questa ragazza scaturisca dalla sua anima e da essa sia modellato e reso palese a chiunque la osservi.

Sì anche a te che leggi le sue pagine, soprattutto a te…

Scrittura #2 La descrizione dei personaggi: Agatha tu mi stupisci

Agatha Christie

Un’autrice che descrive con grande rapidità e precisione è Agatha Christie.

I suoi personaggi sono un insieme di indizi.

Quadri in miniatura: suggeriscono ai lettori fisionomia e tratti caratteriali dei soggetti della storia.

A voler definire in una sola parola il signor Jesmond, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto, in lui, era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata e ben educata che raramente si alzava in toni che si staccassero da una piacevole monotonia, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e grave“.

La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto“.

I signori Baker […] ci stavano aspettando. Erano una coppia simpatica. Lui tutto rattrappito e con le guance rosse, come una mela raggrinzita, e sua moglie una donna di vaste proporzioni e con la calma della gente del Devonshire“.

Niente è superfluo nelle sue descrizioni.

Come nelle sue storie, dove ogni cosa va al suo posto e ogni particolare trova la giusta collocazione e una successiva spiegazione, anche i protagonisti dei suoi gialli vengono definiti con la stessa logica ed essenzialità.

I personaggi: gioie e dolori del mestiere di scrivere

mano che scrive

Ho terminato di scrivere il mio primo giallo e ho già iniziato a lavorare al secondo.

In questo momento sono in una fase di sedimentazione: mi sono immersa nelle ricerche e nella documentazione; adoro questa parte del lavoro, così come lo scrivere in scioltezza quando le idee sono chiare e hanno bisogno solo delle dieci dita per essere trasferite su “carta”.

Inoltre, mi sto concentrando sui personaggi.

Ho letto o sentito da qualche parte che sono loro a condurre il gioco, la storia, insomma.
Un tic, un accessorio dell’abbigliamento un po’ vistoso, una piccola mania o una passione inconfessata possono produrre significativi cambiamenti in una storia.

In un libro, a differenza di ciò che accade nella vita, si riesce a creare un mondo “controllato”, dove gli incastri sono dettati dalle piccole differenze o similitudini che si riescono a trasferire sulla pagina, ma a volte, anche in questo “recipiente”, sarebbe meglio dire bicchiere, possono avvenire delle “tempeste” non previste.