Emily Dickinson: tra semplicità ed elaborate metafore

Emily Dickinson tra semplicità ed elaborate metafore

L’opera poetica di Emily Dickinson intensa e intima colpisce per la semplicità, per la singolare lettura degli elementi naturali attraverso i quali la poetessa riflette sul senso profondo della vita.

Emily Dickinson nacque nel 1830 ad Amherst (Massachusetts – USA).
La sua famiglia non era benestante, ma i suoi familiari erano persone in vista nella comunità locale: ebbero un ruolo fondamentale nella vita culturale, sociale e politica statunitense.
Sfogliando lettere e documenti comprendiamo che entrambi i genitori della poetessa erano molto severi, calati nel forte senso religioso e nelle rigide tradizioni puritane propugnate dai primi coloni inglesi che vissero proprio nella zona in cui la poetessa nacque e poi crebbe.

A quanto pare, Emily non soffrì particolarmente del clima rigido in cui visse e già in giovane età è evidente che è brillante e molto intelligente.
I suoi studi iniziali si svolgono all’Accademia di Amherst, poi in una delle scuole più importanti del New England: la Mount Holyoke Female Seminary. Ben presto, però, la Dickinson decise di proseguire gli studi da autodidatta: non sopportava il fatto di dover professare pubblicamente la religione cristiana. Infatti, già in questo periodo, la giovane poetessa aveva una visione piuttosto scettica della religione.
Questo però non escludeva un forte interesse per la sfera spirituale e proprio dal contrasto tra dubbio e ricerca della “verità” nasce e si evolve la particolare intensità della sua attività poetica.

Quando la Dickinson inizia a scrivere siamo intorno al 1850 e in quel periodo, nel New England, si stava profilando un’intensa attività letteraria.
La poesia era un genere molto popolare, anche se in quegli anni, per le donne era difficile intraprendere qualsiasi tipo di professione.

Per quanto riguarda la sua vita, la poetessa statunitense, a un certo punto, iniziò a evitare i contatti sociali e si rinchiuse nella sua camera, arrivando al punto di non uscirne neppure in occasione della morte degli amatissimi genitori.
La Dickinson mantenne contatti con l’esterno, ma solo attraverso una fitta corrispondenza con amici selezionati. Era particolarmente interessata agli eventi storici e alle tendenze culturali più importanti del suo tempo.

Scrisse moltissimo, ma sono davvero poche le poesie uscite dalla sua penna pubblicate quando lei era ancora in vita.
Curiosamente, la poetessa scriveva le sue poesie su dei foglietti che ripiegava con cura e cuciva tra loro con ago e filo e infine, li riponeva in un cassetto della sua stanza. Dopo la sua morte, il 15 maggio 1886, i suoi scritti furono rinvenuti da sua sorella Vinnie.
Nonostante la sua vita priva di eventi, nelle sue poesie la Dickinson mostra un’intensa e toccante immaginazione.

Il periodo più produttivo per la poetessa è quello degli anni della guerra civile americana (1861-1865). Probabilmente, perché molti dei suoi amici e corrispondenti più cari erano lontani.
Le sue poesie non furono comprese e apprezzate dagli editori della sua epoca e solo nel XX secolo, i critici rivalutarono la sua opera e la poetessa fu stimata, insieme con Walt Whitman, come una delle fondatrici della poesia americana.

Le poesie della Dickinson hanno come temi centrali: l’immobilità, la solitudine e il silenzio, e gli spazi a cui fa riferimento nelle sue poesie sono sempre interiori, quelli dell’animo umano, indagati con grande profondità, per rilevare la distanza che esite tra mondo interiore e mondo esterno.

La prima raccolta “Poems by Emily Dickinson” (Poesie di Emily Dickinson), composta da centoquattordici poesie, fu stampata dopo la sua morte, nel 1890. Poi, nel 1891 fu pubblicato “Poems: Second Series”, e nel 1895 “Poems: Third Series”.

Lo stile poetico della Dickinson, originale e lontano dal gusto e dagli eventi del suo tempo, è stato chiaramente influenzato dalle sue variegate letture: William Shakespeare, John Milton, i poeti metafisici, Emily Brontë e altri scrittori suoi contemporanei, il trascendentalismo di Emerson e persino la tradizione puritana del New England.

Le sue poesie sono brevi, composte da quartine con schema metrico: abab oppure abcb.
La Dickinson impiega spesso rime imperfette, utilizzando assonanze e allitterazioni. La sua tecnica poetica così particolare è stata assimilata a quella di un altro grande poeta visionario, William Blake.

Il linguaggio usato dalla poetessa statunitense è apparentemente semplice, mentre la sintassi è insolita. La Dickinson utilizza la punteggiatura in modo del tutto personale. Ad esempio, impiega i trattini al posto dei punti e delle virgole. Fa notevole uso di lettere maiuscole per conferire importanza a specifiche parole. Inoltre, utilizza paradossi e metafore insolite. L’insieme di tutte queste singolarità rende il senso delle poesie della Dickinson ambiguo e di non facile interpretazione.

Uno dei temi ricorrenti nelle poesie della Dickinson sono diversi: la natura, rappresentata in tutte le sue manifestazioni; la morte; la vita dopo la morte; l’eternità e Dio; l’amicizia; l’amore.

Pur trattando temi semplici e quotidiani, la sua poesia è investita da un’intensità e da una potenza suggestiva, che traggono vigore dalla sua profonda sensibilità e lasciano nel lettore un segno indelebile.

In copertina: Emily Dickinson fra il 1846 e il 1847

“La lettrice” di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

"La lettrice" di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

“La lettrice” è un dipinto di Jean-Honoré Fragonard, risalente al 1776. Questo ritratto rappresenta una sorta di meditazione sulla bellezza e sugli effetti della lettura sull’animo femminile.

Jean-Honoré Fragonard (Grasse, 5 aprile 1732 – Parigi, 22 agosto 1806) è stato un pittore francese, un importante esponente del rococò e uno dei più importanti artisti francesi del Settecento.

Fragonard sapeva sfruttare al meglio le sue doti pittoriche. Faceva un uso particolare della luce e si avvaleva di una singolare rarefazione di specifiche parti, un valido artificio che gli consentiva di rappresentare con efficacia la leggerezza di alcuni elementi, come i panneggi o le bianche acconciature femminili.

Lavorò a Versailles fino alla rivoluzione, dopo la quale il suo stile fu rimpiazzato da quello neoclassico, caratterizzato da severità e tetraggine; l’opposto di quello di Fragonard che era assolutamente incapace di dipingere temi seri. Infatti, impossibilitato a gareggiare con i suoi pari aulici, aveva scelto di primeggiare tra i pittori di moda e i suoi dipinti più famosi raffigurano scene leggere e frivole, spesso erotiche.

Non disdegnò neppure i soggetti storici, i paesaggi e le opere di genere, ma la sua grande eleganza fu chiaramente impiegata nella pittura di carattere frivolo e malizioso.

Affascinato dalla bellezza femminile, Fragonard dipinse un nutrito gruppo di dipinti in cui sono raffigurate giovani donne in momenti di quieta solitudine.
Questi dipinti sono una specie di evocazione; le fanciulle che l’artista amava dipingere sono una sorta di personificazione della musica e della poesia.

Uno di questi dipinti “al femminile” è “La lettrice”. Nel quadro è raffigurata una ragazza con uno sgargiante vestito giallo; ha il capo inclinato ed è appoggiata a un grande cuscino rosa, piacevolmente assorta nella lettura di un libro che sorregge con delicatezza con la mano destra; l’altra mano è appoggiata a una poltrona.
Non sappiamo chi sia questa giovane concentrata a leggere, invece sappiamo, grazie ai raggi x, che sotto questo dipinto, l’artista aveva tracciato un disegno differente.
L’opera è datata 1776 ed è stata utilizzata in svariate edizioni del romanzo “Madame Bovary” di Gustave Flaubert.

Rispetto alle altre opere di Fragonard, questo dipinto è certamente più tranquillo. Si tratta di una scena di erudizione di una giovane donna e potrebbe essere definito un ritratto, anche se la donna non ci guarda. Da notare la postura delle mani e della schiena (molto dritta nonostante il grande cuscino) che denotano che la ragazza ha ricevuto un’educazione in materia di decoro ed etichetta.

La tecnica utilizzata da Fragonard è l’olio su tela. Notevole per la varietà dei tocchi, il dipinto è un buon esempio della pennellata rapida e vigorosa sviluppata dall’artista, e a volte definita “escrime” (scherma) dai suoi contemporanei.

Fragonard ha concepito questo dipinto, affinché fosse gradito agli occhi di chiunque, evitando gli interessi intellettuali e con l’intento di arrecare gioia e calore allo spettatore che l’artista coinvolge, inducendolo a porsi delle domande sulle conseguenze della lettura nel pensiero e nelle emozioni della fanciulla ritratta.
In questo modo, “La lettrice” diventa una meditazione sulla bellezza, ma anche sulle implicazioni della lettura nell’animo femminile.

Attualmente, “La lettrice” è conservata alla National Gallery of Art di Washington. Fu donata al museo nel 1961, dalla signora Mellon Bruce, in memoria di suo padre, Andrew W. Mellon. In precedenza, era appartenuta al dottor Tuffier.

In copertina: “La lettrice”, olio su tela (dimensioni 81,1×64,8 cm) di Jean-Honoré Fragonard, conservato alla National Gallery of Art, Washington

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

Renoir è uno dei tanti artisti che ha raffigurato soggetti immersi nella nobile arte della lettura.
Nei suoi quadri, a leggere sono sia uomini sia donne, ma anche molti bambini e adolescenti, tutti accomunati dalla stessa “devota” concentrazione.
Una di queste attente figure è “La liseuse”, dipinta tra il 1875 e il 1876, in pieno periodo impressionista.

Il pittore Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919) è ritenuto uno tra i massimi esponenti dell’Impressionismo e uno degli interpreti più spontanei di questo particolare movimento.

L’artista francese ha lasciato una messe davvero nutrita di opere: ben cinquemila tele e un numero altrettanto elevato tra disegni e acquerelli. Si è anche distinto per la sua poliedricità, attraversando nella sua carriera artistica diversi periodi.

In un suo scritto disse che “l’opera d’arte deve afferrarti, avvolgerti, trasportarti”. Secondo me, queste parole, calzano perfettamente anche per l’arte della lettura.
In uno dei tanti soggetti che Renoir ha raffigurato intento a leggere, possiamo ravvisare quel rapimento che l’artista ritiene si debba provare davanti a un’opera d’arte. Sto parlando del dipinto “La liseuse” (La lettrice) realizzato tra il 1875 e il 1876.

Nel dipinto, come afferma il titolo stesso, è raffigurata una donna immersa nella lettura di un libro.
A fare da modella a Renoir fu Marguerite Legrand, detta Margot, una giovane graziosa di Montmartre che morì di febbre tifoidea nel febbraio del 1879.
L’artista, che rimase molto colpito dalla sua morte, di lei disse che “aveva una pelle che rifletteva la luce”, e in questo ritratto, in effetti, il pittore è riuscito a mettere in risalto l’incarnato della sua amica, grazie alla nuova tecnica pittorica impressionista.

Realizzata in studio, l’opera è caratterizzata da una freschezza e da una spontaneità del tratto tipica dei dipinti eseguiti di getto, en plein air.

Nel quadro sono presenti pochissimi dettagli e un solo oggetto: un libro; perché Renoir intendeva concentrare l’attenzione dello spettatore sull’intensità della lettura.
Lo sfondo è accennato, in quanto deve solo trasmettere l’idea della profondità, senza definire un ambiente preciso, mentre i colori, chiari e luminosi, sembrano ravvicinare il viso della giovane all’osservatore.
Inoltre, per accrescere la luminosità cromatica della tela, Renoir accosta larghe e disordinate pennellate di colore, seguendo la tecnica impressionista.

L’artista ha anche fissato sulla tela dei punti di colore, quali: le labbra di un rosso brillante, lo jabot rosa che la ragazza indossa come ornamento sopra una blusa scura.
Gli occhi della lettrice sono rivolti verso il basso: due semplici ed essenziali linee nere.
L’espressione del viso è serena e trasmette a chi guarda la concentrazione della “Liseuse”, nonché il piacere della lettura che la ragazza, con il libro aperto davanti a sé, sta provando.

Renoir insiste sui colori, non traccia un contorno; utilizza il chiaroscuro per ravvivare il volto della ragazza, mentre le tonalità sono alterate da effetti di luce. Per l’incarnato, l’artista ha aggiunto dei violenti tocchi di giallo, sicuramente ispirati dall’ambientazione – probabilmente l’interno del Caffè Guerbois o del Café de la Nouvelle Athènes, luoghi tra i più frequentati dagli Impressionisti – cioè dalle tonalità dorate della luce artificiale a gas.

In questo dipinto, la luce gioca con il soggetto e i suoi riflessi creano dei richiami in vari punti della tela. Il pittore voleva dare la sensazione di un sole accecante che accende a tratti i capelli rossi della ragazza, illumina le pagine del libro aperto e poi si riflette dalla carta bianca sul viso della giovane.

Renoir ha applicato pennellate rapide, studiando con cura l’abbinamento di toni caldi e freddi, ad esempio: il rossore sfumato del volto di Margot si bilancia perfettamente con la zona blu-verde sul lato destro del dipinto.
Inoltre, le zone caratterizzate da colori freddi contrastano con i colori caldi riservati in particolare al volto e ai capelli del soggetto, e persino con i contorni della cornice della finestra che si profilano dietro la testa della ragazza.
Un tocco di luce compare leggero su una spalla e dona un accenno di volume alla figura.

In questo dipinto il disegno non detiene un ruolo speciale perché il soggetto è modellato dal colore.
I contorni sono labili e incerti. Successivamente, le opere di Renoir cambieranno registro riguardo all’importanza del disegno. Ma in questa fase, esso ha un ruolo subordinato, al contrario della tendenza della pittura accademica di quegli anni in cui occupava un posto preminente.

Gustave Caillebotte (1848 – 1894; pittore francese) acquistò “La liseuse” nel 1876; nel 1893, il dipinto entrò nelle collezioni statali francesi e successivamente, fu esposto al museo parigino du Luxembourg e al Louvre. Ora, si trova al museo d’Orsay.

In copertina: “La liseuse” (La lettrice) di Auguste Renoir, olio su tela, 47×38 cm (1876) conservato al Museée d’Orsay, Parigi

Albert Anker: quando la lettura diventa arte

Albert Anker: quando la lettura diventa arte

Il pittore svizzero Anker ha realizzato molti dipinti che raffigurano lettori e lettrici, mostrando quanto fosse importante la lettura nell’Ottocento e rimarcandone la diffusione, e il ruolo da protagonista da essa assunto nella vita delle persone.

Albert Samuel Anker (1° aprile 1831 a Ins, Canton Berna, Svizzera – 16 luglio 1910 ibid), pittore e grafico, è famoso per aver ritratto scene di vita quotidiana con grande vivacità.
Dipinse anche paesaggi rurali, ritratti di bambini, nature morte, scene con personaggi religiosi e storici.
L’artista ha anche dedicato numerose opere al tema della lettura e al piacere di leggere.
Del resto, Anker era un uomo colto, che scriveva e leggeva in ben sei lingue.

Passando in rassegna i libri della sua biblioteca, conservati nella casa museo di Ins e prendendo in esame la sua corrispondenza, scopriamo che il pittore, oltre alle opere teologiche e filosofiche, leggeva anche gli autori greci e latini in originale, e la Bibbia in ebraico.
Non disdegnava neppure la storia, il genere biografico, le descrizioni di viaggi, la storia naturale e quella dell’arte. Tra i suoi scaffali c’era spazio anche per la letteratura francese, come Honoré de Balzac (1799 – 1850) ed Émile Zola (1840 – 1902), e per tutte le opere dello scrittore svizzero Albert Bitzius (pseudonimo di Jeremias Gotthelf, 1797 – 1854).

Oltre ai libri, Anker leggeva anche i giornali. Le sue testate preferite erano “Suisse libérale” e “Berner Volkszeitung”.
I quotidiani gli consentivano di assorbire il gusto e lo spirito dei suoi tempi, di aggiornarsi sui fatti del mondo e di sondare le problematiche sociali che lo interessavano in particolar modo.

I suoi dipinti rispecchiano le sue tendenze e quelle della società in cui viveva: in molti ritratti compaiono uomini, soprattutto contadini di Ins, che leggono giornali. Infatti, a partire dalla metà dell’Ottocento, in Svizzera, c’era una notevole diffusione di periodici, anche nel ceto popolare.

Nel 1860, esistevano ben 298 testate tra giornali e riviste, che dimostravano la volontà del ceto contadino di emanciparsi sia a livello culturale sia a livello politico.
Nei suoi quadri Anker afferma anche il suo orientamento politico, mettendo in mano ai suoi contadini il “Seeländer Bote”, un giornale di ispirazione liberale e conservatrice.

A leggere però non sono solo gli uomini, in molte opere del pittore svizzero, infatti, sono raffigurate giovani donne che si dedicano con fervore alla lettura.
Arken con i suoi dipinti ha immortalato i cambiamenti sociali in atto ai suoi tempi. Se nel Settecento e nel primo Ottocento la lettura era stata un mezzo per istruire le ragazze della borghesia, ora questa tendenza si estende alle donne del ceto popolare.

L’artista però, non ha raffigurato donne intente a leggere giornali: la politica era ancora un affare da uomini. Alle donne erano destinate letture come la Bibbia, la storia della Svizzera, i romanzi di Gotthelf, biografie, poesie, novelle.
All’epoca, procurarsi libri per letture individuali era semplice: c’erano molte biblioteche popolari un po’ ovunque nel Cantone di Berna. Nel 1866 erano attive ben 173 “Jugend- und Volks-bibliotheken” (biblioteche per la gioventù e per il popolo)

Oltre a uomini e donne, Anker ha raffigurato anche bambini e adolescenti, fissati sulla tela mentre ad esempio leggono ad alta voce a qualcuno.
I soggetti ritratti hanno atteggiamenti attenti e sono particolarmente concentrati nel loro compito; ad ascoltarli ci sono compagni, fratellini più piccoli, genitori che stanno svolgendo lavori domestici oppure vecchi nonni.

Nell’Ottocento, nel Cantone di Berna gran parte della popolazione sa leggere. E il gesto di qualcuno che legge per altri indica non solo l’intimità e la complicità che la lettura è in grado di creare tra le persone, ma anche il valore che riveste tale attività per la scuola bernese.
Inoltre, i dipinti che raffigurano soggetti che leggono ad alta voce mostrano un metodo di insegnamento che mirava a far apprendere giusto tono e ritmo, e ad esprimere le emozioni, affinché gli ascoltatori fossero affascinati e conquistati, e mantenessero desta la loro attenzione.

Arken era un intellettuale a trecentosessanta gradi e la sua pittura mostra tutta la ricchezza della sua conoscenza.
Nell’esplorare la lettura e il mondo dei libri, l’artista ha assunto anche il ruolo di illustratore: nel 1890, ha realizzato duecento disegni per i nove volumi di opere scelte di Gotthelf.

Il pittore svizzero nei suoi dipinti ha riassunto la funzione della lettura, passando attraverso varie generazioni e includendo una larga tipologia di supporti: dal libro al giornale, dal documento alla lettera.
Ha raffigurato vari tipi umani: scolari; ragazze intente a pettinarsi o a lavorare a maglia che intanto leggono; bambini che osservano incuriositi dei fogli stampati; segretari comunali che confrontano documenti ufficiali; anziani che leggono la Bibbia o il giornale.

Dalla Bibbia ai romanzi, dall’apprendimento al consumo, la lettura è analizzata in tutte le sue forme; valutata per gli umori e le differenti reazioni che suscita. Inoltre, il pittore rappresenta i suoi lettori in varie ambientazioni: en plein air; seduti in poltrona; a letto durante una convalescenza.

Inoltre, ci sono momenti e momenti. C’è la lettura domenicale della Bibbia con la famiglia o la lettura delle missive di coloro che sono in guerra; c’è la lettura del giornale che tiene aggiornati sulle questioni del mondo oppure la lettura d’evasione, tipicamente femminile.

In pratica, i dipinti di Arken mostrano in un’efficace carrellata le varie declinazioni dell’affascinante mondo della lettura, dei lettori e del leggere in generale, evidenziando come questa attività nell’Ottocento accompagnasse in sordina ogni istante della vita delle persone.

In copertina: Albert Anker, particolare del dipinto “Eine Gotthelf-Leserin” (una lettrice di Gotthelf) – olio su tela 59 × 42 cm1884

Vincent van Gogh: l’artista post-impressionista che amava i girasoli

Vincent van Gogh artista post-impressionista che amava i girasoli

Van Gogh ha dipinto paesaggi, ritratti e nature morte, ma tra i soggetti più amati dall’artista olandese ricordiamo i suoi girasoli dei quali ci resta una nutrita serie.

Il 21 giugno 2022, cade il solstizio d’estate e pensando a questa stagione, mi viene in mente per celebrarla un fiore che da solo può rappresentare questo periodo particolare dell’anno: il girasole e al contempo, penso a un artista che amò moltissimo questi singolari fiori, Vincent van Gogh, tanto da produrre, tra il 1888 e il 1889, una serie di dipinti a olio dedicata proprio ai girasoli. Inoltre, tra le sue opere, questo soggetto è uno dei più conosciuti dal grande pubblico.
L’artista cominciò a dipingerli recisi già nel 1887, a Parigi, in effetti, però, la produzione di questo particolare soggetto, ha inizio ad Arles, nel 1888.
L’artista arrivò nella cittadina francese in febbraio; ispirato dal luogo del quale si innamorò subito, pensò di invitare il suo amico, Paul Gauguin (1848 – 1903), per proporgli di creare un gruppo di artisti che loro due avrebbero guidato.

Di questo periodo particolarmente felice della vita del pittore sono i “Girasoli in vaso”. Van Gogh li dipinse durante l’estate ed erano destinati a decorare la stanza del suo ospite.
In una lettera indirizzata al fratello, Theo, l’artista sembra essere nel pieno di una fase creativa: “Ci sto lavorando ogni mattina, dall’alba in avanti, in quanto i fiori si avvizziscono così rapidamente”.

Van Gogh progettava di realizzare dodici tele. I primi quattro dipinti si suppone siano stati: “il Vaso con dodici girasoli”; “il Vaso con quindici girasoli”; “il Vaso con cinque girasoli”; “il Vaso con tre girasoli”.
Il suo amico, Paul Gauguin, arrivò ad Arles, nel mese di ottobre, ma non condivise il suo entusiasmo per la cittadina.
Questo periodo, particolarmente prolifico per il pittore che realizzò molti dipinti, fu invece molto difficile a livello personale: i litigi con Gauguin erano all’ordine del giorno, così come gli atti violenti da parte di Van Gogh. Alla fine, i due si separano burrascosamente nel mese di dicembre; all’epoca, l’artista olandese era in preda a un esaurimento, mentre il suo amico era in procinto di partire per Tahiti.

A dicembre, Van Gogh sta ancora dipingendo tele con girasoli – ne è riprova il dipinto di Gauguin che lo ha raffigurato mentre era all’opera – ma ormai, considerata la stagione, non potava più osservare i fiori dal vero. Forse, in quei giorni, l’artista si avvaleva dei suoi stessi dipinti come modello e li ricopiava facendo poche variazioni.

Gli studiosi stanno ancora valutando il periodo in cui il pittore realizzò le varie repliche della serie di girasoli. Al periodo in cui l’artista soggiornò ad Arles, sono stati attribuiti un numero esagerato di opere, questo, però, è chiaramente in contrasto con il periodo particolarmente difficile che stava vivendo a livello personale.

Van Gogh aveva delle preferenze numeriche per quanto riguarda il soggetto dei girasoli. Per la maggior parte sono 14 o 15. Questi numeri avevano per lui un significato particolare, e lo veniamo a sapere grazie a una lettera indirizzata al fratello. Il 14 era la somma dei 12 apostoli più due figure significative nella vita del pittore e cioè, Theo, suo fratello, e Paul Gauguin; il 15, invece, oltre ai già menzionati, comprendeva l’artista stesso.

Attualmente, i dipinti che raffigurano i girasoli non sono più conservati insieme in uno stesso luogo, ma dispersi in tanti musei diversi o in mano a privati. Un vero peccato: l’effetto della serie al completo doveva essere davvero magnifica.

Nei suoi dipinti, Van Gogh raffigura i girasoli in tutte le fasi della loro esistenza: dal bocciolo all’appassimento.
Nelle lettere indirizzate a Theo, l’artista parla con grande gioia e ottimismo dei suoi girasoli.
Nei primi dipinti, utilizza uno sfondo tra il blu e il violetto, per aumentare il contrasto tra il giallo del soggetto e il fondo su cui esso deve stagliarsi, in ciò si rifaceva alle tendenze degli artisti trasgressivi parigini.
Successivamente, Van Gogh scelse di mettere i girasoli in un vaso giallo e per il fondo usò una tonalità dello stesso colore. Questa soluzione gli sembrò migliore, perché così il dipinto irradiava luce e allegria.

Per l’artista il colore dei soggetti non doveva rispondere alla realtà, ma era un mezzo per esprimere le emozioni.
Le pennellate di Van Gogh sono dense e ruvide; spesso i tratti di pennello si sovrappongono, il pittore tracciava i successivi passaggi quando ancora il colore non era ben asciutto. A volte, scalfiva addirittura con il manico del pennello la vernice fresca.
Il colore era modellato, quasi fosse una scultura e lo spessore garantiva effetti di ombra e luce, al posto di quelli che si sarebbero potuti ottenere modificando il tono del pigmento.
Per i girasoli, Van Gogh fece un uso notevole del giallo cadmio che lui amava particolarmente e che per l’epoca rappresentava una novità: era un pigmento inventato di recente.

Nella serie dei girasoli in vaso, Van Gogh ha dato vita anche a un forte contrasto: sfondo e vaso sono piatti, mentre i fiori paiono contorcersi in tutte le direzioni.
La sua firma compare quasi sempre sul vaso e seguendo l’usanza dei grandi artisti del passato usa solo il nome di battesimo.

In copertina: Paul Gauguin, particolare del dipinto “Van Gogh che dipinge i girasoli” (1888) – Van Gogh Museum

Cardarelli: il poeta che conciliò passione e compostezza formale

Cardarelli il poeta che conciliò passione e compostezza formale

Cardarelli ha espresso nei suoi versi le emozioni create dal passare del tempo, dall’avvicendarsi delle stagioni, dal trascorrere dei giorni e delle ore. Due delle sue poesie più famose sono dedicate a Venezia, qui i versi che descrivono la città si fondono con le emozioni del poeta.

Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia, 1° maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959), il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano.
A Corneto Tarquinia, Vincenzo trascorse l’infanzia e l’adolescenza. Due periodi della sua vita particolarmente duri, segnati dall’assenza della madre, che lasciò la famiglia quando il poeta era ancora piccolo, dalla solitudine e da problemi di salute.

Cardarelli compì studi irregolari e per la maggior parte, come autodidatta.
A diciassette anni scappò di casa e si recò a Roma, per mantenersi si dedicò ai più svariati mestieri, poi nel 1909, intraprese la carriera giornalistica, iniziando a collaborare con vari quotidiani e riviste.
Nel 1916, diede alle stampe la sua prima raccolta di poesie, “Prologhi”. Da quel momento, l’attività giornalistica si intrecciò con quella poetica.

Vincenzo Cardarelli è famoso per le numerose raccolte poetiche, ma anche per le prose autobiografiche di costume e di viaggio: “Prologhi” (1916), “Viaggi nel tempo” (1920), “Favole e memorie” (1925), “Il sole a picco” (1929), “Il cielo sulle città” (1939), “Lettere non spedite” (1946), “Villa Tarantola” (1948).
I suoi punti di riferimento letterari furono: Charles Baudelaire (1821-1867), Friedrich Nietzsche (1844-1900), Giacomo Leopardi (1798-1837), Blaise Pascal (1623-1662). Grazie a loro riuscì a dare forma alle proprie passioni incastonandole in una cornice razionale.
La sua poesia era essenzialmente descrittiva, connessa ai ricordi: di paesaggi, di animali, di persone e di stati d’animo. Il poeta utilizzava un linguaggio discorsivo ma al contempo, passionale e profondo.

La vita di Cardarelli fu essenzialmente un’esistenza isolata; per similitudini poetiche, caratteriali e anche per problemi di salute (soffriva del morbo di Pott, una forma di tubercolosi extrapolmonare) fu accostato a Leopardi.
Morì a Roma, il 18 giugno 1959, e il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca, come da lui specificatamente richiesto nel testamento.

La sua opera poetica si colloca tra l’avanguardia del primo decennio del Novecento e la restaurazione classicista degli anni venti. Dello spirito avanguardistico restò sempre un’eco nella poesia di Cardarelli, anche quando formalmente se ne distaccò. Nelle poesie più vicine a quella corrente il poeta aderiva a particolari scelte espressive, come frammentismo ed espressionismo linguistico, e utilizzava argomenti, quali lo sradicamento, la perdita di identità, l’adolescenza, il viaggio.
Il ritorno all’ordine, dopo le pulsioni avanguardiste, si verificò intorno agli anni Venti e fu la conseguenza di un’incertezza psicologica, causata dalla crisi della funzione sociale dell’intellettuale. Questo clima restaurativo fu accolto con entusiasmo da Cardarelli che reputò tale ritorno al passato e alla tradizione, come un’occasione per rilanciare l’identità del letterato e dell’intellettuale.

I versi di Cardarelli manifestano una grande chiarezza logica e limpidezza linguistica; lo stile è elegante e rigoroso. Il poeta nelle sue liriche ha sempre aspirato alla compostezza, a un tono colloquiale e a un atteggiamento distaccato, muovendosi sempre tra due poli contrastanti, quello dell’impulso trasgressivo e quello del desiderio di autocontrollo. Tra i due estremi, solitamente, prevaleva la moderazione che sfociava in un garbo formale.

Nelle poesie di Cardarelli, i temi ricorrenti sono il trascorrere delle stagioni, i ricordi dell’infanzia e dei paesaggi collegati a quel periodo. Il poeta esplorava allo stesso modo la vitalità estiva e il disfacimento malinconico dell’autunno. Per lui, il passare del tempo era l’emblema delle vicissitudini della vita.

Tra le due Guerre mondiali, Cardarelli visse tra Toscana, Lombardia e Veneto. Il Veneto sembra aver dato le ali alla sua ispirazione, specialmente la città di Venezia alla quale il poeta ha dedicato due tra le sue poesie più note.

La prima poesia sulla città veneta è: “Settembre a Venezia” che compare per la prima volta nella raccolta “Poesie”, del 1936.
Il poeta raffigura la città lagunare durante un crepuscolo di settembre; gli ultimi raggi del sole fanno brillare gli ori dei mosaici di San Marco, mentre la luna sorge sulle Procuratie vecchie.
Il componimento poetico è diviso in due parti. Nella prima, il poeta descrive gli effetti del tramonto sulla città; nella seconda, riflette sulle impressioni che susciterà in lui il ricordo, quando le immagini davanti ai suoi occhi si saranno sedimentate, diventando finalmente sue.
I versi di questa lirica sono liberi, ci sono soltanto due casi di rima (vv.8 e 11; 20 e 22), mentre ci sono allitterazioni e rispondenze interne.

Settembre a Venezia

Già di settembre imbrunano
a Venezia i crepuscoli precoci
e di gramaglie vestono le pietre.
Dardeggia il sole l’ultimo suo raggio
sugli ori dei mosaici ed accende
fuochi di paglia, effimera bellezza.
E cheta, dietro le Procuratìe,
sorge intanto la luna.
Luci festive ed argentate ridono,
van discorrendo trepide e lontane
nell’aria fredda e bruna.
Io le guardo ammaliato.
Forse più tardi mi ricorderò
di queste grandi sere
che son leste a venire,
e più belle, più vive le lor luci,
che ora un po’ mi disperano
(sempre da me così fuori e distanti!)
torneranno a brillare
nella mia fantasia.
E sarà vera e calma
felicità la mia.

L’altra poesia dedicata da Cardarelli alla città lagunare è: “Autunno veneziano”. Fu pubblicata nel 1942, nella raccolta “Poesie”. In questi versi, il poeta illustra un autunno fatto di morte e di disfacimento, privo di suoni e velato di una malinconia venefica.

Autunno veneziano

L’alito freddo e umido m’assale
di Venezia autunnale,
Adesso che l’estate,
sudaticcia e sciroccosa,
d’incanto se n’è andata,
una rigida luna settembrina
risplende, piena di funesti presagi,
sulla città d’acque e di pietre
che rivela il suo volto di medusa
contagiosa e malefica.
Morto è il silenzio dei canali fetidi,
sotto la luna acquosa,
in ciascuno dei quali
par che dorma il cadavere d’Ofelia:
tombe sparse di fiori
marci e d’altre immondizie vegetali,
dove passa sciacquando

il fantasma del gondoliere.
O notti veneziane,
senza canto di galli,
senza voci di fontane,
tetre notti lagunari
cui nessun tenero bisbiglio anima,
case torve, gelose,
a picco sui canali,
dormenti senza respiro,
io v’ho sul cuore adesso più che mai.
Qui non i venti impetuosi e funebri
del settembre montanino,
non odor di vendemmia, non lavacri
di piogge lacrimose,
non fragore di foglie che cadono.
Un ciuffo d’erba che ingiallisce e muore
su un davanzale

è tutto l’autunno veneziano.

Così a Venezia le stagioni delirano.

Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
non son che luci smarrite,
luci che sognano la buona terra
odorosa e fruttifera.
Solo il naufragio invernale conviene
a questa città che non vive,
che non fiorisce,
se non quale una nave in fondo al mare.

Venezia ha avuto un’eco nella vita e nella produzione poetica di Cardarelli. Mentre risiedeva nella città veneta, il poeta diede corpo al suo fascino, attraverso versi dotati di sensibilità ed eleganza. Le sue parole la raffigurano sospesa in un magico equilibrio tra decadenza e antichi splendori bizantini.
Il punto di partenza di Cardarelli, anche nel caso delle due liriche dedicate a Venezia, è lo stesso che ricorre in tutta la sua poetica: una stagione, un ricordo, un’emozione.