“I tre moschettieri” di Dumas: “tutti per uno, uno per tutti”

I tre moschettieri di Dumas tutti per uno uno per tutti

“I tre moschettieri” è un’opera di Alexandre Dumas padre, che narra con “grande brio e spigliatezza” le avventure dell’esercito personale del re Luigi XIII, tra intrighi di palazzo e duelli mozzafiato.

Voi approvate ciò che D’Artagnan ha fatto?” “Perbacco se lo approvo” disse Athos “non solo approvo ciò che ha fatto, ma me ne congratulo con lui.” “E ora, signori” concluse D’Artagnan senza perder tempo a spiegare a Porthos il suo modo di agire “tutti per uno e uno per tutti, è questa la nostra divisa, non è vero?” “Però…” disse Porthos. “Stendi la mano e giura!” gridarono insieme Athos e Aramis. Vinto dall’esempio, ma brontolando piano, Porthos stese la mano, e i quattro amici ripeterono ad una voce la formula dettata da D’Artagnan: “Tutti per uno, uno per tutti”. (Alexandre Dumas)

Tutti per uno, uno per tutti”, un motto che ci rimanda istantaneamente alle impavide figure di tre soldati (più uno aggiunto), pronti a sguainare la spada quando la necessità lo richiede.
“I tre moschettieri” (Les trois mousquetaires) è un romanzo d’appendice di Alexandre Dumas padre (Villers-Cotterêts, 24 luglio 1802 – Neuville-lès-Dieppe, 5 dicembre 1870) e di Auguste Maquet (1813-1888; collaboratore di Dumas che lo aiutò a realizzare la prima stesura e fece le ricerche storiche sull’argomento). Come tutti i romanzi di questo genere, fu inizialmente pubblicato a puntate, nel 1844, sul giornale “Le Siècle”.

È uno dei romanzi più celebri e tradotti della letteratura francese ed è il primo di una trilogia. Gli altri due volumi sono: “Vent’anni dopo” (1845) e “Il visconte di Bragelonne” (1850).
Dumas ha ricavato il soggetto dalle “Memorie di D’Artagnan” (1700), ispirato alla vita del conte D’Artagnan, opera del romanziere francese Gatien de Courtilz de Sandras (1644 – 1712) che, nel 1688, dopo 18 anni nella compagnia dei Moschettieri, lasciò l’esercito francese e si trasferì nei Paesi Bassi, dove si dedicò unicamente alla scrittura.

I moschettieri di Dumas fanno riferimento alla compagnia militare di gentiluomini fondata nel 1622 dal re Luigi XIII (Luigi XIII di Borbone, detto il Giusto, 1601 – 1643) come suo esercito personale, cioè i “Moschettieri della Guardia”.
Essi prendevano il nome dal moschetto, il tipo di fucile che avevano in dotazione. Si trattava di un’arma piuttosto pesante e perciò ognuno di loro aveva un servitore che lo aiutava a trasportarla.
I moschettieri ebbero un ruolo fondamentale nei primi eserciti moderni, specie in Europa. In genere, servivano a piedi come fanteria, ma in certi casi anche a cavallo. Scomparvero quando furono adottati dei fucili più moderni. In Francia, questa figura compare e perdura tra Cinquecento e Ottocento.

Nel libro, la compagnia dei moschettieri si contrappone alle guardie del cardinale Richelieu (Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, 1585 – 1642; cardinale, politico e vescovo cattolico francese; nominato primo ministro dal re Luigi XIII di Francia) e spesso i due gruppi si scontrano in duelli illegali.
Dumas utilizza per i suoi coraggiosi soldati dei soprannomi: Athos, Porthos e Aramis, cui si aggiungerà il quarto moschettiere, nonché protagonista del romanzo, D’Artagnan. Le loro vere identità, invece, sono rivelate solo in parte.

La vicenda raccontata da Dumas, ruota in gran parte attorno al quarto moschettiere, un giovane tra i 18 e i 20 anni, abile con la spada e molto coraggioso.
D’Artagnan ha un servo, Planchet di umili origini, coraggioso e molto legato al suo padrone.
In generale, il ruolo dei servitori in questo libro è molto importante. Sono spesso tirati in ballo e molte delle imprese dei loro padroni andranno a segno grazie al loro provvidenziale intervento.

Passando ad Athos (Olivier de Bragelonne de La Fère) scopriamo che è un uomo di animo nobile e distinto. È il moschettiere che D’Artagnan ammira di più. Tra i quattro è quasi sicuramente il più viziato, ma è anche il più intelligente, nonché un abile conoscitore della scherma e dell’arte del cavalcare.
Prima di entrare tra le guardie del re, Athos aveva sposato una giovane che si rivelò marchiata a fuoco con un giglio sulla spalla, segno che era stata condannata a morte. Successivamente, scopriremo che è la seducente e pericolosa Milady.
Il servo di Athos è Grimaud che parla poco e gesticola molto; affezionato al suo padrone, lo ammira in particolare per la sua intelligenza.

Aramis (Aramis d’Herblay) è un uomo distinto e delicato, sembra a vederlo e anche per come si comporta un uomo di chiesa mancato. Gli studi ecclesiastici che ha compiuto emergono dalla conoscenza che l’uomo ha delle arti, di filosofia e della lingua latina; spesso compone poesie. Successivamente, Aramis diventerà abate d’Herblay. Il personaggio di Dumas si ispira vagamente alla figura storica del moschettiere Henri d’Aramitz.
Bazin è il servo di Aramis; perfetto per un padrone che vestirà poi gli abiti ecclesiastici. Dolce e pacifico, nonché profondamente devoto al suo padrone, veste sempre di nero, come ci si aspetterebbe dal servo di un uomo di chiesa.

L’ultimo del gruppo è Porthos (Porthos du Vallon) il più “sanguigno” della compagnia e quello che tiene maggiormente al suo onore. Un po’ fanfarone, ama darsi delle arie e possiede un carattere vanitoso. Spesso gioca ai dadi e scommette qualsiasi cosa. La sua amante, la signora Coquenard, vecchia moglie di un procuratore, in varie occasioni lo aiuterà finanziariamente. Anche lui come gli altri usa un nome “di battaglia” invece del suo nome autentico: du Bracieux.
Il servo di Porthos è Mousqueton, un normanno, il cui vero nome è Boniface che si veste sempre in modo molto elegante e presta servizio al suo padrone senza molte pretese.

Altri personaggi del romanzo sono: Constance Bonacieux, guardarobiera e confidente della regina; Monsieur Bonacieux, merciaio, marito di Constance e padrone di casa di D’Artagnan; Monsieur de Tréville, comandante dei moschettieri; Milady de Winter, moglie di Athos e spia del Cardinale Richelieu; Lord de Winter, cognato di Milady; l’uomo di Meung (Conte di Rochefort, scudiero del Cardinale Richelieu) cui D’Artagnan dà la caccia; D’Artagnan padre; Ketty, serva di Milady; il Conte di Wardes, l’uomo di cui Milady è innamorata.

I tre moschettieri includono, oltre a personaggi fittizi, anche personaggi storici, come: il Cardinale Richelieu; Anna d’Austria; Luigi XIII; il Duca di Buckingham; John Felton (1595 – 1628), puritano irlandese, assassino del Duca di Buckingham, perché Dumas nel suo romanzo mescola realtà storica e finzione.

Lo stesso protagonista del romanzo, D’Artagnan, è ispirato a Charles de Batz de Castelmore d’Artagnan, realmente esistito e nato tra il 1611 e il 1615 a Lupiac in Guascogna.
L’originale del personaggio di Dumas entrò nel corpo dei Moschettieri nel 1644 e fece una straordinaria carriera militare, tanto da ricevere dal Cardinale Mazarino il titolo di “Capitano e custode degli uccelli della voliera delle Tuileries”.
Morì in battaglia a Maastricht, nel 1673. La sua morte è narrata da Dumas ne “Il visconte di Bragelonne”.
A differenza di D’Artagnan, gli altri tre moschettieri hanno in comune con i personaggi fittizi poco più del nome e sono: Armand de Sillegue d’Athos d’Auteville (Athos), Isaac de Portau (Porthos) e Henri d’Aramitz (Aramis).

Il romanzo di Dumas ha ottenuto un notevole successo letterario e ha ispirato diversi film, fumetti e serie tv e non si può dire che si tratti solo di una storia divertente e avventurosa, se Benedetto Croce (1866 – 1952; filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano) ha speso per “I tre moschettieri” lodevoli parole.
Da parte mia, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spigliatezza i Trois mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun’offesa della poesia, ma nascondendo in seno il loro compiacimento come si fa per gli illeciti diletti, ed è bene incoraggiarli a deporre la loro falsa vergogna e il loro congiunto imbarazzo”.

In copertina: particolare de “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas (illustrazione dell’edizione di Calmann-Lévy, Parigi, 1894).

Romanzo gotico: tra cupe atmosfere e personaggi misteriosi

Il romanzo gotico è un genere molto particolare che ebbe grande successo di pubblico. Terrore, turbamento, ambientazioni fosche e personaggi ambigui, a suo tempo, hanno sorpreso e affascinato un gran numero di lettori della media borghesia.

Il romanzo gotico, genere narrativo che ha fuso elementi del romanticismo con sfumature dell’orrore, nasce in seguito alla crescente alfabetizzazione della media borghesia, che nella letteratura cercava occasioni di evasione, e si evolve dalla seconda metà del XVIII secolo.
Le storie di questo particolare filone sono ambientate in epoca medievale. I luoghi dell’azione preferiti sono castelli diroccati, sotterranei e altri ambienti cupi e tetri.

Gli argomenti più trattati nel romanzo gotico, definito successivamente “romanzo nero” (attualmente è chiamato così il genere noir), sono l’amore perduto, i conflitti interiori e il soprannaturale.

Il termine “gotico” fu coniato con intento spregiativo da Giorgio Vasari (1511 – 1574; pittore, architetto e storico dell’arte italiano) nel Cinquecento, come sinonimo di barbarico e spaventoso, e faceva riferimento allo stile artistico e architettonico che nacque in Francia nel 1100 e si diffuse in Europa tra il Trecento e il Quattrocento.
Solo più avanti tale termine fu rivalutato e adottato per definire il genere narrativo che ebbe origine in Inghilterra dalla metà del Settecento e fu anticipatore del romanticismo.
Inoltre, nell’Ottocento, il romanzo gotico trovò un altro parallelo architettonico, quello con lo stile neogotico, che si affermò in contrasto con quello neoclassico, ed ebbe una certa fortuna proprio come il suo omologo letterario.

Per quanto riguarda le caratteristiche del romanzo gotico esso mostra innanzitutto amore per la fantasia e il sogno. Questo genere, che si allaccia per vari aspetti alla fiaba anche se i suoi finali sono generalmente amari, si ammanta di tutto ciò che terrificante, abnorme, mostruoso, inverosimile, soprannaturale. Inoltre, il soprannaturale può assumere varie sembianze: quelle di un fantasma oppure di un animale, o ancora di un oggetto. Quello che contava per gli autori di queste storie era provocare sorpresa, angoscia, terrore e un turbamento profondo nei lettori.

Il capostipite dei romanzi gotici è ritenuto “Il castello di Otranto”, romanzo breve del 1764 di Horace Walpole (1717-1797). Questo testo è ritenuto il primo racconto fantastico della letteratura inglese moderna ed è un’opera innovativa nel panorama letterario dell’epoca.
L’autore, conscio della novità del suo romanzo e temendo di coprirsi di ridicolo, se il libro non avesse incontrato il favore del pubblico, presentò la sua storia come la traduzione di un antico manoscritto, stampato a Napoli nel 1529 e trovato causalmente nella biblioteca di un’antica famiglia cattolica del nord Inghilterra.
La storia si svolge nella Puglia medievale, più precisamente nel Regno di Sicilia del re Manfredi (Manfredi di Hohenstaufen o Manfredi di Svevia o Manfredi di Sicilia, 1232 – 1266; ultimo sovrano della dinastia sveva del Regno di Sicilia). Questo romanzo che divenne un modello cui fecero riferimento nei secoli molti intellettuali, è una miscela ben riuscita di realismo e grottesco. Inoltre, l’autore non ha lesinato su misteri da svelare, passaggi segreti e minacce. Queste ultime in genere provengono dall’autorità politica e religiosa, come è possibile rilevare in alcune opere in particolare, quali: “L’italiano, o il confessionale dei penitenti neri” (1797) di Ann Radcliffe e “Il monaco” (1795) di Matthew Lewis.

Walpole temeva inutilmente il ridicolo: il suo romanzo ebbe un immediato successo, al punto che lo scrittore decise di far uscire, a soli due mesi di distanza dalla prima edizione, una seconda edizione.
In questa nuova pubblicazione, al sottotitolo “story”, fu aggiunto l’aggettivo “gothic” (a gothic story).

L’uso del termine “gotico” non era casuale e neppure limitato al raffronto con l’architettura omonima, esso includeva il forte interesse che nella seconda metà del Settecento si afferma nei confronti del Medioevo e di tutto ciò che è medievale: espressioni artistiche, oggetti dell’epoca, come: collezioni di monete, armature, antiche ballate. Tanto che l’aggettivo “gotico” finì per definire non solo lo stile architettonico, ma anche il periodo cui faceva riferimento e ben presto fu utilizzato come sinonimo di “medievale”.
Simbolo di questa nuova tendenza e del recupero dell’epoca antica è Strawberry Hill, la casa di campagna che Walpole comprò nel 1747 e che trasformò secondo il gusto gotico, fino a farla diventare una fortezza nei pressi di Londra.

A fare compagnia a Walpole nell’Inghilterra della seconda metà del Settecento ci sono altri scrittori di questo genere narrativo, come: Clara Reeve (1729-1807), William Beckford (1760-1844), Matthew Lewis (1775-1818), Charles Robert Maturin (1782-1824) e John William Polidori (1795-1821).

Dopo Walpole e Clara Reeve, le storie gotiche, pur svolgendosi sempre in ambientazioni fosche e tenebrose, videro ridursi gli eventi soprannaturali.
Fu Ann Radcliffe (1764 – 1823; popolare scrittrice inglese, pioniera della letteratura dell’orrore e in particolare, del romanzo gotico) a inaugurare questa nuova direzione del genere e importante in questo senso fu anche il romanzo epistolare “Dracula” (1897) di Bram Stoker (1847 – 1912; scrittore irlandese, noto in particolare per essere l’assistente personale dell’attore Henry Irving e il direttore economico del Lyceum Theatre di Londra) che rese popolare il personaggio del vampiro.

A livello temporale, il romanzo gotico è collocato preferibilmente in epoca medievale oppure nell’Ottocento. I temi più gettonati sono la morte, le antiche profezie e la possessione demoniaca, mentre le storie sono calate in un clima di terrore e di conflitti interiori senza soluzione.

Gli scrittori di romanzi gotici fanno a gara per destare nei lettori un senso di turbamento e di allarme costante, non si lasciano neppure sfuggire l’occasione di inserire scene violente, sangue e morti truculente.
Anche i personaggi si allineano a tutto il resto, spesso misteriosi e ambigui sono tormentati da pene d’amore e soggetti a passioni violente.

Immancabile poi in questo genere narrativo è una certa tipologia di donna: la vergine perseguitata (vedi il romanzo epistolare “Clarissa Richardson” di Samuel Richardson, pubblicato nel 1748, Lewis, la Radcliffe e il già citato Walpole). Queste giovani donne sono spesso vittime delle loro stesse pulsioni e spesso in fuga da seduttori malvagi o da terribili creature, come vampiri, fantasmi e stregoni. Possono anche essere imprigionate o essere affette da turbe psichiche che impediscono loro di distinguere la realtà dall’immaginazione.
A completare il quadretto idillico e richiamando scene consuete nei film horror, i personaggi dei romanzi gotici in generale vivono in luoghi isolati, lontani dai centri abitati oppure il loro isolamento è di matrice sociale, sono cioè degli emarginati.

In copertina: particolare del ritratto di Horace Walpole di Sir Joshua Reynolds (1756)

“La freccia nera”: romanzo storico tra avventura e amore

“La freccia nera”: romanzo storico tra avventura e amore

“La freccia nera” romanzo di Robert Louis Stevenson racconta le avventure di un eroe, Richard Shelton, nell’Inghilterra del XV secolo, durante la Guerra delle Due Rose e sotto il regno di Enrico VI.

“The Black Arrow: A Tale of the Two Roses” (La freccia nera: una storia delle due rose) è un romanzo del 1888 di Robert Louis Stevenson (Edimburgo, 13 novembre 1850 – Vailima, 3 dicembre 1894; scrittore, drammaturgo e poeta scozzese dell’età vittoriana) ed è sia un romanzo storico d’avventura sia un romanzo d’amore.

Apparve per la prima volta in diciassette puntate nel 1883, firmate con lo pseudonimo di Captain George North e con il sottotitolo “A Tale of Tunstall Forest” (Un racconto della foresta di Tunstall), in “Young Folks”, una rivista letteraria settimanale per bambini (pubblicata nel Regno Unito tra il 1871 e il 1897, inizialmente a Manchester, poi a Londra, nel 1873; è nota proprio per aver pubblicato per prima alcuni romanzi di Stevenson in forma seriale, tra cui: “L’isola del tesoro”, “Rapito” e, appunto, “La freccia nera”), “A Boys’ and Girls’ Paper of Instructive and Entertaining Literature” (Un giornale per ragazzi e ragazze di letteratura istruttiva e divertente) dal vol. XXII, n. 656 (sabato 30 giugno 1883) sino al vol. XXIII, n. 672 (sabato 20 ottobre 1883).

Le “Paston Letters” (Lettere Paston, una grande collezione di lettere che fanno parte della corrispondenza tra la famiglia Paston, una famiglia della piccola nobiltà del Norfolk, ed i loro congiunti ed altre persone a loro legate, fra il 1422 e il 1509. La collezione include diversi importanti documenti) furono la principale fonte letteraria di Stevenson per La freccia nera.

La trama di questo romanzo avventuroso è incentrata sulla storia di Richard (Dick) Shelton, di come diventò cavaliere, del modo in cui salvò la sua dama, Joanna Sedley, e anche di come ottenne giustizia per l’omicidio di suo padre, Sir Harry Shelton.

La storia è ambientata durante il regno del “vecchio re Enrico VI” (1422-1461, 1470-1471), nel periodo della Guerra delle due rose (“Wars of the Roses”), una sanguinosa lotta dinastica combattuta in Inghilterra tra il 1455 e il 1485 (1487 per una parte della storiografia inglese), tra due diversi rami della casa regnante dei Plantageneti: i Lancaster e gli York. La guerra fu così denominata, nel XIX secolo, dopo che Walter Scott (1771 – 1832; scrittore, poeta e romanziere scozzese, considerato il padre del moderno romanzo storico), nel 1829, ebbe pubblicato il romanzo “Anna di Geierstein”, facendo riferimento agli stemmi dei due casati che recavano rispettivamente una rosa di colore rosso e una bianca.

Il titolo del romanzo di Stevenson fa riferimento al “biglietto da visita”, nonché arma dei fuorilegge della foresta di Tunstall, una freccia nera, appunto. I fuorilegge, organizzati da Ellis Duckworth faranno sospettare a Dick che il suo tutore, Sir Daniel Brackley, e i suoi servitori siano responsabili dell’omicidio di suo padre.
I sospetti di Dick basteranno a mettere Sir Daniel contro di lui, per cui al giovane non resterà che la fuga e in seguito, la decisione di unirsi ai fuorilegge della Freccia Nera contro l’assassino di suo padre. Questa lotta lo coinvolgerà anche nel più grande conflitto che li circonda.

La trama è piuttosto articolata e sono presenti numerosi personaggi, ne passiamo in rassegna alcuni:
Richard (Dick) Shelton, protagonista del romanzo, figlio del defunto Sir Harry Shelton ed erede di Tunstall. Il ragazzo non ha ancora diciotto anni, nel maggio 1460, periodo in cui si svolge la prima parte della narrazione. Stevenson lo dipinge come “bruno e con gli occhi grigi“. È considerato il capo dei fuorilegge della Freccia Nera a Shoreby, mentre cercano di salvare Joanna Sedley da Sir Daniel. È nominato cavaliere da Richard Crookback nel corso della battaglia di Shoreby.
Nicholas Appleyard, veterano settuagenario della battaglia di Agincourt (si svolse vicino l’omonima località nell’odierno dipartimento del Passo di Calais, il 25 ottobre 1415, durante la guerra dei cent’anni e vedeva contrapposte le forze del Regno di Francia di Carlo VI contro quelle del Regno d’Inghilterra di Enrico V). Nel romanzo è descritto, così: “il suo viso era come un guscio di noce, sia per il colore che per le rughe; ma il suo vecchio occhio grigio era ancora abbastanza chiaro, e la sua vista non era diminuita“.
Sir Oliver Oates, parroco locale di Tunstall e impiegato di Sir Daniel. Fisicamente Stevenson di lui ci dice che era un uomo “alto, corpulento, rubicondo e con gli occhi neri, di quasi cinquant’anni”. Nel romanzo è ritratto come una vile spia di Sir Daniel Brackley.
Sir Daniel Brackley, l’antagonista, cavaliere egoista e senza scrupoli; noto per passare dai Lancaster agli York e viceversa “continuamente”, seguendo solo il suo tornaconto personale. Brackley si arricchì, ottenendo la tutela di ricchi eredi in minore età, come Dick Shelton, e procurando loro ricchi matrimoni. Il suo carattere vacillante ricorda quello dello storico conte Thomas Stanley e di suo fratello Sir William Stanley nella Guerra delle due Rose. Tuttavia, Sir Daniel era diverso dagli Stanley: non era un semplice opportunista, ma anche un furfante subdolo e avido. Stevenson dice che è calvo e ha un “viso magro e scuro“; aggiunge su lui anche qualche elemento positivo: era “un cavaliere molto allegro, nessuno più di lui in Inghilterra” e anche un buon capo militare.
I Walsingham, nome dato da Stevenson ai Woodville delle Guerra delle due Rose. Non hanno alcun ruolo nella narrazione del romanzo, ma si dice che nel recente passato avessero esercitato la signoria e ricevuto affitti a e Kettley. Sono descritti come “poveri come ladri“: la famiglia Woodville durante la Guerra era povera, essendo composta in gran parte da popolani, nobilitati dal matrimonio sotto Edoardo IV d’Inghilterra.
Joanna Sedley, l’eroina, nota anche come John Matcham, è la pupilla di Lord Foxham, rapita da Sir Daniel. Nel maggio del 1460, ha sedici anni, Stevenson, riferendosi a lei nel primo libro, parla spesso della sua morbidezza e della sua struttura minuta, in contrasto con gli abiti maschili che indossa.
Will Lawless, fuorilegge, membro della Compagnia della Freccia Nera, che nella vita è stato molte cose, ad esempio: marinaio e persino frate francescano. Stevenson lo descrive come un uomo dal fisico imponente e grande bevitore.
Ellis Duckworth, organizzatore della Black Arrow Fellowship (Compagnia della Freccia Nera), nata per vendicare Harry Shelton, Simon Malmesbury e se stesso. Fu accusato della morte di Harry Shelton e si dice che fosse un agente di Richard Neville, conte di Warwick.
Lord Foxham, magnate Yorkista locale, tutore di Joanna Sedley, che si unisce a Dick Shelton e ai fuorilegge nel tentativo di salvarla.
Lord Shoreby, magnate locale dei Lancaster, ucciso dai fuorilegge della Freccia Nera, nella chiesa dell’Abbazia di Shoreby, per impedire il suo matrimonio con Joanna Sedley.
Richard Crookback, (personaggio storico), Riccardo Plantageneto, duca di Gloucester, futuro re Riccardo III d’Inghilterra.
Sir William Catesby, (personaggio storico), servitore di Richard Crookback.

Per quanto riguarda alcuni riferimenti cronologici e geografici presenti nel romanzo, sono possibili dei parallelismi con avvenimenti e luoghi storici reali.
Innanzitutto, il romanzo ci dà una serie di informazioni che conducono a due riferimenti temporali, per i due blocchi di azione che costituiscono la narrazione e cioè: Maggio 1460 e gennaio 1461. L’indicatore temporale fondamentale è la battaglia di Wakefield (30 dicembre 1460) che Stevenson descrive nel primo capitolo del terzo libro.
Inoltre, la Battaglia di Shoreby, una battaglia fittizia, è l’evento principale del quinto libro ed è modellata sulla Prima Battaglia di St Albans, durante la Guerra delle due Rose. Questa battaglia, nella storia come nel romanzo, fu vinta dagli York. Inoltre, la presenza di una chiesa abbaziale a Shoreby ricorda la chiesa abbaziale di Tewkesbury, in cui i Lancaster si rifugiarono, dopo la battaglia del 4 maggio 1471.

Per quanto riguarda i luoghi, nel “prologo” Stevenson lascia intendere che Tunstall sia un luogo reale: “Il borgo di Tunstall a quel tempo, nel regno del vecchio re Enrico VI, aveva più o meno lo stesso aspetto che ha oggi“. In effetti, nel Suffolk sud-orientale, in Inghilterra, a 18 miglia a NE di Ipswich, a meno di 10 miglia dal Mare del Nord, si trova una “Tunstall” con una foresta annessa.
Stevenson e la sua famiglia avevano visitato il Suffolk nel 1873.
La somiglianza dei toponimi nei pressi della Tunstall, nel Suffolk, con quelli del romanzo fa pensare che si tratti della Tunstall di Stevenson. Kettley, Risingham e Foxham coincidono probabilmente con Kettleburgh, Framlingham e Farnham nella realtà.
Shoreby-on-the-Till e Holywood dovrebbero corrispondere a Orford e Leiston. La prima è sul Mare del Nord ed è unita a Framlingham da una strada che va verso nord-ovest (la “strada maestra da Risingham a Shoreby”), e Leiston, anch’essa sul Mare del Nord, ha un’abbazia medievale, proprio come la Holywood del romanzo.
Il fiume Till, che è citato in gran parte nel primo libro, sarebbe quindi il fiume Deben che scorre vicino a Kettleburgh.

Il nome del protagonista, Richard Shelton, e la sua eredità, Tunstall, erano il nome e il titolo di un personaggio storico reale: Sir Richard Tunstall. Questi era un lancasteriano e sostenitore del re Enrico VI d’Inghilterra, tenne il castello di Harlech contro gli Yorkisti dal 1465 al 1468, durante la prima parte del regno di Edoardo IV. Al contrario, Richard Shelton de “La freccia nera” è un convinto Yorkista.

Metà dei manoscritti originali di Stevenson sono andati perduti, tra i quali: “L’isola del tesoro”, “La freccia nera” e “Il maestro di Ballantrae”.
Durante la prima guerra mondiale, gli eredi dello scrittore vendettero le sue carte; molte furono messe all’asta nel 1918.
Il testo, così come comparve per la prima volta a stampa, nel 1883, come serie in “Young Folks”, è stato reso disponibile dall’Università della Carolina del Sud.
Stevenson modificò il testo del 1883 nel 1888, per pubblicarlo come libro.

Ivan Kramskoj e l’intimità della lettura

Ivan Kramskoj e l'intimità della lettura

Ivan Kramskoj è un altro degli autori che ha rappresentato in diversi dipinti il tema della lettura. In questo specifico ritratto, “Lettura. Ritratto della moglie dell’artista”, il pittore ha raffigurato sua moglie, Sofia Kramskaya, immersa nella lettura di un libro.

Lettura. Ritratto della moglie dell’artista” è un dipinto del 1866, del pittore e critico d’arte russo, Ivan Nikolaevič Kramskoj (Ostrogožsk, 8 giugno 1837 – San Pietroburgo, 6 aprile 1887), che fu anche capo e organizzatore del gruppo di artisti aderenti al Tovariščestvo peredvižnych chudožestvennych vystavok (Società per le esposizioni d’arte ambulanti). Gruppo che sorse nel 1870 a Pietroburgo, in reazione all’accademismo ufficiale, con il programma di rivolgere l’arte a motivi veristici e farne mezzo di educazione ed elevazione sociale.

“Lettura” fa parte dei lavori della fase iniziale dell’attività artistica di Kramskoj, ma già in questa tela si possono individuare gran parte dei tratti che caratterizzeranno la sua produzione pittorica futura.
Nel quadro possiamo ammirare un incantevole ritratto di donna che, seduta all’aperto, in un parco o in un giardino, sta leggendo un libro.

La donna del quadro è Sofia Kramskaya, consorte del pittore. I due coniugi ebbero un matrimonio felice e armonioso; Kramskoj nutriva per sua moglie un grande affetto e spesso la troviamo raffigurata nei suoi dipinti.
In questo specifico ritratto, Sofia è seduta su una panchina di pietra, ha un’espressione seria; gli occhi sono bassi, rivolti verso un grande libro che tiene aperto, sostenuto dalla sua mano sinistra. Il braccio destro è appoggiato con grazia su un cornicione di pietra, sul cui lato anteriore si affacciano delle foglie di una pianta rampicante.

Sofia è ritratta in una posa libera: la mano destra sorregge la fronte, la testa è inclinata leggermente in avanti, la mano sinistra aperta è posata sul grembo.
Gli abiti che indossa sono alla moda: uno scialle verde chiaro a strisce rosse (le avvolge morbidamente i fianchi e sporge da sotto il braccio, posato sul davanzale di pietra della panchina); una camicetta bianca con il colletto a balze; un’ampia gonna marrone.

I colori dei suoi vestiti sono chiari e brillanti, specie la camicia. Inoltre, una fonte di luce è concentrata sulla figura e la fa spiccare sullo sfondo scuro, dando la sensazione che Sofia sia avvolta in un alone luminoso, mentre un riverbero della luce investe anche il suo volto assorto nella lettura.
Un ciondolo compare al centro della sua scollatura a V, mentre attorno alla vita indossa una fascia di colore scuro.
Sul davanti della gonna è appoggiato un ombrello, mentre alle sue spalle, sulla sinistra del dipinto, intravediamo un cappello di paglia, a tesa larga, che presenta una fascia scura intorno alla base, dietro di esso sporgono le foglie di una pianta.

L’artista ha curato con precisione e realismo ogni dettaglio: i capelli scuri, lucidi e ricci composti in un’elegante acconciatura; la costosa spilla sul vestito; lo squisito scialle che è sceso dalle spalle.
Il pittore ha utilizzato colori espliciti e ha giocato con luci e ombre che donano una nota di morbidezza all’intera figura, al fine di esaltarne la sensualità, nonché la tenerezza.
È una scena intima, caratterizzata da una compostezza aristocratica e sembra quasi che la donna fosse ignara di essere oggetto delle attenzioni dell’artista.

Lo sfondo è fatto di alberi dalle foglie rosse e verdi; il sole sta tramontando e intravvediamo sulla sinistra del quadro uno scorcio del suo viaggio verso la notte, testimoniato dal cielo tinto di arancione.

In copertina: “Lettura. Ritratto della moglie dell’artista” (1866-1869) di Ivan Nikolaevič Kramskoj, olio su tela (dimensioni 56 x 64 cm), Tretyakov Gallery – Mosca, Russia

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #3

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 3

Il giallo è un genere in continua evoluzione, nella sua lunga e fortunata storia è stato oggetto di numerose trasformazioni, seguendo mode, cambiamenti sociali e subendo sempre nuove contaminazioni.

Nel periodo che va dagli anni cinquanta agli anni settanta, il giallo fu sempre meno caratterizzato dalla sua originale funzione catartica e consolatoria, acquisita negli anni dominati dal modello inglese.
I nuovi intrecci hanno un impianto meno ottimistico, sia se si guarda al genere hard boiled americano sia alle esperienze europee, con Simenon, ad esempio, e il suo Maigret.
Inizia in questi anni a profilarsi lo “spettro” della fallibilità della giustizia umana che con Friedrich Dürrenmatt (Stalden im Emmental, 5 gennaio 1921 – Neuchâtel, 14 dicembre 1990; scrittore, drammaturgo e pittore svizzero), poco tempo dopo, sarà condotta alle estreme conseguenze.

Per Dürrenmatt il romanzo giallo è soltanto una costruzione artificiosa studiata dagli autori, perché il più delle volte è la casualità a decretare il successo o il fallimento di una trama investigativa.
Per lo scrittore svizzero, la macchina della giustizia, che racchiude le indagini svolte dalla polizia sino agli aspetti giudiziari-processuali, non è in grado di comprendere appieno la verità umana che si cela dietro a un delitto.

Su questa linea procedono anche diversi altri autori europei. In Italia, citiamo Giorgio Scerbanenco (Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969; scrittore, giornalista e saggista) i cui romanzi, dei capolavori del noir, mostrano l’amara realtà degli anni sessanta in Italia. L’Italia di quella fase storica era un paese difficile, cattivo, che aveva la smania di emergere ed era al contempo disincantato.

Negli anni settanta, il genere giallo affronta sempre di più il tema dell’sopraffazione da parte del potere di cui svela intrighi e nefandezze, ed è sempre più evidente l’impotenza di coloro che indagano.
Molti gialli italiani, stampati dagli anni quaranta in poi dichiarano le responsabilità criminali delle istituzioni. Da Scerbanenco a Fruttero & Lucentini, numerosi commissari sono raffigurati come dei perdenti e le trame dei gialli si tingono sempre più di noir. I lettori non si trovano più di fronte al finale classico, quando le istituzioni intervenivano e l’ordine precostituito era ristabilito, ora c’è solo disordine e caos.

A partire dagli anni ottanta fino a oggi, il giallo ha iniziato a proporre tematiche esistenziali, ma soprattutto sociali, come pure politiche e storiche. Pensiamo in questo caso, alle pagine di scrittori come: Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Manuel Vázquez Montalbán, Andrea Camilleri, Daniel Pennac, Stieg Larsson.
Queste nuove tendenze sono volte a sensibilizzare e a destare le coscienze, piuttosto che a divertire, come avveniva con le storie classiche, secondo il modello inglese.

In Italia, hanno avuto particolare fortuna i gialli di Camilleri, che si caratterizzano per: ambientazione; ironia; umanità dei personaggi; finezza degli intrecci polizieschi calati in uno sfondo sociale ben definito.

Alla fine del Novecento, inizia a profilarsi una schiera di giallisti scandinavi, quali Stieg Larsson, Jo Nesbø, Henning Mankell, Per Wahlöö, Camilla Läckberg, Liza Marklund, uniti da vari fattori: la scelta di ambientazioni similari, ovviamente, nordiche; dal fatto che le indagini sono condotte da detective “anomali” sia a livello umano sia investigativo; dalla presenza di forti legami tra fatti criminosi, indagini e tematiche con un considerevole impatto sociale.

Valutando l’evoluzione del genere giallo, possiamo rilevare che il divario tra il modello anglosassone e quello europeo si consoliderà fino ai nostri giorni. Questo è dovuto a motivi sia culturali sia commerciali, che hanno fatto sì che il giallo anglosassone restasse più o meno nei suoi binari, mentre in Europa, la tendenza di questo modello classico di giallo è andata affievolendosi negli anni, fin quasi a sparire.
Restano comunque ancora degli scrittori estimatori della tipologia classica, ad esempio, Gōshō Aoyama (pseudonimo di Yoshimasa Aoyama; Daiei, 21 giugno 1963; fumettista giapponese) che con il suo famoso Detective Conan riprende lo stereotipo dell’investigatore infallibile; la deduzione è ancora il suo strumento di indagine fondamentale; la struttura di alcuni suoi gialli ricalca quella degli emblematici delitti impossibili (enigma della camera chiusa).

Il genere giallo, così come altri generi altrettanto fortunati, con una lunga vita e un nutrito pubblico, hanno subito varie contaminazioni e dato vita a singolari ibridismi.
Un’interessante sfumatura assunta dal genere è rappresentata dal romanzo mistery, dove l’aspetto razionale, tipico del romanzo di indagine, si unisce a un’esplorazione del mondo dell’occulto e del paranormale. Questi nuovi esempi di giallo “contaminato”, oltre a svolgersi in atmosfere gotiche, hanno anche subìto una trasformazione a livello strutturale, spesso non del tutto in sintonia con una narrazione che richiede, proprio per sua natura, razionalità.
Una volta terminata questa fase di passaggio, nonché di riordino, potremo scoprire quale direzione prenderà il nuovo romanzo giallo.

Rocambole, l’eroe moderno: avventuriero e ladro gentiluomo

Rocambole, l’eroe moderno: avventuriero e ladro gentiluomo

Rocambole, avventuriero e ladro gentiluomo, è un singolare personaggio della letteratura ottocentesca. Un eroe dalle tinte fosche, che a un certo punto della sua vita decide di lasciare il “lato oscuro” per difendere i più deboli.

Rocambole, il cui nome originale era Joseph Fipart dit Rocambole, è un personaggio inventato, protagonista del romanzo a puntate, “Les Drames de Paris” (I drammi di Parigi), del 1857, dello scrittore francese Pierre Alexis Ponson du Terrail (Montmaur, 8 luglio 1829 – Bordeaux, 10 gennaio 1871; autore di romanzi popolari o roman-feuilleton).
Le vicende di questo singolare personaggio hanno avuto una grande influenza sullo sviluppo della narrativa d’avventura, precorrendo la narrativa eroica moderna.

Ponson du Terrail iniziò a scrivere il primo romanzo del ciclo “Les Drames de Paris”, cioè “L’Héritage Mysterieux” (L’eredità misteriosa) nel 1857, per il quotidiano “La Patrie”. La sua idea era quella di sfruttare il successo dei “Misteri di Parigi” di Eugène Sue (1804 – 1857; scrittore francese, noto soprattutto per i suoi romanzi d’appendice a carattere sociale), scritto circa quindici anni prima.

Il protagonista della saga, Rocambole, ottenne un enorme successo popolare che garantì al suo autore un’ottima e costante fonte di reddito.
Du Terrail scrisse in totale nove romanzi con protagonista Rocambole. I testi erano destinati a vari giornali dell’epoca e l’autore fu costretto a produrli in fretta, questo, purtroppo, andò a discapito della qualità della scrittura e dello stile che risulta stereotipato. Per questi motivi, probabilmente, l’interesse per Rocambole decadde quasi del tutto nei secoli successivi al suo periodo d’oro.

In ogni caso, Rocambole ha la sua importanza: per la prima volta con i suoi romanzi ci troviamo di fronte ad avventure di fantasia. Il suo personaggio segna il passaggio dagli eroi del romanzo gotico a quelli più moderni, intraprendenti e dotati di un carattere oscuro.

Quando scriveva le peripezie di Rocambole, Ponson du Terrail fu sottoposto a notevoli pressioni da parte dei suoi affezionati lettori. Tutti erano ansiosi di conoscere il seguito delle sue avventure. Queste pressioni spiegano gli sviluppi imprevisti della serie, come la cancellazione di alcuni personaggi e l’ascesa di altri, in particolare, quella del protagonista che dall’ottobre del 1858, diventò l’eroe principale con “Les Exploits de Rocambole” (Le imprese di Rocambole).

I romanzi di du Terrail oltre a portare qualcosa di nuovo, sono un ottimo spiraglio per conoscere la vita parigina. Lo stesso personaggio dell’avventuriero spericolato è una miscela ben riuscita di sfacciataggine parigina e fascino orgoglioso del bandito romantico.

Scendendo più nei dettagli, riguardo a Rocambole, l’autore ci informa che era orfano e già da bambino, viveva rubando. Poi, dopo un arresto e una fuga dalla colonia penale completerà la sua formazione criminale, grazie a due personaggi chiave della sua vita: la vedova Fipart e Sir Williams (vero nome Andréa Felipone).

La vita di Rocambole può essere divisa in due fasi principali. Nella prima, si industria a compiere ogni sorta di crimine: ricatti, furti e persino omicidi. Poi, dopo varie vicissitudini, finito di nuovo in prigione e successivamente evaso, ancora una volta, decide di cambiare vita e di dedicare le sue “arti” al bene.
In questa seconda fase della sua esistenza, Rocambole trova diversi alleati, ad esempio: pentiti come lui e persino alcuni che in passato erano stati suoi avversari. Con essi inizia una sorta di crociata, a favore di orfani defraudati delle loro eredità da persone malvage e di bambini rapiti e strappati ai loro genitori.

Viaggia anche molto, arrivando persino in India. Fa diverse tappe a Londra e continua a entrare e uscire di galera. Le sue evasioni, come le sue avventure sono in tutto e per tutto delle vere acrobazie.
Di romanzo in romanzo, lo vediamo coinvolto in situazioni sempre più complicate e pericolose, pronto ad affrontare mille pericoli e a gettarsi nella mischia, per vivere peripezie sempre più audaci e temerarie. Non per niente, il termine “rocambolesco”, mutuato dal nome del personaggio, è entrato nell’uso corrente, quando si vuole descrivere azioni particolarmente spericolate e azzardate.

Dopo Ponson du Terrail, altri scrittori hanno proseguito la saga di Rocambole e sull’avventuriero sprezzante del pericolo sono stati girati anche diversi film e serie televisive.

In copertina: a sinistra, “Rocambole: les drames de Paris”, copertina di Gino Starace per la ristampa della libreria Arthème Fayard del 1909; a destra, copertina del primo numero di una ristampa del ciclo di romanzi Rocambole, pubblicato in 219 numeri dalle Éditions Rouff (1908-1910). Illustrazione di Louis Bombled

“La lettrice” di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

"La lettrice" di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

“La lettrice” è un dipinto di Jean-Honoré Fragonard, risalente al 1776. Questo ritratto rappresenta una sorta di meditazione sulla bellezza e sugli effetti della lettura sull’animo femminile.

Jean-Honoré Fragonard (Grasse, 5 aprile 1732 – Parigi, 22 agosto 1806) è stato un pittore francese, un importante esponente del rococò e uno dei più importanti artisti francesi del Settecento.

Fragonard sapeva sfruttare al meglio le sue doti pittoriche. Faceva un uso particolare della luce e si avvaleva di una singolare rarefazione di specifiche parti, un valido artificio che gli consentiva di rappresentare con efficacia la leggerezza di alcuni elementi, come i panneggi o le bianche acconciature femminili.

Lavorò a Versailles fino alla rivoluzione, dopo la quale il suo stile fu rimpiazzato da quello neoclassico, caratterizzato da severità e tetraggine; l’opposto di quello di Fragonard che era assolutamente incapace di dipingere temi seri. Infatti, impossibilitato a gareggiare con i suoi pari aulici, aveva scelto di primeggiare tra i pittori di moda e i suoi dipinti più famosi raffigurano scene leggere e frivole, spesso erotiche.

Non disdegnò neppure i soggetti storici, i paesaggi e le opere di genere, ma la sua grande eleganza fu chiaramente impiegata nella pittura di carattere frivolo e malizioso.

Affascinato dalla bellezza femminile, Fragonard dipinse un nutrito gruppo di dipinti in cui sono raffigurate giovani donne in momenti di quieta solitudine.
Questi dipinti sono una specie di evocazione; le fanciulle che l’artista amava dipingere sono una sorta di personificazione della musica e della poesia.

Uno di questi dipinti “al femminile” è “La lettrice”. Nel quadro è raffigurata una ragazza con uno sgargiante vestito giallo; ha il capo inclinato ed è appoggiata a un grande cuscino rosa, piacevolmente assorta nella lettura di un libro che sorregge con delicatezza con la mano destra; l’altra mano è appoggiata a una poltrona.
Non sappiamo chi sia questa giovane concentrata a leggere, invece sappiamo, grazie ai raggi x, che sotto questo dipinto, l’artista aveva tracciato un disegno differente.
L’opera è datata 1776 ed è stata utilizzata in svariate edizioni del romanzo “Madame Bovary” di Gustave Flaubert.

Rispetto alle altre opere di Fragonard, questo dipinto è certamente più tranquillo. Si tratta di una scena di erudizione di una giovane donna e potrebbe essere definito un ritratto, anche se la donna non ci guarda. Da notare la postura delle mani e della schiena (molto dritta nonostante il grande cuscino) che denotano che la ragazza ha ricevuto un’educazione in materia di decoro ed etichetta.

La tecnica utilizzata da Fragonard è l’olio su tela. Notevole per la varietà dei tocchi, il dipinto è un buon esempio della pennellata rapida e vigorosa sviluppata dall’artista, e a volte definita “escrime” (scherma) dai suoi contemporanei.

Fragonard ha concepito questo dipinto, affinché fosse gradito agli occhi di chiunque, evitando gli interessi intellettuali e con l’intento di arrecare gioia e calore allo spettatore che l’artista coinvolge, inducendolo a porsi delle domande sulle conseguenze della lettura nel pensiero e nelle emozioni della fanciulla ritratta.
In questo modo, “La lettrice” diventa una meditazione sulla bellezza, ma anche sulle implicazioni della lettura nell’animo femminile.

Attualmente, “La lettrice” è conservata alla National Gallery of Art di Washington. Fu donata al museo nel 1961, dalla signora Mellon Bruce, in memoria di suo padre, Andrew W. Mellon. In precedenza, era appartenuta al dottor Tuffier.

In copertina: “La lettrice”, olio su tela (dimensioni 81,1×64,8 cm) di Jean-Honoré Fragonard, conservato alla National Gallery of Art, Washington

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #2

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 2

A inizio Novecento soffiano venti di cambiamento per il giallo. Tra gli anni venti e trenta, il genere prenderà le distanze dal modello instaurato dai gialli di Conan Doyle e si creeranno correnti diverse in Europa e in America.

Agli inizi del Novecento il genere giallo incontra sempre più consensi, innanzitutto da parte dei lettori, successivamente, anche da parte della critica.

Molti autori si dedicano alla scrittura di gialli e un certo numero di essi ha anche raggiunto una fama mondiale, tra questi: Raymond Chandler (1888-1959), Rex Stout (1886-1975) e Agatha Christie (1890-1976).

Compaiono anche dei tentativi di dare forma a un detective diverso, più umano, meno freddo, altrettanto si cerca di fare con le storie.

Un esempio di tali iniziative si rilevano nei libri di Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936; scrittore e giornalista britannico, molto prolifico e versatile), creatore del prete detective, Padre Brown.

Il vero cambiamento, però si avrà solo verso la metà degli anni trenta, quando gli autori di questo genere inizieranno ad affrancarsi dagli schemi del giallo classico. Ed è proprio in questa fase che iniziano a definirsi due strade che, parallelamente, e in modo molto diverso, in Europa e in America, prenderanno le distanze dal modello creato da Conan Doyle (1859 – 1930) con “Sherlock Holmes”.

Negli anni venti e trenta, negli Stati Uniti si afferma un genere di giallo che sarà poi definito hard boiled. Le storie di questo tipo sono descritte con toni oscuri e negativi; lo stile è tagliente, il linguaggio crudo si spinge ai limiti del volgare.

Il delitto è uno degli elementi della narrazione, mentre le ambientazioni e la descrizione psicologica dei personaggi assurgono a parte di rilievo nella storia.

Gli scenari degradati delle metropoli americane fanno da sfondo a una società in cui contano solo potere e denaro, mentre i buoni e i deboli sono – ahimé – destinati a soccombere.

I detective di queste storie sono figli dell’America spietata e disincantata degli anni successivi alla terribile crisi del 1929. Sono dei solitari, avventurieri, dei duri, traditi dalla vita e per questo, spesso alcolizzati o comunque forti bevitori, che non hanno più nulla in cui credere.

In Europa, invece, dai primi anni trenta i cambiamenti nel genere giallo assumono toni meno duri di quelli usati dagli scrittori che vivono dall’altra parte dell’oceano.

In Italia, Augusto De Angelis (1888 – 1944; scrittore e giornalista, attivo in particolare durante gli anni del fascismo) diede vita al suo commissario De Vincenzi, una sorta di Maigret italiano che, purtroppo, non incontrò grande favore di pubblico. Forse, anche a causa della chiusura culturale dovuta al fascismo e anche per lo scarso apprezzamento del genere poliziesco da parte del regime.

Nel 1943, fu imposto il sequestro in Italia di “tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita“. Fu anche chiusa la famosa collana di gialli di Arnoldo Mondadori Editore.

Il regime fascista, per motivi propagandistici e di ordine pubblico, mirava a nascondere sotto il tappeto qualsiasi cosa potesse incrinare la facciata positiva e integra della società italiana, che era mostrata agli italiani e al mondo. Per questo motivo, il crimine fu fatto scomparire sia dalla cronaca sia dalla letteratura. I gialli, anche se trattavano di atti criminali immaginari, erano comunque visti con sospetto, come un mezzo per istigare e sovvertire l’ordine costituito.

In Europa, invece, il genere continuava la sua inarrestabile evoluzione.
A metà degli anni trenta, George Simenon (1903 – 1989) creò il personaggio di Maigret e sovvertì in maniera definitiva l’idea di indagine e persino il concetto di romanzo poliziesco. Grazie a lui, non mutò solo la figura del detective, ma anche gli ambienti, le situazioni e i personaggi in generale, diversissimi da quelli cui si era abituati a “frequentare” con il giallo classico.

Ora, sotto la lente dell’investigatore non c’è più il mondo aristocratico, ma l’uomo comune, il piccolo borghese, e le trame dei nuovi libri gialli tengono sempre più conto delle tematiche esistenziali, filosofiche e psicologiche.

Lasciando al passato le ambientazioni rarefatte e mondane, si scende nelle strade, ad affrontare le inquietudini della gente comune. Il romanzo poliziesco a questo punto non è più strettamente letteratura di genere, ma accresce il suo spessore sia a livello contenutistico sia stilistico e finisce per mescolarsi con una letteratura dotata di un più ampio respiro.

Simenon, a braccetto con il suo Maigret, ha fatto e tuttora fa “visitare” ai suoi lettori una Parigi fatta di brasserie e quartieri popolari, spingendosi fin nella provincia francese.

Il commissario di Simenon non è un eroe, è un uomo ordinario e vulnerabile, un poliziotto e un borghese, che però è dotato di una profonda umanità.

Le sue indagini, condotte in modo molto diverso da quelle dei suoi predecessori, danno quasi l’idea che non stia per niente indagando, e arrivano a rivelare il più delle volte una verità amara.

Anche gli assassini di Maigret non hanno niente a che vedere con i loro predecessori del genere: sono persone comuni che uccidono, perché un imprevisto ha sconvolto le loro vite e le ha costrette ad agire di conseguenza.

Nelle storie di Simenon, non c’è il gioco della deduzione, al fine di individuare l’assassino. Il colpevole, infatti, è spesso individuato o comunque sospettato abbastanza presto, ma quello che conta in questo percorso non è capire chi, piuttosto perché, cioè ricostruire la verità umana, arrivare al motivo che ha fatto scatenare il dramma e ovviamente, ottenere le prove per inchiodare il colpevole.

Quello che conta, insomma, per Maigret e per Simenon è la vicenda umana dietro al crimine che si è consumato.
(prosegue)

I supereroi della letteratura: “La Primula Rossa”

I supereroi della letteratura La Primula Rossa

La figura del supereroe ha calcato nel tempo le scene letterarie prima di passare al fumetto e al cinema. Sono diverse le figure di uomini audaci e coraggiosi, anche se privi di superpoteri, che hanno sfidato le autorità e il male in genere. Andando a ritroso, possiamo individuare queste caratteristiche ne “La Primula Rossa” che combatteva per tutelare i nobili ai tempi di Robespierre.

La letteratura ha sempre avuto i suoi supereroi, ben prima che comparissero le ormai consuete figure in calzamaglia, dotate di superpoteri che popolano da diversi anni le strisce dei moderni fumetti.
E anche questi supereroi ante litteram avevano un’identità segreta, portavano una maschera e combattevano per un bene supremo, per la giustizia, per la verità. Tentavano anche essi di proteggere le persone inermi, di difendere i buoni dai cattivi e di far trionfare il bene sul male.
Uno di questi supereroi dei secoli scorsi, che non si avvale di superpoteri, ma solo del suo coraggio e della sua determinazione, è “The Scarlet Pimpernel” (La Primula Rossa).

Le sue gesta sono raccontate in un ciclo di romanzi, scritti dalla baronessa Emma Orczy (1865 – 1947; scrittrice britannica di origine ungherese) e stampati in fascicoli, agli inizi del Novecento. Il primo romanzo in volume apparve nel 1905, con il titolo “La Primula Rossa”.

La Orczy ha ambientato le vicende del suo eroico personaggio all’epoca della rivoluzione francese, nel periodo in cui Maximilien de Robespierre (1758 – 1794; politico, avvocato e rivoluzionario francese) e i membri del Comitato di salute pubblica (Comité de salut public) seminavano il Terrore.
Mentre la ghigliottina faceva gli straordinari, giungeva in Francia il primo eroe con identità segreta nella storia della narrativa: La Primula Rossa, fantomatica figura a capo di una lega che lottava a favore dei nobili e si opponeva alla tirannia, diretta conseguenza della rivoluzione.

La Primula Rossa è ovviamente acclamata dai nobili decaduti e da quelli che in questo particolare momento storico sono considerati i nemici della repubblica, e il suo nome, così singolare, deriva dal fiore scarlatto (Anagallis arvensis) che lascia quale firma alle sue impavide imprese.

Dietro la maschera si celava il volto di un nobile inglese, sir Percy Blakeney, “damerino incipriato”, fedele amico del Principe di Galles. La Primula rappresenta il classico uomo coraggioso, raro esempio di eroe reazionario che lotta con fierezza contro le barbarie rivoluzionarie.

Le avventure del La Primula Rossa non si sono fermate alle pagine di un libro, ma grazie alla fortuna incontrata dal personaggio e dalle sue vicende, sono approdate anche al cinema, prima quello in bianco e nero e più recentemente, il coraggioso e avventuroso eroe è stato riproposto in un ciclo di film; l’attore che recita la sua parte è Richard E. Grant.

Nel mondo anglosassone, La Primula Rossa è ancora molto popolare, in Italia, invece, non ha avuto la stessa notorietà: l’ultima stampa integrale risale alla fine degli anni Sessanta.

Che cosa succede però se i supereroi abusano dei loro poteri, se sono cattivi, egoisti, ipocriti e bramosi di potere?
A questo interrogativo tenta di rispondere una serie televisiva statunitense del 2019, “The Boys”, ideata da Eric Kripke per conto di Amazon.
La serie si basa sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson.
Alla luce di questa nuova generazione di super, ma al contempo antieroi, possiamo pensare di aver raggiunto una nuova frontiera di questo particolare genere, dove l’aggettivo “super” si addice più alla gente comune che ai classici eroi in calzamaglia.

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

Renoir è uno dei tanti artisti che ha raffigurato soggetti immersi nella nobile arte della lettura.
Nei suoi quadri, a leggere sono sia uomini sia donne, ma anche molti bambini e adolescenti, tutti accomunati dalla stessa “devota” concentrazione.
Una di queste attente figure è “La liseuse”, dipinta tra il 1875 e il 1876, in pieno periodo impressionista.

Il pittore Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919) è ritenuto uno tra i massimi esponenti dell’Impressionismo e uno degli interpreti più spontanei di questo particolare movimento.

L’artista francese ha lasciato una messe davvero nutrita di opere: ben cinquemila tele e un numero altrettanto elevato tra disegni e acquerelli. Si è anche distinto per la sua poliedricità, attraversando nella sua carriera artistica diversi periodi.

In un suo scritto disse che “l’opera d’arte deve afferrarti, avvolgerti, trasportarti”. Secondo me, queste parole, calzano perfettamente anche per l’arte della lettura.
In uno dei tanti soggetti che Renoir ha raffigurato intento a leggere, possiamo ravvisare quel rapimento che l’artista ritiene si debba provare davanti a un’opera d’arte. Sto parlando del dipinto “La liseuse” (La lettrice) realizzato tra il 1875 e il 1876.

Nel dipinto, come afferma il titolo stesso, è raffigurata una donna immersa nella lettura di un libro.
A fare da modella a Renoir fu Marguerite Legrand, detta Margot, una giovane graziosa di Montmartre che morì di febbre tifoidea nel febbraio del 1879.
L’artista, che rimase molto colpito dalla sua morte, di lei disse che “aveva una pelle che rifletteva la luce”, e in questo ritratto, in effetti, il pittore è riuscito a mettere in risalto l’incarnato della sua amica, grazie alla nuova tecnica pittorica impressionista.

Realizzata in studio, l’opera è caratterizzata da una freschezza e da una spontaneità del tratto tipica dei dipinti eseguiti di getto, en plein air.

Nel quadro sono presenti pochissimi dettagli e un solo oggetto: un libro; perché Renoir intendeva concentrare l’attenzione dello spettatore sull’intensità della lettura.
Lo sfondo è accennato, in quanto deve solo trasmettere l’idea della profondità, senza definire un ambiente preciso, mentre i colori, chiari e luminosi, sembrano ravvicinare il viso della giovane all’osservatore.
Inoltre, per accrescere la luminosità cromatica della tela, Renoir accosta larghe e disordinate pennellate di colore, seguendo la tecnica impressionista.

L’artista ha anche fissato sulla tela dei punti di colore, quali: le labbra di un rosso brillante, lo jabot rosa che la ragazza indossa come ornamento sopra una blusa scura.
Gli occhi della lettrice sono rivolti verso il basso: due semplici ed essenziali linee nere.
L’espressione del viso è serena e trasmette a chi guarda la concentrazione della “Liseuse”, nonché il piacere della lettura che la ragazza, con il libro aperto davanti a sé, sta provando.

Renoir insiste sui colori, non traccia un contorno; utilizza il chiaroscuro per ravvivare il volto della ragazza, mentre le tonalità sono alterate da effetti di luce. Per l’incarnato, l’artista ha aggiunto dei violenti tocchi di giallo, sicuramente ispirati dall’ambientazione – probabilmente l’interno del Caffè Guerbois o del Café de la Nouvelle Athènes, luoghi tra i più frequentati dagli Impressionisti – cioè dalle tonalità dorate della luce artificiale a gas.

In questo dipinto, la luce gioca con il soggetto e i suoi riflessi creano dei richiami in vari punti della tela. Il pittore voleva dare la sensazione di un sole accecante che accende a tratti i capelli rossi della ragazza, illumina le pagine del libro aperto e poi si riflette dalla carta bianca sul viso della giovane.

Renoir ha applicato pennellate rapide, studiando con cura l’abbinamento di toni caldi e freddi, ad esempio: il rossore sfumato del volto di Margot si bilancia perfettamente con la zona blu-verde sul lato destro del dipinto.
Inoltre, le zone caratterizzate da colori freddi contrastano con i colori caldi riservati in particolare al volto e ai capelli del soggetto, e persino con i contorni della cornice della finestra che si profilano dietro la testa della ragazza.
Un tocco di luce compare leggero su una spalla e dona un accenno di volume alla figura.

In questo dipinto il disegno non detiene un ruolo speciale perché il soggetto è modellato dal colore.
I contorni sono labili e incerti. Successivamente, le opere di Renoir cambieranno registro riguardo all’importanza del disegno. Ma in questa fase, esso ha un ruolo subordinato, al contrario della tendenza della pittura accademica di quegli anni in cui occupava un posto preminente.

Gustave Caillebotte (1848 – 1894; pittore francese) acquistò “La liseuse” nel 1876; nel 1893, il dipinto entrò nelle collezioni statali francesi e successivamente, fu esposto al museo parigino du Luxembourg e al Louvre. Ora, si trova al museo d’Orsay.

In copertina: “La liseuse” (La lettrice) di Auguste Renoir, olio su tela, 47×38 cm (1876) conservato al Museée d’Orsay, Parigi